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Alzheimer più diffuso tra le donne: la colpa potrebbe essere di un nuovo gene

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Tra uomini e donne, l’Alzheimer preferisce le donne. Basti pensare che in Italia su 600 mila persone colpite dalla malattia, due terzi appartengono al genere femminile, e che negli Stati Uniti su 5,8 milioni casi, le donne sono 6 pazienti su 10. Tra le cause che sarebbero all’origine di questa maggiore diffusione della malattia fra le donne ci sono la longevità – le femmine vivono in media 5,4 anni in più rispetto ai maschi – e il calo del livello degli estrogeni associato alla menopausa. A queste oggi si aggiunge un gene le cui varianti spiegherebbero in modo diverso come mai il rischio di incidenza della malattia nelle donne sia così alto. Si tratta di MGMT, un gene che contiene le istruzioni per la produzione di una proteina in grado di riparare i danni al DNA, e sarebbe alla base di una delle poche, e forse più forti, associazioni tra un fattore di rischio genetico e l’Alzheimer mai individuata nelle donne, assicurano gli autori della scoperta. Lo studio è stato condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Chicago e della Boston University School of Medicine (BUSM) e i risultati sono stati pubblicati su Alzheimer Disease & Dementia.

Lo studio

Analizzando l’espressione genica di MGMT, cioè ciò che accade quando un gene viene attivato o disattivato, i ricercatori hanno notato due elementi importanti: questo processo è collegato allo sviluppo di beta-amiloide e di tau, le proteine che se si accumulano causando la morte delle cellule nervose. Una correlazione osservata soprattutto nelle donne. Ma non solo: questa stessa associazione è più pronunciata nelle donne non interessate da APOEε4, la variante genetica considerata fino a oggi il principale fattore di rischio per lo sviluppo della malattia negli uomini e nelle donne over 65. Il 60% delle persone di origine europea con l’Alzheimer è portatore di questa variante, ma molte donne con APOEε4 non sono affette dalla malattia e chi non ha questo allele può invece svilupparla, a sottolineare il carattere non deterministico dell’associazione.

Per arrivare a questo risultato, gli scienziati hanno condotto due diversi studi di associazione sull’intero genoma (studi cosiddetti di genome-wide association, GWAS) per l’Alzheimer, cioè due indagini sui geni di individui appartenenti a popolazioni diverse, in grado di identificare le varianti genomiche statisticamente associate al rischio di sviluppare la demenza. I campioni erano molto diversi: uno di appena una trentina di persone (22 donne), provenienti da una grande famiglia allargata di hutteriti in cui tutti quelli con Alzheimer erano donne. L’altro campione era quello di oltre 10 mila donne con livelli di APOEε4 pari allo zero. In un caso l’approccio è stato quello di focalizzarsi sul patrimonio genetico di una popolazione generalmente piuttosto isolata, l’altro prendeva spunto dall’esistenza di un possibile legame tra Alzheimer e tumore al seno. In entrambi i set i ricercatori hanno trovato nelle donne un’associazione molto forte tra le varianti del gene MGMT e l’Alzheimer.  Più che la presenza delle varianti in sé, sottolineano gli autori, sarebbe la loro espressione (regolata epigeneticamente) a essere correlata ai marcatori tipici della malattia.

Tanta strada ancora da fare

Tuttavia, anche se i risultati dello studio sono coerenti in due coorti molto distinte, sono comunque necessarie ulteriori analisi di follow-up in altri set di dati GWAS, concludono gli esperti. Per mettere a punto nuovi potenziali approcci terapeutici, serve infatti capire meglio il ruolo del gene associato all’Alzheimer sia nelle donne che negli uomini, e le ragioni per cui solo nelle donne aumenterebbe il rischio di sviluppare la malattia, specialmente in quelle prive di APOEε4.



www.repubblica.it 2022-07-16 11:11:09

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