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Covid, diagnosi di tumore mancate in tutto il mondo

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Più che un evento unico ed eccezionale, la conseguenza inevitabile di quanto accaduto. Il crollo degli screening oncologici – nel numero dei test effettuati e nei tassi di adesione – nei primi mesi della pandemia è stato pressoché diffuso in tutto il pianeta. Una situazione che avrà con ogni probabilità ricadute indesiderate: come un aumento delle diagnosi di cancro in fase avanzata (prima) e dei decessi da questi provocati (poi). Ma che, considerando la portata dell’emergenza sanitaria rappresentata da Covid-19, “difficilmente avrebbe potuto essere evitata”, per dirla con Paolo Boffetta, docente di epidemiologia dei tumori all’Università statunitense di Stony Brook e all’Alma-Mater di Bologna. È stato lui a coordinare la prima metanalisi che ha passato in rassegna le conclusioni di tutti gli studi – pubblicati tra l’1 gennaio 2020 e la fine del 2021 – condotti per valutare l’impatto della pandemia sugli screening oncologici. Ovunque, dal Sud America all’Asia centrale, il trend ha seguito una curva a «U»: con un crollo nei numeri nella primavera di due anni fa, seguita da una graduale ripresa nella seconda metà dell’anno.

Screening oncologici: il crollo determinato dalla pandemia

Questo quanto emerge dal lavoro condotto da un gruppo di ricercatori dell’ateneo emiliano, pubblicato sulle colonne della rivista Jama Oncology. Trentanove i lavori intercettati in letteratura, con dati riferibili quasi sempre al 2020. Ovvero ai mesi più duri della pandemia. Analizzando quanto accaduto in Nord e Sud America, Asia ed Europa, gli epidemiologi hanno constatato che il calo dei numeri riguardanti gli esami per lo screening dei tumori al seno (mammografia), al colon-retto (ricerca del sangue occulto nelle feci e colonscopia) e al collo dell’utero (Pap test e Hpv-test) ha coinvolto tutto il pianeta. La flessione più significativa ha interessato le indagini mirate alla diagnosi precoce del tumore al collo dell’utero (-51,8 per cento). A seguire, i test sulla mammella (-46,7 per cento) e sul colon-retto (-44,9 per cento). Numeri che – al di là delle singole differenze legate anche all’andamento disomogeneo della pandemia – sono maturati soprattutto tra marzo e ottobre 2020. Nell’ultimo trimestre dell’anno, infatti, quasi ovunque si è registrato una ripresa dell’attività di screening quasi paragonabile a quella relativa al periodo precedente la pandemia.

Problemi comuni dagli Stati Uniti all’Europa

Le cause riconosciute di questo disservizio sono state quattro: il lockdown, l’interruzione di molte prestazioni sanitarie elettive, la riorganizzazione avvenuta all’interno degli ospedali (determinata anche dai contagi tra il personale) e la paura del contagio. Per certi versi inevitabile, dunque, registrare l’accaduto. Soprattutto, si legge nell’articolo, per quel che riguarda “esami più invasivi come quelli che vengono condotti per la diagnosi precoce del tumore del collo dell’utero e del colon-retto”. Quanto alle mammografie, negli Stati Uniti e in Canada il calo è stato meno marcato. Conseguenza, con ogni probabilità, dell’abitudine a svolgere le indagini diagnostiche in strutture private che, non essendo state coinvolte nella gestione della pandemia, sono riuscite a portare avanti le proprie attività senza grossi contraccolpi.

In Italia «sfuggite» quindicimila diagnosi di cancro?

I dati riassunti nell’articolo riprendono quelli nazionali, diffusi in quattro rapporti dall’Osservatorio Nazionale Screening. L’ultimo documento fotografa quanto accaduto in Italia tra l’1 gennaio 2020 e il 31 maggio 2021. Confrontando il numero di esami effettuati in questo periodo con quelli relativi a uno precedente di eguale durata, gli esperti hanno quantificato un saldo negativo di oltre tre milioni di esami. Senza i quali potrebbero essere «sfuggite» oltre 3.500 diagnosi di tumore al seno, 3.000 lesioni precancerose alla cervice uterina e poco più di 9.000 lesioni del colon-retto (tra tumori veri e propri e adenomi avanzati, forme destinate a evolvere in tumori). L’istantanea è una medaglia a due facce. I numeri assoluti sono quelli indicati. Ma guardando l’evoluzione dei dati nel corso dei mesi, si osserva una graduale ripresa dell’attività di screening lungo la penisola, resa a macchia di leopardo dall’organizzazione adottata dalle singole Regioni e dall’andamento della pandemia nei diversi territori. Le differenze percentuali degli inviti nei mesi oggetto della rilevazione (cervice: -28,4%; seno: -20,3%; colon-retto: -24,4%) evidenziano un miglioramento rispetto alla terza survey aggiornata a dicembre 2020 (-33% cervice; -26,6% seno; -31,8% colon retto). Un dato che dimostra come, nei primi cinque mesi del 2021, il ritardo sia stato mantenuto. Ma a una velocità decrescente rispetto al periodo precedente.

Meno screening vuol dire più decessi

Le conseguenze di questi dati rischiano di essere significative. Più un tumore viene diagnosticato in fase avanzata, infatti, minori sono le probabilità di guarigione. “Se questa sarà una delle eredità della pandemia, inizieremo con ogni probabilità a capirlo già da quest’anno – afferma Boffetta -. Quando si introduce uno screening, infatti, il calo della mortalità inizia a vedersi 3-4 anni dopo. A oltre 24 mesi da quella fase, ci aspettiamo di registrare un primo aumento di forme tumorali che, se diagnosticate nel 2020, avrebbero potuto essere curate più facilmente”. E considerando che i tre tumori in oggetto rappresentano oltre la metà delle diagnosi effettuate a livello mondiale nel 2020 (il 30 per cento in Italia), la gravità delle potenziali conseguenze non fatica a emergere. I primi riscontri potrebbero giungere da altri due lavori che lo stesso gruppo sta portando avanti, per valutare le variazioni nel numero di visite e di diagnosi oncologiche ambulatoriali (il primo) e l’eventuale peggioramento dello stadio delle malattie e le difficoltà nell’accesso alle cure (il secondo). Il tutto sempre relativo ai dieci mesi successivi allo scoppio della pandemia. “Quella fase può aver rappresentato una battuta d’arresto al miglioramento dei tassi di sopravvivenza che in Italia si registra ormai da un decennio – aggiunge Boffetta -. Considerando che il calo degli screening è avvenuto ovunque, però, non ci aspettiamo una inversione del trend. Ma un passaggio a vuoto lungo un percorso che rimane incoraggiante”. Di cui va però tenuto conto, considerando che dietro i numeri si nascondono le storie di uomini e donne.

Non è mai troppo tardi per recuperare lo screening

Il momento attuale è ben diverso da quello a cui fa riferimento lo studio. Seppur con andature differenti, il calendario degli screening è ripartito pressoché ovunque. Da qui l’invito a recuperare gli esami non effettuati nell’ultimo biennio. “Rispetto al 2020, nel caso del Pap test e della mammografia, le donne ormai prossime a ripetere gli esami, che vanno effettuati con una cadenza biennale – conclude Boffetta -. In questo momento, dunque, fissarli è più importante del solito. Quanto all’Hpv test e alla colonscopia, invece, è il caso di darsi da fare per effettuare seppur in ritardo gli esami inizialmente previsti nei mesi scorsi. Gli intervalli rappresentano delle indicazioni di massima, ma esami del genere è meglio farli con ritardo che non effettuarli proprio”.



www.repubblica.it 2022-07-11 09:30:03

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