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Tumore al seno e radioterapia: domande e risposte

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Nella lotta al tumore al seno si parla molto di chirurgia e di farmaci, ma poco di radioterapia. Eppure è una strategia fondamentale. Con l’aiuto di Cinzia Iotti, Direttore della Struttura complessa di Radioterapia presso la AUSL-IRCCS di Reggio Emilia e Presidente dell’Associazione Italiana di Radioterapia ed Oncologia Clinica (AIRO), abbiamo allora cercato di dare una risposta ai dubbi su questo importante trattamento contro il cancro al seno, sia in stadio iniziale che in fase metastatica.

Qual è il ruolo della radioterapia nel tumore al seno?

Nel tumore al seno iniziale (non metastatico), la chirurgia è l’atto terapeutico più importante: senza l’intervento chirurgico è impossibile curare la malattia. Ma da solo, nella maggior parte dei casi, non è sufficiente: radioterapia e terapia medica sistemica hanno un ruolo importantissimo per aumentare le chance di sopravvivenza e guarigione. In generale, non c’è quasi mai un “protagonista” assoluto e il trattamento contro il cancro è fatto da più persone e da più approcci che, combinati, riducono il rischio che la malattia possa ripresentarsi negli anni. La radioterapia della mammella e/o dei linfonodi viene eseguita, nella stragrande maggior parte dei casi, in donne trattate con la chirurgia conservativa.

È vero che la radioterapia “brucia”?

Fino a qualche anno fa la radioterapia veniva vista come la cura che “brucia” e “distrugge” i tessuti. Questa visione si è un po’ ridimensionata, sebbene molte pazienti abbiano ancora questo timore. È quindi importante ricordare oggi che la radioterapia è un trattamento molto ben tollerato, compatibile con una vita normale e non è gravata da importanti tossicità. Capita persino che alcune pazienti finiscano il ciclo di radioterapia senza avere effetti sulla pelle.

È possibile utilizzare creme idratanti per ridurre il rischio di eritema?

Non solo è possibile, ma è consigliato. Ci sono prodotti studiati al fine di preparare la pelle all’azione delle radiazioni, e che possono essere utilizzate anche la mattina prima di cominciare la seduta di radioterapia, purché vengano fatti assorbire bene. Non ci sono evidenze scientifiche della loro efficacia, ma sicuramente hanno la funzione di mantenere la pelle trofica e idratata. Che si usi una crema ad hoc o una normale crema idratante, l’importante è scegliere prodotti privi di profumi e di sostanze che possono irritare la cute. Se compare un eritema cutaneo (come quello che si manifesta quando ci espone troppo al sole), vengono consigliate creme cortisoniche dagli specialisti. Per il resto, è importante non indossare tessuti sintetici e tenere la pelle ben pulita. 

C’è un rischio legato alle radiazioni che si ricevono?

La paura delle radiazioni e degli effetti collaterali oggi non è sostenuta da dati, grazie al progresso della tecnologia e delle conoscenze.Tale paura è legata al fatto che le radiazioni ionizzanti utilizzate possono essere cancerogene: è certamente giusto tenerlo in considerazione, ma il rapporto beneficio/rischio, per chi ha un tumore, è fortemente spostato a favore del primo: c’è, infatti, un enorme beneficio clinico a fronte di un rischio infinitesimale. 

Si diventa radioattive dopo la radioterapia?

No, si tratta di un falso mito. La radioterapia consiste nella somministrazione di radiazioni che interagiscono con i tessuti, ma quando il fascio viene spento l’effetto finisce, esattamente come quando si fa una Tac o una radiografia. Si può tranquillamente prendere in braccio un neonato appena uscite dall’ospedale. Sono altri i casi in cui può esserci della radioattività residua: per esempio dopo una Pet o una scintigrafia ossea, due esami che prevedono la somministrazione di sostanze radioattive che permangono per alcune ore nel corpo.  

È vero che se si irradia il seno sinistro possono esserci problemi per il cuore?

La cardiotossicità è l’effetto avverso che preoccupa di più ed è stato molto studiato. Si tratta di un effetto tardivo, che può comparire a distanza di tanti anni dal trattamento: dai 10 ai 20, in genere. Va detto che i dati degli studi di cui disponiamo sono relativi a un’epoca in cui la radioterapia non era precisa come lo è oggi. Ora siamo in grado di controllare molto meglio rispetto al passato la distribuzione delle radiazioni e le dosi, e si utilizzano dispositivi specifici per abbattere la dose che raggiunge il cuore. Si conosce meglio anche l’anatomia del cuore stesso, in particolare delle strutture che possono essere più danneggiate dalla radiazioni e che devono essere preservate. È una preoccupazione legittima, soprattutto per le pazienti giovani, anche per il fatto che spesso la radioterapia si associa ad altre terapie sistemiche cardiotossiche, ma proprio per questo i centri di radioterapia mettono in atto molte diverse precauzioni per abbattere tale rischio. 

Quante sedute sono necessarie?

Moltissimi studi hanno ormai dimostrato che la radioterapia per il tumore al seno può essere fatta in 13-15 sedute. Con alcune eccezioni: per esempio nelle pazienti sottoposte a mastectomia e ricostruzione è consigliato diluire le dosi di radiazioni in 25 sedute. Nella maggior parte dei casi, però, il trattamento si conclude in circa tre settimane. 

Questo tempo potrebbe essere ridotto in futuro a una sola settimana per un totale di 5 sedute, come mostrano i dati di un recente studio che potrebbe cambiare la pratica clinica. Purtroppo, nonostante le raccomandazioni di associazioni scientifiche nazionali e internazionali sugli schemi di frazionamento della dose da utilizzare, in molti centri si continuano a fare di prassi 25 sedute, se non 30. Questo è un problema per due motivi: da una parte si costringono le pazienti a fare molti più accessi in ospedale, quando potrebbero tornare alla loro vita normale due settimane in anticipo; dall’altra, si occupano i macchinari e si allungano le liste di attesa. La dose finale di radiazioni somministrate è la stessa (è uno standard di cura) sia che si effettuino 15 sedute sia che se ne facciano 30, ed è stato dimostrato che l’effetto è sovrapponibile sia per quanto riguarda il controllo della malattia sia per il rischio di tossicità.

Quanto tempo dopo l’intervento si dovrebbe cominciare la radioterapia?

Dipende se il piano terapeutico include o meno la chemioterapia. In questo caso, il percorso standard prevede la chirurgia, la chemioterapia e poi la radioterapia. Quando la chemioterapia non è prevista (o quando viene somministrata soltanto prima dell’intervento chirurgico, in fase neoadiuvante), la tempistica ottimale per cominciare la radioterapia è entro tre mesi dall’intervento. In caso di tumori a basso rischio di recidiva e nelle persone più anziane si può attendere fino a 4 mesi, mentre quando il tumore è aggressivo si consiglia di cominciare il trattamento dopo 2 mesi. C’è, in ogni caso, un tempo di attesa necessario, legato sia alla completa cicatrizzazione e alla normalizzazione del tessuto (il seno deve tornare al suo aspetto definitivo), sia ai risultati dell’esame istologico completo. 

Cosa accade se si ha una recidiva in un seno già trattato con la radioterapia?

Fino a qualche anno fa la regola era eseguire una mastectomia. Ora questo paradigma sta cambiando: sono migliorate le tecniche e anche la re-irradiazione non è più un tabù. Alcuni casi possono essere di nuovo gestiti con la chirurgia conservativa e con la radioterapia. Questa possibilità deve essere discussa dall’équipe multidisciplinare, valutando attentamente le caratteristiche della malattia e della paziente. 

È vero che la radioterapia può peggiorare il risultato estetico di una ricostruzione con protesi?

Sì, è una possibilità che deve essere esplicitata alla paziente e discussa, perché la radioterapia può rendere fibrotico il tessuto e causare retrazioni. Anche in questo caso sono state messe a punto tecniche per influire il meno possibile sull’aspetto estetico, ma il peggioramento dell’esito è un’eventualità che si può verificare.

Che cos’è la radioterapia intraoperatoria e per chi è indicata?

È un tipo di radioterapia che viene effettuata direttamente durante l’operazione, dopo l’asportazione del tumore, quando la paziente è in anestesia. Oltre a richiedere dispositivi particolari, non viene eseguita molto frequentemente, perché è riservata a pochi casi selezionati. Occorre un’attenta valutazione delle pazienti, che devono presentare un tumore a basso rischio di recidiva.

Quale ruolo ha la radioterapia nel tumore metastatico?

Un elevato numero di trattamenti radioterapici hanno scopo palliativo, ossia di prevenire o eliminare i sintomi dovuti alla malattia. L’esempio emblematico è rappresentato dal trattamento del dolore da metastasi ossee. Ma la radioterapia ha oggi un importante ruolo anche nel trattamento della malattia oligometastatica (cioè con un numero limitato di metastasi, da 3 a 5): è possibile effettuare trattamenti molto brevi (da una a 5 sedute), efficaci e sicuri, per eliminare queste lesioni. Questi trattamenti, spesso effettuati in associazione a terapie mediche con farmaci innovativi, si stanno rivelando in grado di migliorare la sopravvivenza globale e la qualità di vita delle pazienti.



www.repubblica.it 2022-07-08 10:37:04

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