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Tumori e diritto all’oblio, i medici: “Aiutateci a tutelare i giovani pazienti”

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Cinquantamila. È questa la stima dei giovani tra i 25 e i 29 anni in Italia che hanno avuto un tumore quando erano bambini o adolescenti, e che oggi sono considerati a tutti gli effetti guariti. Ex pazienti per la medicina ma non per la società, dove la parola “cancro” non viene dimenticata e dove si assiste a un lungo elenco di discriminazioni. Anni o persino decenni dopo la fine dei trattamenti. Parliamo di discriminazioni gravi, che impediscono ai giovani nel pieno della loro vita di poter rispondere alle aspettative della società stessa. Emergono, per esempio, quando chiedono un mutuo o un prestito a una banca, o quando si vedono proporre un enorme premio aggiuntivo sulla polizza vita. O, ancora, quando viene loro rifiutata l’assicurazione accessoria di solito richiesta per coprire il mutuo in caso di morte prematura. Già, perché le malattie pregresse, ad oggi, devono essere dichiarate, anche se si è in salute e riguardano unicamente il passato. È proprio a questo tema, ossia al cosiddetto diritto all’oblio, che è dedicato l’ultimo editoriale di Tumori Journal, firmato da rappresentanti dell’Associazione Italiana di Ematologia e Oncologia Pediatrica (Aieop), dell’Associazione italiana di Oncologia Medica (Aiom) e della Fondazione Aiom.

“Get up, stand up”

Ci sono motivazioni scientifiche che sostengono il diritto all’oblio. “Innanzitutto il miglioramento dei percorsi di cura, che portano a un continuo aumento delle guarigioni, del 3% ogni anno”, spiega Paola Quarello, del Dipartimento di Onco-ematologia pediatrica dell’Azienda Ospedaliera-Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino e componente gruppo intersocietario di AIEOP e AIOM dedicato agli adolescenti e ai giovani adulti con tumore, prima firma dell’editoriale dal titolo evocativo ‘Get up, stand up: Alongside adolescents and young adults with cancer for their right to be forgotten’: “Inoltre i tumori pediatrici in una considerevole percentuale di casi presentano recidive in breve tempo, entro uno o due anni. Ecco perché consideriamo i 5 anni dalla fine dei trattamenti come una finestra temporale adeguata per dichiarare la guarigione clinica dal tumore”. E se fino a qualche anno fa la comunità scientifica si “accontentava” di raggiungere il risultato della guarigione, ora si è resa conto che bisogna fare di più e occuparsi anche della qualità di vita dopo il cancro: “Noi non trattiamo il tumore in un adolescente o giovane adulto (AYA, acronimo di Adolescents and Young Adult, ndr.), ma un adolescente o giovane adulto con un tumore”, sottolinea Quarello: “E dobbiamo aiutarli affinché da grandi possano avere le stesse opportunità sociali dei loro coetanei. Hanno tutto il diritto di non dichiarare il loro passato di malattia”.

Il paradosso dei media

Nell’articolo emerge anche un evidente paradosso dei nostri tempi: i ragazzi malati hanno imparato l’importanza di condividere la loro esperienza, anche di essere testimonial in percorsi di sensibilizzazione, per esempio per facilitare le diagnosi precoci. E i mezzi di comunicazione per eccellenza sono i social network. Peccato che il web non dimentichi: conserva e condivide le informazioni senza limiti temporali. “I ragazzi hanno voglia di raccontarsi. Nel Progetto Giovani dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano – così come in altri progetti simili in Italia – abbiamo dato loro degli strumenti innovativi per per farlo, usando la creatività e l’arte”, sottolinea Andrea Ferrari, oncologo pediatra, responsabile del Progetto Giovani dell’INT e del gruppo intersocietario di AIEOP e AIOM dedicato agli adolescenti e ai giovani adulti con tumore: “Poter esprimere la rabbia e condividere le emozioni è un processo fondamentale che permette anche di trovare le risorse per affrontare la malattia e cercare una risposta alla domanda ‘perché a me?’. Abbiamo lavorato con loro e creato insieme un modello di assistenza globale ai ragazzi in cura, e un nuova forma di letteratura scientifica. Ma proprio l’esperienza del racconto che abbiamo tanto incoraggiato per aiutarli rischia di essere un boomerang quando torneranno alla vita normale”.

I dati indicano che circa un terzo degli ex pazienti ha difficoltà ad accedere a strumenti bancari o assicurativi per l’acquisto di una casa e che il 10% non riesce ad ottenere prestiti personali. “Ma – riprende Ferrari – il problema non si limita solo a mutui e assicurazioni. Le discriminazioni riguardano anche l’ambito lavorativo, la possibilità di adottare un bambino, ottenere i certificati necessari per le patenti di guida o per lo sport agonistico. Ci sono temi che oggi non ritengono rilevanti, ma che quando avranno 30 anni lo saranno disperatamente. Noi abbiamo creato il paradosso e noi lo dobbiamo risolvere: i ragazzi hanno il diritto di raccontarsi pubblicamente, ma devono anche avere il diritto di scegliere cosa, come e quando. E di poter cancellare ciò che può ledere la loro vita sociale”.

Centomila firme per una legge sul diritto all’oblio

La richiesta di una legge sul diritto all’oblio è un’esigenza nata a livello internazionale e altri 5 Paesi hanno già ottenuto risultati: Francia (per prima), Lussemburgo, Belgio, Paesi Bassi e Portogallo hanno già una legge. Nell’aprile 2021, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha raccomandato agli stati membri di adottare delle misure per rimediare a questi “profondi svantaggi sociali e discriminazioni”. Sempre nel 2021, in Italia, Aiom e Aieop hanno unito le forze per costituire l’Italian AYA working Group, e la Fondazione Aiom ha lanciato una raccolta firme per promuovere una legge sul diritto all’oblio nel nostro Paese: la richiesta è che a 5 anni dalla fine delle cure per i pazienti in età pediatrica, e 10 anni per i pazienti adulti, non vi sia più l’obbligo di dichiarare la malattia pregressa a banche e istituti assicurativi o di credito. “L’obiettivo della petizione sostenuta da Aieop – conclude Ferrari – è raggiungere al più presto 100 mila firme da portare al Presidente del Consiglio”.



www.repubblica.it 2022-06-15 13:13:56

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