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Trappole per le zanzare, così sapremo se West Nile è in aumento

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West Nile, dengue, malattia di Lyme, leishmaniosi. Che cosa hanno in comune? Sono tutte zoonosi o zoonosi inverse, vocaboli ormai noti e tristemente di attualità. Il primo caso, e più frequente, ossia quello delle malattie che vengono trasmesse dagli animali all’uomo è stato l’argomento di un simposio al congresso della Società italiana di Parassitologia (SoIPa), organizzato da Msd Animal Health.

Il punto di partenza è la One Health, concetto che esprime la interconnessione tra esseri umani, animali e ambiente: quando emerge un problema di salute per uno, tutti gli altri possono essere e anzi sono sempre coinvolti. Secondo l’Efsa (European Food Safety Authority) il 75% delle malattie che hanno colpito l’uomo negli ultimi 10 anni è stato trasmesso da animali o da prodotti di origine animale.

Già conosciamo la leishmaniosi, la dengue, l’attuale diffusione della malattia di Lyme in aumento per il prolificare delle zecche, e la febbre West Nile, causata dal virus omonimo, il cui serbatoio sono gli uccelli e le zanzare che lo trasmettono all’uomo con le loro punture.

Ma c’è una distinzione importante da fare: “Parliamo di spillover perfetto quando il virus passa all’uomo ma non si ferma ed è capace di trasmettersi ad altre persone, come è successo con il Covid – spiega la dottoressa Gioia Capelli, del Centro di Referenza Nazionale per le malattie nell’interfaccia uomo/animale/ambiente dell’IZS Venezie. Nelle zoonosi classiche, come West Nile, noi siamo ospiti accidentali ma non passiamo il virus ad altri esseri umani, se non attraverso pratiche mediche come le trasfusioni”.

Il passaggio dall’animale all’uomo

Ma quali sono le condizioni sociali e ambientali che favoriscono il passaggio all’uomo? “Tutte quelle che influiscono o favoriscono l’incontro tra l’uomo e l’animale selvatico” aggiunge la dottoressa. Ci sono particolari condizioni ambientali, climatiche o sociali che portano a un aumento del contatto animale selvatico-uomo. “Il cambiamento climatico può influire, ad esempio, sugli spostamenti degli animali che non trovano più un habitat adatto alla loro sopravvivenza e si avvicinano all’uomo. Le variazioni del caldo e del freddo, dell’umidità incidono sulla densità e sui movimenti. Poi ci sono gli sconvolgimenti causati dalle guerre: lo spavento degli animali li porta a fare spostamenti che non avrebbero mai messo in atto”.

Quando l’uomo entra nel loro habitat

Ci sono poi i casi in cui è l’uomo ad entrare negli habitat degli animali selvatici. “E’ il caso ad esempio degli speleologi, di chi fa ricerca nelle grotte dei pipistrelli, ma anche di chi va nel bosco alla ricerca di un po’ di fresco e viene in contatto con le zecche. Incontro che può finire con una zoonosi classica, che comunque resta inusuale”.

Il primo passo per il cittadino è instaurare un rapporto corretto tra uomo e animali. “I selvatici vanno trattati con rispetto e devono continuare a vivere lontani dall’uomo, nei loro habitat, che andrebbero garantiti e protetti”. Se siamo “costretti” ad invadere il loro spazio, dobbiamo sapere come comportarci, evitando di recare disturbo.

“Dal punto di vista scientifico invece bisogna cominciare dalla conoscenza, a scoprire quali patogeni albergano in questi animali, nella fauna aviaria, negli allevamenti dei suini – prosegue la dottoressa Capelli. Adesso abbiamo tutti gli strumenti per farlo, metodiche genetiche che mettono in evidenza patogeni di cui non conosciamo neanche l’esistenza, sequenze genetiche (next generation sequency) che permettono di esplorare tutti i microorganismi che albergano in un animale. C’è il mondo intero”. E questo il primo passo.

E poi la sorveglianza

Il secondo passo è la sorveglianza. “Una volta individuati dei patogeni zoonotici li possiamo tenere sotto controllo, sorvegliando le mutazioni. Quando un virus può infettare una cellula di un mammifero ce ne accorgiamo con la sequenza genetica, e possiamo tenere pronti gli elementi base per realizzare, in caso di bisogno, un vaccino”. 

Il piano integrato italiano, unico in Europa

E in questo l’Italia può vantare un piano unico in Europa. “Partiamo dal fatto che noi abbiamo la medicina veterinaria sotto il ministero della salute, mentre in tutti gli altri paesi è sotto il ministero dell’agricoltura”, prosegue la dottoressa Capelli.” Ma quando ci sono delle zoonosi non si possono fare piani differenti per umani, animali e ambiente, ma bisogna realizzare un piano integrato, dove tutta la parte veterinaria lavora al servizio della salute umana, come succede nel nostro Piano nazionale di risposta alle arbovirosi, unico in Europa”.

Il caso del West Nile

La dottoressa poi porta un esempio pratico, relativo proprio a West Nile, che purtroppo passa da uomo ad uomo attraverso le donazioni di sangue. Per questo tutti i donatori vanno controllati anche se asintomatici, con un costo enorme in termini economici. “Prima che il virus circoli nell’uomo noi lo possiamo individuare nelle zanzare. Quindi i centri del sangue stanno fermi fino a che non ricevono l’ok dalla medicina veterinaria. Da maggio a novembre la situazione è monitorata attraverso trappole piazzate ad unità geografica, controllate settimanalmente”. Così si può sapere più semplicemente se il virus c’è e quanto è diffuso, controllando il suo vettore ad un costo molto inferiore. “Ecco vuol dire sistema integrato, non ha senso senza parlarsi”. E questa è anche la One Health, la salute unica, quella che mette in correlazione uomo, animale, ambiente e agisce all’unisono per la salvaguardia di tutti.

 



www.repubblica.it 2022-08-09 10:40:49

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