Tutte le notizie qui
Backaout
Backaout

Imprinting immunitario, dal Covid agli altri virus: ecco che cos’è

34

- Advertisement -


La prima volta non si scorda mai. O almeno è così per il nostro sistema immunitario quando si imbatte in un virus. Da questo primo incontro scatta quello che gli scienziati chiamano “imprinting immunitario”: alla prima esposizione al virus, sia tramite infezione che vaccinazione, il sistema immunitario imprime nella sua memoria l’invasore in modo da riconoscerlo eventualmente in futuro, conferendo così un certo livello di protezione.

Imprinting e vaccino anti-Covid

Ora l’imprinting immunitario sarebbe al centro della ricerca del nuovo vaccino anti-Covid, quello “aggiornato” in base alle mutazioni accumulate dal virus Sars-CoV-2 in questi ultimi due anni. Gli immunologi sono infatti convinti che, da quando è esplosa la pandemia, le persone hanno acquisito diversi imprinting immunitari, a seconda del ceppo o della combinazione di ceppi a cui sono state esposte.

Questo, secondo gli studiosi potrebbe portare a grandi differenze nella risposta immunitaria che ciascuno di noi ha contro il virus responsabile di Covid-19. Questo significa che chi ha fatto il vaccino anti-Covid, messo a punto sul virus originario, la variante Wuhan, ha un imprinting immunitario che gli consente solo in parte di rispondere a una variante molto diversa, come quest’ultima Omicron. “E’ così che si spiega il calo di protezione registrato sul fronte delle vaccinazioni: se con la variante di Wuhan e quella Delta la protezione dall’infezione era pari al 95%, con la variante Omicron siamo scesi al 50%”, spiega Sergio Abrignani, professore ordinario di Patologia generale all’Università degli studi di Milano, già componente del Comitato tecnico-scientifico. “Significa che grazie all’imprintig avuto la prima volta con il virus, il sistema immunitario – continua – riconosce solo alcuni degli amminoacidi presenti nei recettori che il virus utilizza per entrare nella cellula. Un riconoscimento parziale, quindi, che se non protegge dal contagio certamente offre un buon livello di protezione dalla malattia grave”.

Tuttavia, Danny Altmann dell’Imperial College London, scienziato che sta studiando il fenomeno dell’imprinting immunitario con il virus Sars-CoV-2, si chiede: se è vero che il primo incontro con il virus, attraverso l’infezione o la vaccinazione, modella la successiva immunità attraverso l’imprinting immunitario, è possibile che questo possa causare una “cattiva” risposta alle nuove versioni del virus? In altre parole, quello che una volta veniva chiamato “peccato antigenico originale”, cioè l’imprinting immunitario, può compromettere negativamente la risposta a varianti del virus Sars-CoV-2 molto diverse dalla versione del virus che per primi si è incontrata?

Il dubbio nasce da uno studio condotto da un team di ricercatori dell’Imperial College London su 700 operatori sanitari del Regno Unito. I risultati, pubblicati il mese scorso sulla rivista Science, suggeriscono che l’infezione da Omicron ha avuto scarsi o nessun effetto benefico nel potenziare qualsiasi parte del sistema immunitario – anticorpi, cellule B o cellule T – tra le persone che avevano avuto un imprinting immunitario con precedenti varianti di Sars-Cov-2.

Omicron non è benigna ma abile e furtiva

“Omicron è tutt’altro che un benigno potenziatore naturale dell’immunità vaccinale, come avremmo potuto pensare, ma è un evasore immunitario particolarmente furtivo”, ha affermato Altmann. Con questa ipotesi i NoVax sono andati a nozze. Secondo la loro (il)logica, l’imprinting immunitario conseguente alla vaccinazione potrebbe compromettere la risposta alle nuove varianti del virus. Ipotesi, questam subito allontanata dagli immunologi.

Grazie all’imprinting oggi pochi morti

“Non è assolutamente così”, sottolinea Abrignani. “E’ grazie all’imprinting immunitario conseguente alla vaccinazione se oggi, a fronte di una così ampia ondata di contagi, continuiamo a registrare pochi casi gravi e morti. Anzi, tra i non vaccinati – continua – i casi gravi sono molto più frequenti che tra i non vaccinati”. L’imprinting immunitario, infatti, non impedisce al nostro sistema immunitario ad affinare le conoscenze sul virus e le sue varianti.

Vaccini aggiornati a Omicron come booster

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, il mese scorso, ha affermato che i vaccini aggiornati su Omicron possono essere utili come booster perché amplierebbero la protezione contro diverse varianti. Booster, non quindi alternativa. Il comitato consultivo della Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha invece espresso parere favorevole a incorporare il materiale genetico di Omicron nei nuovi vaccini di richiamo. “Stiamo cercando di utilizzare fino all’ultimo grammo di ciò che possiamo dalla modellazione predittiva e dai dati che stanno emergendo, per cercare di anticipare un virus che è stato molto furbo”, ha affermato Peter Marks, direttore del Centro della FDA per la valutazione e la ricerca biologica.

La sfida dei vaccini è ampliare la risposta

Moderna e BioNTech/Pfizer, i principali produttori di vaccini mRNA, hanno presentato dati di laboratorio che mostrano che le loro ultime versioni, mirate a Omicron, producono una potente risposta anticorpale contro le varianti BA.4 e BA.5. “Ora la sfida dei futuri vaccini Covid è quella di ampliare quanto più possibile la risposta immunitaria contro le varianti attuali e future”, dice Abrignani. “E questo lo possiamo fare solo perché alle spalle abbiamo una buona parte della popolazione mondiale immunizzata con i vaccini attualmente disponibili”, conclude.



www.repubblica.it 2022-07-08 15:32:13

This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish. Accept Read More