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Disturbi alimentari, come intercettare i primi segnali nei bambini

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Sempre prima. E sempre peggio.  Anoressia, bulimia, binge eating disorder sono un’epidemia nella pandemia Covid, e ha riguardato soprattutto gli adolescenti. Sì, perché è proprio in quella “terra di mezzo” tra l’infanzia e l’età adulta che queste problematiche si “slatentizzano”, per citare l’espressione più utilizzata dagli specialisti. È perlopiù tra i 9 e i 14 anni, infatti, che si possono registrare i primi segni di questi disturbi.

La diagnosi precoce fa la differenza

Sapere quali segnali cogliere per sospettare la diagnosi di un disturbo del comportamento alimentare è fondamentale per i genitori. Di norma queste problematiche – secondo i dati del Ministero della Salute, in Italia sono circa tre milioni i giovani che ne soffrono – si manifestano tra i 15 e i 19 anni. Ma i problemi spesso covano sotto la cenere da tempo.

“Negli ultimi vent’anni si è assistito al manifestarsi sempre più precoce dei disturbi alimentari: soprattutto tra le bambine non è raro rilevare casi tra gli 8 e i 9 anni, nel momento in cui iniziano a percepire la propria immagine corporea – afferma dal suo osservatorio Giuseppe Banderali, direttore dell’unità operativa complessa di pediatria dell’ospedale San Paolo di Milano -. Ecco perché, a partire da questa età, un genitore deve essere preparato a registrare eventuali campanelli di allarme”.

Quando i pasti sono al centro di tutto

Che sono tanti, e diversi e non si limitano al rifiuto del cibo. “A eccezione del disturbo evitante restrittivo dell’assunzione di cibo, il problema è la percezione che si ha del proprio corpo e del cibo: quando i pasti e ciò che si mangia finisce al centro di tutto, è il caso di alzare il livello di guardia, aggiunge l’esperto, che è anche vicepresidente della Società Italiana di Pediatria.

Cogliere in anticipo i segnali dell’anoressia

Nella maggior parte dei casi, come detto, alla base di questi disturbi vi è un’attenzione ossessiva nei confronti del proprio corpo. Non stupisce, dunque, che in partenza quasi tutti i casi condividano l’eccesso di peso. Uno studio appena pubblicato su Jama Pediatrics ha confermato come un elevato indice di massa corporea rappresenti un fattore di rischio: potenzialmente in grado di lasciare spazio tanto all’anoressia (si evita di mangiare avendo come obiettivo il dimagrimento) sia la bulimia (non si riesce a evitare di mangiare, ma si fa il possibile per ridurre al minimo le “conseguenze” sulla forma fisica).

L’anoressia

Nelle manifestazioni, i disturbi del comportamento alimentare hanno delle caratteristiche peculiari. Partiamo dal più diffuso, l’anoressia (42,3 per cento del totale). Un problema prevalentemente femminile (in 9 casi su 10), caratterizzata dalla restrizione calorica finalizzata al raggiungimento di un peso corporeo eccessivamente basso e da una paura eccessiva di diventare grassi.

L’autostima legata alla forma fisica

Pensieri fissi che portano i ragazzi a mettere la forma fisica al primo posto della scala di valori che determina l’autostima: anche nel momento in cui il basso peso inizia a rappresentare un serio rischio per la salute. Banderali: “L’anoressia non è una malattia acuta: dei segnali che precedono il manifestarsi della malattia ci sono sempre – aggiunge l’esperto -. Bisogna prestare attenzione, per esempio, a una serie di comportamenti ripetitivi come il guardarsi sempre allo specchio, fare eccessivamente confronti con la forma fisica di un coetaneo, praticare sport fino allo sfinimento. Seguire uno stile alimentare corretto ed equilibrato è importante. Ma quello che diciamo ai genitori è di lasciare liberi i bambini in determinati contesti, come le feste di compleanno. La continua stigmatizzazione di alcuni comportamenti, come il bere bevande gasate o esagerare ogni tanto con i dolci, può determinare un effetto opposto nella testa del ragazzo, che arriva ad azzerare completamente questi consumi”.

Bulimia

Il secondo disturbo più frequente è la bulimia (18,2 per cento), caratterizzata dalle abbuffate di cibo e dai comportamenti compensatori adottati subito dopo: per evitare che l’eccessivo apporto di cibo modifichi la forma del corpo. A differenza dell’anoressia, questo disturbo tende a comparire con una prevalenza molto simile tra ragazzi e ragazze. “Anche in questo caso si possono intercettare alcuni comportamenti ripetitivi”, spiega Arianna Banderali, psicoterapeuta e dirigente medico nell’unità di disturbi alimentari e riabilitazione nutrizionale della casa di cura Villa Garda. I due fratelli sono in vacanza assieme. Ma non si tirano indietro dal confronto.

Abbuffata e poi vomito o lassativi

“Alla base, c’è sempre un’abbuffata di cibo – prosegue la specialista, che è anche vicepresidente dell’Associazione Italiana Disturbi dell’Alimentazione e del Peso (Aidap) -. Subito dopo, compaiono i comportamenti compensativi che puntano a eliminare l’effetto dell’elevato apporto di cibo sull’organismo. Su tutti, il vomito. Ma non è l’unico. C’è chi assume anche lassativi e chi si sfinisce con lo sport nel tentativo di bruciare tutte le chilocalorie in più assunte. Se si intercetta uno di questi comportamenti e soprattutto se si ha un figlio che fa di tutto per non mangiare con i propri genitori o coetanei, è il caso di alzare il livello di guardia”. Stringendo le maglie dei controlli, confrontandosi con il proprio ragazzo. Ed, eventualmente, parlandone con un pediatra.

Come riconoscere gli altri disturbi del comportamento alimentare?

Fin qui, le indicazioni per i disturbi più noti. Ma non gli unici. C’è per esempio il disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating disorder). Le prime manifestazioni (abbuffate) sono analoghe a quelle che si rilevano in caso di bulimia. Oltre che nell’origine, talvolta da ricondurre a problemi di natura emotiva, la differenza è rappresentata dall’assenza dei comportamenti compensatori. La similitudine tra le due condizioni non impedisce comunque il passaggio da una (il binge eating disorder) all’altra (la bulimia).

Quando sono troppo selettivi a tavola

“Di norma la tendenza a compensare l’eccessivo apporto di cibo compare nel momento in cui un ragazzo percepisce il proprio peso corporeo come eccessivo”, aggiunge l’esperta. Nell’ultima versione del manuale per la diagnosi dei disturbi mentali (DSM-5) inoltre stata riportata un’altra condizione. Si tratta del disturbo da evitamento o restrizione dell’assunzione di cibo (Arfid), che si riscontra nel momento in cui un bambino è molto selettivo a tavola e tende a escludere la maggior parte dei cibi: al punto da non soddisfare più le sue necessità nutrizionali, andare incontro a una perdita di peso significativa e vivere i pasti come occasioni di forte tensione emotiva.

Una malattia complessa

“Non siamo di fronte al classico figlio che non mangia uno o più pietanze, cosa piuttosto diffusa – chiarisce il pediatra -. Ma a una malattia particolarmente complessa, che si manifesta nel momento in cui i comportamenti di evitamento determina una significativa perdita di peso e un’alterazione della crescita: in termini di peso e altezza”. Anche in questi casi, che di norma derivano da un trauma nel corso dell’infanzia o dall’eccessiva ansia di uno o di entrambi i genitori, una “spia” è rappresentata dal desiderio dei bambini di mangiare da soli: evitando tutte le occasioni conviviali.

Oltre 90 i centri di cura sul territorio nazionale

Anche per far fronte a un bisogno di salute crescente, l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato l’elenco delle strutture che si occupano della diagnosi e della cura dei disturbi del comportamento alimentare. Dalla mappatura – l’elenco annovera 91 presidi pubblici, ma sarà integrato anche con quelli della sanità privata convenzionata – emerge una maggiore capillarità nelle Regioni del Nord Italia. Spicca l’Emilia Romagna, con sedici centri. 

Gli interventi disponibili nei centri

Diverse le tipologie di intervento disponibili, sovente integrate: psicoterapeutico (individuale, famigliare o di gruppo), psicoeducativo, nutrizionale, farmacologico e di riabilitazione fisica e sociale. Percorsi residenziali – che prevedono il ricovero – sono previsti nel 17 per cento delle strutture.

Lo schema corretto: 3 pasti e 2 spuntini

“La riabilitazione nutrizionale punta a ripristinare l’adozione di uno schema alimentare corretto: strutturato su tre pasti principali e due spuntini – conclude la psicoterapeuta -. I dati scientifici ci dicono che il recupero di una condizione di normalità come questa riduce del 70 per cento le abbuffate nelle persone che soffrono di bulimia. E, naturalmente, concorre al graduale recupero del normale peso corporeo. Accanto a questo percorso, si aggiunge una terapia cognitiva che punta a ripristinare l’accettazione di piatti o alimenti fino a quel momento temuti. Una volta raggiunto anche questo obbiettivo, le persone sono pronte a lasciare una struttura e a riprendere progressivamente in mano la propria vita.



www.repubblica.it 2022-08-14 05:00:03

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