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Sclerosi multipla, nuovi dati su terapia orale che protegge anche dal declino cogniti…

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Efficaci sin dalle fasi precoci della malattia, ben tollerati e capaci di proteggere contro il declino cognitivo. Da anni la ricerca scientifica studia per arrivare all’identificazione di terapie che possano garantire ai pazienti con sclerosi multipla questi obiettivi ed ora nuovi dati che arrivano dal Congresso europeo della European Academy of Neurology (EAN), svoltosi di recente a Vienna, rivelano che per questi pazienti, oltre 100mila in Italia, c’è una terapia che riesce a raggiungere questi obiettivi. Si tratta di ozanimod, farmaco orale rimborsato in Italia dallo scorso settembre. I nuovi dati sono stati presentati oggi in una conferenza stampa on line promossa da Celgene, ora parte di Bristol Myers Squibb.

L’attacco del sistema immunitario

Ogni anno nel nostro Paese si registrano 3.600 nuove diagnosi di sclerosi multipla e le persone affette sono in totale circa 133mila, con una diffusione doppia nelle donne rispetto agli uomini. La forma recidivante-remittente rappresenta circa l’85% di tutti i casi e si distingue per l’alternanza di attacchi o recidive, della durata imprevedibile, caratterizzati dall’insorgenza di sintomi neurologici improvvisi e fasi di remissione completa o parziale. Una patologia, quindi, che mina seriamente la qualità di vita delle persone che ne sono affette.

“La sclerosi multipla è una delle patologie neurodegenerative più diffuse”, afferma Luigi Maria Grimaldi, responsabile dell’Unità Operativa di Neurologia dell’Ospedale San Raffaele Giglio di Cefalù: “È una malattia in cui il sistema immunitario attacca la mielina, la guaina protettiva che ricopre le fibre nervose causando deficit neurologici. In Europa coinvolge 700mila persone per un totale di oltre 2 milioni e mezzo di pazienti in tutto il mondo.

Sintomi invalidanti

I sintomi della sclerosi multipla possono variare da persona a persona. I più ricorrenti interessano la vista, le sensibilità, le attività motorie o possono manifestarsi con i cosiddetti ‘sintomi invisibilì come fatica, depressione, disturbi dell’attenzione o della memoria, difficoltà a mantenere la concentrazione, problemi ad effettuare calcoli o pianificare attività complesse e a svolgere più attività contemporaneamente.

“I sintomi – prosegue Grimaldi – sono di difficile interpretazione poiché sono comuni ad altre malattie o condizioni. Può accadere, quindi, che il percorso per arrivare alla diagnosi sia, a volte, lungo e complesso. Il danno neurologico legato alla demielinizzazione è per lo più irreversibile”. Tutti questi sintomi costringono la persona con sclerosi multipla a ridefinire l’organizzazione della propria vita e i progetti a breve e lungo termine.

In che modo la sclerosi multipla colpisce il cervello

La sclerosi multipla genera lesioni all’interno del sistema nervoso centrale, che comprende il cervello e il midollo spinale. Le lesioni nel cervello rendono difficile il passaggio di segnali da una parte e l’altra del cervello e dal cervello al resto del corpo. Quando i segnali rallentano o si interrompono, si presentano i sintomi che caratterizzano le recidive della sclerosi multipla con potenziale progressione della malattia.

Il cervello è costituito da due tipi di tessuto: la sostanza grigia, da dove partono i segnali di comunicazione, e la sostanza bianca, che trasporta i messaggi da un’area all’altra. Le lesioni generate dalla SM si verificano in entrambe le aree. Per molti anni, i ricercatori si sono concentrati soprattutto sulla sostanza bianca. Tuttavia, gli studi recenti hanno rivelato che le lesioni e una riduzione della sostanza bianca e grigia (nota anche come perdita di volume cerebrale) possono avere un impatto determinante sulla patologia.

I nuovi dati scientifici

Dunque, la sclerosi multipla può avere un impatto molto forte sulla qualità di vita di chi ne soffre. Da qui l’esigenza di avere a disposizione terapie efficaci fin dalle fasi precoci della malattia e ben tollerate dalla maggioranza dei pazienti per i quali si conferma il ruolo positivo di ozanimod come è emerso da cinque abstract su dati provenienti dagli studi registrativi e dallo studio di estensione (OLE-Daybreak) presentati all’Ean.

“Ozanimod – prosegue Diego Centonze, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Neurologia e della Stroke Unit presso l’IRCCS Neuromed, a Pozzilli (Isernia), Professore di Neurologia presso l’Università di Roma Tor Vergata e primo autore dello studio – agisce modulando la risposta immunitaria interagendo con i recettori della Sfingosina 1-Fosfato in particolare sugli isotipi più implicati nella modulazione della risposta immunitaria e nella riparazione del danno mielinico”.

L’efficacia nei pazienti non trattati prima

Tra gli studi condotti, uno in particolare, ha valutato l’efficacia di ozanimod nei pazienti prevalentemente naive, cioè in coloro che non avevano mai ricevuto precedenti terapie. “In questa analisi esplorativa abbiamo analizzato 1.501 uomini e donne: il 71% era naive mentre il restante 29% aveva già ricevuto una terapia – sottolinea Centonze, primo autore di questa analisi. L’obiettivo era valutare gli esiti clinici e radiologici nel lungo termine (studio OLE- DAYBREAK) in pazienti naïve o già trattati con una precedente Disease Modifing Therapy (DMT). Negli studi registrativi di fase 3, il beneficio associato all’utilizzo precoce di ozanimod è stato consistente indipendentemente dalla precedente esposizione a un DMT e si è mantenuto nel tempo, con un trend in miglioramento. I dati di questo studio osservazionale a lungo termine su pazienti trattati con ozanimod per 5-6 anni evidenziano un controllo sostenuto dell’attività di malattia. I dati registrati tra i due gruppi di malati sono stati sostanzialmente comparabili e quindi entrambi hanno beneficiato del trattamento. Anche i dati sulla sicurezza vanno in questa direzione e quindi il farmaco non determina eccessivi effetti collaterali. Anche questo è stato riscontrato sia quando è stato somministrato come prima opzione terapeutica che in pazienti già trattati con altre tipologie di cure”.

Il declino cognitivo

Nei pazienti con sclerosi multipla i deficit cognitivi non sono sempre individuati, ma sono presenti nel 40%-70% dei casi fin dalle fasi iniziali della malattia e sono correlati all’atrofia cerebrale che si instaura nel tempo.

“La patologia può portare a una perdita di volume cerebrale significativa e irreversibile nonché a una alterazione delle funzioni cognitive se non vi è un intervento terapeutico tempestivo – prosegue Luigi Maria Grimaldi. I dati presentati all’EAN hanno mostrato l’azione di ozanimod nel preservare o migliorare le funzioni cognitive nella maggior parte dei pazienti esaminati. Nello studio SUNBEAM e nella sua estensione (OLE-DAYBREAK), infatti, i pazienti caratterizzati da volumi cerebrali più elevati al baseline, in particolare il volume talamico, avevano una migliore performance ai test cognitivi rispetto ai pazienti con volumi più bassi. Questo trend rimaneva stabile o migliorava nel corso dei 4-5 anni di trattamento con ozanimod, che si associava  a una funzione cognitiva conservata o migliorata in circa l’80% dei pazienti con più alto volume talamico e nel 66% dei pazienti con volume cerebrale più basso. Abbiamo ora a disposizione dati confortanti sull’utilizzo ad oltre quattro anni della nuova terapia soprattutto sul ruolo di protezione che svolge nei confronti del declino cognitivo e dell’atrofia cerebrale”.



www.repubblica.it 2022-07-04 14:09:41

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