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La pandemia è passata? Ragazzi, niente fretta

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Si riparte da Bergamo, la città più drammaticamente colpita dal Covid. Dove non a caso si sta anche svolgendo la quattordicesima edizione del congresso Icar, la Conferenza italiana sull’Aids e la ricerca contro i virus con oltre un migliaio di specialisti e ospedalieri da tutto il Paese. E infine loro: quattro tra i più importanti protagonisti che in questi ultimi due anni e mezzo – era l’11 marzo 2020 quando l’Oms, l’Organizzazione mondiale della Sanità, decretò l’emergenza planetaria per Sars-Cov 2 – hanno aiutato i giornalisti e gli italiani a districarsi tra replicazioni virali, immunità naturali e indotte, biologia dei virus.

Archiviata la pandemia, passiamo all’endemia?

Siamo già oltre? Pronti a parlare di post Covid? Di endemia e non più di pandemia? La risposta è un invito alla cautela, a non essere troppo frettolosi di archiviare due anni che hanno messo in ginocchio il sistema sanitario nazionale e cambiato per sempre le nostre abitudini sociali. Anche se un virus cambiato a tal punto da essere sì molto più contagioso, e quindi più infettivo, ma che fa ammalare meno è un buon punto di partenza. Pier Luigi Lopalco, ordinario di Igiene all’università del Salento, Carlo Federico Perno, direttore Microbiologia e Diagnostica di Immunologia al Bambino Gesù di Roma, Massimo Andreoni, ordinario di Malattie Infettive a Roma Tor Vergata e Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive al Policlinico San Martino di Genova parlano di vaccini, protezione, origine misteriosa del coronavirus, farmaci antivirali che andrebbero dati ai pazienti più a rischio di progressione verso una malattia più severa ma che non vengono usati come sarebbe utile per proteggerli. E se è vero che vaccini in primis, con anticorpi monoclonali e farmaci antivirali sono riusciti ad addomesticare un coronavirus che in poco più di due anni ha contagiato in tutto il mondo 531 milioni di persone, uccidendone oltre sei milioni, cantare vittoria oggi ha poco senso. E forse davvero – come ha scritto su Science la scienziata americana Jennie Lavine – dobbiamo entrare nell’ottica di una lunga convivenza con il Coronavirus Sars-Cov2.

No, il virus non è più buono

Anche perché – sottolinea Lopalco – “non è che il virus sia diventato più buono, ma siano noi più forti grazie alla vaccinazione. La brutta notizia è che la protezione cala, quella buona è che innesca una protezione immunitaria che protegge anche dalle varianti: ci si infetta ma raramente ci si ammala, perché entra in gioco la seconda fila dell’immunità. Non avremo più ondate pandemiche ma picchi stagionali, probabilmente in autunno, come altri virus respiratori”.

Il virus perfetto non muta

Anche perché se la sensazione che abbiamo è che questo coronavirus non faccia altro che cambiare, in realtà è vero il contrario. “Il virus muta per sfuggire a qualcosa – precisa Perno – ma il virus perfetto è quello che non muta, come il vaiolo: quando arriva il vaccino non sfugge e scompare. Quando invece un coronavirus muta, anche se non tutte le mutazioni sono un vantaggio, sostituisce in toto il precedente, che viene ucciso, distrutto”.

Prevenzione anche dalla malattia non solo dall’infezione

Altro capitolo, oltre a quello dei vaccini (“siamo stati fortunati con la straordinaria efficacia di quelli a mRNA”, ricorda Lopalco) quello dei farmaci, sia i monoclonali che gli antivirali. I primi sono stati prescritti finora a 60mila malati, i secondi a 45mila, con netto vantaggio di molnupiravir di MSD, prescritto a oltre 27.300 persone. Pochi, secondo Massimo Andreoni, che è anche direttore scientifico Simit, e che fa un appello ai pazienti ad altissimo rischio di evoluzione verso una malattia grave, ovvero obesi, anziani con comorbidità, immunodepressi, con Hiv: “La prevenzione deve essere anche prevenzione della malattia – si accalora – non solo dell’infezione. Trattiamo meno pazienti di quanti dovrebbero essere trattati con gli antivirali, farmaci efficaci e con effetti collaterali modestissimi, li teniamo nel cassetto e questo per un corto circuito per cui i pazienti non riescono ad arrivare al farmaco entro pochi giorni dalla diagnosi per questioni di comunicazione con il medico di medicina generale, e con i centri specialistici. E invece almeno una parte dei morti di questi giorni si potrebbero evitare con un trattamento tempestivo”.

Il modello Liguria

Un modello che funziona è quello della regione Liguria, tra le massime prescrittrici di antivirali. “Siamo una regione piccola – ragiona Bassetti – e quindi è certamente stato più facile, ma siamo riusciti a istituire un percorso che ha portato a 2.3 giorni la mediana di tempo in cui somministriamo il molnupiravir ai pazienti a rischio. Con un contatto telematico h24 e 7 giorni su 7 tra medico di medicina generale e ospedale. Non si può delegare ai medici di medicina generale senza competenze specifiche la prescrizione di questi farmaci, è giusto fare cultura. Anche perché non dobbiamo dimenticare che prima del 1990 non era neanche obbligatorio studiare le Malattie infettive a Medicina, eh…”



www.repubblica.it 2022-06-15 18:03:25

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