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E con un sensore sottopelle sapremo se i farmaci fanno effetto

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Ce l’hai dentro, sotto la pelle, è sottile come un francobollo e per cinque giorni tiene sotto controllo il tuo pH. Come un laboratorio miniaturizzato che prende le info necessarie e che dà il risultato in tempo reale, senza essere minimamente invasivo. Cosa potrebbe esserci di meglio di un sensore che valuta importanti parametri del nostro organismo? Il termine è noto soprattutto in informatica, mentre in medicina siamo agli esordi di uno strumento che potrebbe rivoluzionare la metodologia diagnostica finora affidata al prelievo di sangue e altri liquidi corporei. L’unico dispositivo con cui abbiamo una certa familiarità è il cerotto transdermico che si attacca alla superficie della pelle e lentamente rilascia un determinato farmaco nell’organismo.

Uno strumento mini-invasivo

Il sensore di cui parliamo invece, che si inserisce con una micro-incisione, probabilmente il primo del genere, biocompatibile e bioriassorbibile, per ora ha un campo d’azione limitato alla determinazione del pH, quel parametro fondamentale che rivela il grado di acidità del nostro sangue. I risultati delle ricerche, condotte dal team del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’università di Pisa, coordinati da Giuseppe Barillaro, in collaborazione con l’ateneo di Modena e Reggio Emilia insieme a Surflay Nanotec GmgH di Berlino, sono stati pubblicati il 26 maggio sulla rivista Advanced Science .

Perchè è importante il valore del pH

Ma perché è importante per un medico conoscere la quantità numerica che identifica il pH? Risponde Barillaro: “Dal livello rilevato può emergere una eventuale acidificazione dei tessuti. E, tra l’altro, fornisce indicazioni importanti sull’insorgenza e sulla progressione di un tumore, oltre che essere predittivo di problemi cardiaci. Il pH finora è stato misurato attraverso il prelievo di fluidi corporei, ma questo metodo ha una zona d’ombra: non riesce a misurare l’eventuale acidificazione di una zona specifica con elevata accuratezza cosa che, invece, è in grado di rivelare il nostro sensore”.

Ma le potenzialità sono tante, anche in vista di un intervento chirurgico o per il controllo di una ferita, aggiunge il professore: “Se un paziente deve essere operato o è sotto controllo per una ferita infetta, si potrà ottenere il valore del pH della ferita che è indicativo di varie malattie: quando si acidifica parte da 7,4 per scendere a 5 e oltre”.

Come funziona il sensore

Costituito da una membrana porosa di silicio nanostrutturato, a sua volta ricoperta da un polimero fluorescente, fornisce un risultato immediato, accurato e soprattutto continuo nel tempo del livello di pH nel tessuto interessato. “È sufficiente illuminare la zona della pelle in cui il sensore è impiantato con una luce verde. Il sensore emetterà, a sua volta, una luce rossa, la cui maggiore o minore intensità, svela il livello di pH con un intervallo compreso tra 4 e 7,5, funzionando fino a 100 ore di seguito. Infine, il sensore si degraderà e, dopo una settimana circa, non ce ne sarà più traccia nel corpo, senza necessità di rimozione chirurgica”.

In che modo è stata realizzata la ricerca in  laboratorio

Per gli studi in vivo sono stati utilizzati dei topini nei quali il sensore è stato impiantato sotto la cute del dorso, ottenendo il monitoraggio in tempo reale del livello di pH locale attraverso la pelle.

“Di solito i dispositivi impiantabili sono protetti da un rivestimento idoneo – aggiunge Alessandro Paghi, ricercatore nello stesso dipartimento – per non essere aggrediti e messi fuori uso dal nostro sistema immunitario. Questo rende molto difficile realizzare dei sensori chimici impiantabili, impossibili da proteggere perché funzionano solo se interagiscono chimicamente con il nostro corpo. Il nostro studio ha dimostrato che è possibile realizzare un sensore chimico, non solo impiantabile, ma anche biodegradabile, una scoperta che apre la porta a innumerevoli applicazioni in ambito biomedico”.

Il progetto Resorb: presto la fase clinica sull’uomo

Se per ora il sensore ha dimostrato su modelli animali la sua efficacia di monitoraggio di valori come quello del pH e di valutazione dell’efficacia dei farmaci somministrati, facilitando l’arrivo di nuove procedure cliniche e diagnostiche, è già in programma entro qualche anno il passaggio alla fase clinica sull’uomo. Il progetto europeo si chiama Resorb ed è inserito nel programma Horizon Europe, per la ricerca e l’innovazione (2021-2027), con l’obiettivo di sviluppare ulteriormente il sensore, aggiungendo dei biorecettori per la quantificazione di molecole target.

“L’unico ostacolo è rappresentato da finanziamenti per fare i test sull’uomo – sottolinea Barillaro – Al momento stiamo lavorando sul dosaggio del chemioterapico doxorubicina, che oggi viene valutato (e determinato) in base al peso corporeo. Ma così sappiamo la quantità di farmaco assorbita in tutto il corpo, mentre ignoriamo quanto ne viene assorbita dal tumore. Certo, è un dato di fatto che le cellule neoplastiche sono maggiormente irrorate e quindi raggiunte meglio dal chemioterapico. Ma non sappiamo quanto. E invece, disponendo di parametri più precisi, potremmo anche valutare la tossicità dei farmaci. Così potremmo misurare la dose di una sostanza che ha come bersaglio le cellule tumorali e tararla in base alla necessità”.



www.repubblica.it 2022-08-03 07:44:33

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