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Malattia di Crohn, scoperti 10 geni alla base della malattia

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Diarrea, dolori addominali, febbre, perdita di peso, ma anche dolori articolari. I sintomi della malattia di Crohn sono ben noti. Meno però lo sono le cause. L’ipotesi dominante è che giochino un ruolo tanto l’ambiente quanto la genetica. Fattori come il fumo, per esempio, sembrano aumentare il rischio della malattia, così come avere un parente con Crohn. Ma la ricerca è ben lontana dal definire un quadro preciso, che aiuti medici e pazienti a prevenire e soprattutto a curare meglio questa patologia cronica. Qualche nuovo dettaglio sull’origine della malattia arriva però oggi da uno studio pubblicato su Nature Genetics, che ha identificato 10 varianti genetiche che ne influenzano il rischio. E che aiutano a capire anche qualcosa in più sui meccanismi che scatenano la malattia, identificando così nuovi possibili target terapeutici.

A caccia di geni

La ricerca finora si è concentrata molto sugli studi cosiddetti di genome-wide association (GWAS). In sostanza questo tipo di analisi confronta i genomi di persone con e senza una data malattia. Tali studi hanno permesso di identificare varianti genetiche associate alla malattia di Crohn ma, a detta degli autori, per la maggior parte di esse non era chiaro il ruolo nello sviluppo. Per questo nel nuovo lavoro – cui ha collaborato anche l’Italia – i ricercatori si sono concentrati solo sulla porzione codificante del genoma, quella che cioè contiene le istruzioni per la produzione delle proteine (il cosiddetto esoma). E hanno fatto bingo: in questo modo sono riusciti a scovare 10 geni – e relative varianti – associati al rischio di malattia, alcuni sconosciuti finora o rari, e a far luce anche sui meccanismi associati al Crohn.

Una nuova genetica per la malattia di Crohn

Le analisi nel complesso hanno riguardato circa 30 mila pazienti e 80 mila controlli (persone senza la malattia). “La maggior parte delle persone avrà qualche variante genetica che aumenta la suscettibilità alle malattie croniche intestinali perché sono comuni, Queste varianti comuni possono aumentare il rischio di una persona del 10%, per esempio, ma questo non significa che necessariamente si svilupperà la malattia”, ha spiegato Aleksejs Sazonovs, tra i primi autori dello studio: “Alcune varianti rare, invece, possono rendere quattro o cinque volte più suscettibili di sviluppare una malattia infiammatoria intestinale, per questo è così importante localizzare tali varianti e capire quale meccanismo biologico alterano”.

Il ruolo delle cellule mesenchimali

I geni e le varianti che i ricercatori hanno associato alla malattia riguardano meccanismi sono solo in parte noti. Alcuni infatti colpiscono funzioni o componenti del sistema immunitario (l’ipotesi di una disregolazione della risposta immunitaria nel Crohn è ben nota), altri invece puntano alle cellule mesenchimali. Queste cellule – che nell’intestino interagiscono sia con le cellule epiteliali che immunitarie e agiscono come una seconda barriera, scrivono gli autori – giocherebbero un ruolo tanto nello sviluppo che nel mantenimento dell’infiammazione intestinale.

Capire cosa si cela dietro la malattia e quali sono le alterazioni che scatenano i sintomi e le complicazioni aiuta a indirizzare la terapia. Ora i ricercatori proseguiranno con studi genetici sulle malattie infiammatorie croniche intestinali, guardando anche alla colite ulcerosa.



www.repubblica.it 2022-08-30 14:10:09

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