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SLA giovanile: la scoperta (anche italiana) del ruolo del sistema immunitario

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Il sistema immunitario sembra svolgere un ruolo di primo piano nella sclerosi laterale amiotrofica di tipo 4, la SLA giovanile causata da mutazioni nel gene della senataxina (SETX, che contiene informazioni per la produzione di una proteina coinvolta nella trascrizione dell’RNA). La progressione della malattia sarebbe infatti legata alla disfunzione di un tipo di linfociti particolarmente attivo nei pazienti con questa forma di SLA. La scoperta si deve a ricercatori del Dipartimento di Microbiologia dell’Icahn School of Medicine del Mount Sinai di New York, che hanno coordinato lo studio, coinvolgendo il Centro Clinico NeMO di Milano.

La scoperta, anche grazie allo studio su una famiglia italiana

I ricercatori sono arrivati a questi risultati, pubblicati su Nature, dopo i primi studi sulla SLA 4 condotti negli USA e dopo che nel 2010 il Centro NeMo di Milano, in collaborazione con il laboratorio di Genetica Medica dell’ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, ha identificato la prima famiglia italiana affetta dalla malattia. Dalla diagnosi del primo paziente, effettuata dopo quindici anni di convivenza con la malattia, la ricostruzione della storia genetica parentale di tutta la famiglia ha fornito i primi indizi sulla correlazione tra la mutazione e la disfunzione del sistema immunitario.

La ricerca

“Le cellule che non esprimono la proteina senataxina producono più molecole infiammatorie”, spiega a Salute da New York Laura Campisi, PhD e Assistant Professor che al Mount Sinai ha co-diretto il progetto insieme a Ivan Marazzi, PhD e Associate Professor. “E visto che proprio la senataxina muta nelle persone affette da SLA 4, ci siamo chiesti se potessero esserci eventuali disfunzioni legate alla malattia nel sistema immunitario di questi pazienti. Per capirlo, abbiamo condotto degli studi sui modelli murini, dove abbiamo notato che la perdita delle capacità motorie avviene solo se la mutazione del gene SETX è espressa sia nelle cellule del sistema nervoso centrale che in quelle del sistema immunitario. Da qui il suggerimento che proprio il sistema immunitario e i meccanismi infiammatori potessero giocare un ruolo nella malattia”.

I ricercatori hanno poi effettuato un’analisi approfondita del sistema immunitario nei topi e nei pazienti. “In questa fase abbiamo individuato quelle anomalie del sistema linfocitario che confermerebbero le nostre ipotesi”, continua Campisi: “Sia negli animali che nei pazienti, infatti, è stata rilevata nel midollo spinale e nel sangue un’alta concentrazione di T CD8, le cellule linfocitarie del sistema immunitario che si attivano per difendere l’organismo dall’attacco di patogeni. In particolare, abbiamo notato che l’aumento di una sotto-popolazione di queste cellule, chiamata TEMRA, correla direttamente con la progressione della malattia”.

I prossimi passi

Ora bisogna comprendere meglio il ruolo delle cellule linfocitarie in questa forma di SLA, cioè come si comportano a livello del sistema nervoso centrale: se ci sia soltanto una correlazione oppure se abbiano un ruolo attivo nella malattia. Se fosse così – prosegue la ricercatrice – sarebbe una buona notizia, perché sarebbero chiari i bersagli verso cui indirizzare nuove terapie. Ma c’è anche un altro obiettivo. “Vogliamo verificare se quanto abbiamo notato nella SLA 4 interessi anche le altre forme. Se cioè il sistema immunitario e le cellule linfocitarie abbiano lo stesso ruolo anche negli altri tipi di SLA, e quali siano le differenze tra loro. Questo, infatti, consentirebbe di studiare trattamenti su misura per sottogruppi specifici di pazienti”. Un altro aspetto che emerge dalla ricerca potrebbe invece portare a dei vantaggi nella pratica clinica. La disfunzione delle cellule linfocitarie T CD8 – che potrebbero essere usate per comprendere l’evoluzione della malattia – è infatti osservabile nel sangue periferico, più facilmente accessibile rispetto all liquido cerebro-spinale.

 
La giusta terapia per il giusto paziente

La SLA di tipo 4 esordisce durante la tarda infanzia o nell’adolescenza (6-21 anni) e progredisce lentamente, con segni di spasticità e di atrofia muscolare, rendendo difficile la mobilità. Ad oggi non esiste una cura. “La comprensione delle cause della malattia rappresenta un passo importante verso l’identificazione del corretto target terapeutico – conclude Federica Cerri, responsabile area SLA del Centro Clinico NeMO Milano – È quindi fondamentale proseguire e investire sulla ricerca, cercando di riassumere e analizzare in modo critico le informazioni acquisite negli anni. Solo chiarendo meglio ciò che definisce e caratterizza i diversi tipi di SLA sarà possibile identificare la giusta terapia per il giusto paziente’”.



www.repubblica.it 2022-08-05 09:13:52

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