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Scompenso cardiaco, farmaco riduce mortalità e peggioramento della malattia

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Un passo avanti per i pazienti con insufficienza cardiaca in cui la frazione di eiezione ventricolare sinistra (LVEF) è preservata o risulta lievemente ridotta: parliamo di circa la metà dei casi, per i quali attualmente vi è scarsa possibilità di trattamento. Dal Congresso 2022 della European Society of Cardiology (ESC), in corso a Barcellona, arrivano infatti i nuovi dati dello studio Deliver sul farmaco dapagliflozin. I risultati, pubblicati in contemporanea sul New England Journal of Medicine, mostrano che dapagliflozin ha ridotto significativamente la mortalità o il peggioramento della malattia rispetto al placebo anche in questa categoria di pazienti: del 18%. I benefici di questo farmaco si estendono quindi  all’intero spettro di pazienti con insufficienza cardiaca, indipendentemente dal valore della frazione di eiezione. Non solo: è stato mostrato un beneficio sui sintomi (misurati attraverso il punteggio della sintomatologia del Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire – KCCQ) ed è stata confermata la sicurezza del farmaco, non essendoci state differenze tra dapagliflozin e placebo per quanto riguarda gli eventi avversi.

Cos’è l’insufficienza cardiaca

L’insufficienza cardiaca è una malattia cronica e progressiva, che quindi peggiora con il passare del tempo. A livello mondiale, interessa circa 64 milioni di persone ed è la causa principale di ospedalizzazione negli over 65 anni, comportando un importante onere clinico ed economico. In base alla frazione di eiezione del ventricolo sinistro, ossia la misurazione della percentuale di sangue che fuoriesce dal cuore ogni volta che esso si contrae, lo scompenso cardiaco viene classificato in categorie: HFrEF (LVEF minore o uguale al 40%), HFmrEF (LVEF 41-49%, lievemente ridotta) e HFpEF (LVEF maggiore o uguale al 50%, preservata). Le più recenti linee guida sull’insufficienza cardiaca raccomandano attualmente gli inibitori del co-trasportatore di sodio-glucosio tipo 2 (SGLT2), classe a cui appartiene dapagliflozin, per il trattamento dell’insufficienza cardiaca anche in queste ultime due categorie.

Una conferma importante

“I risultati così consistenti dello studio DELIVER sono importanti sia perché dimostrano con chiarezza l’efficacia di dapagliflozin, sia perché rafforzano le più recenti linee guida internazionali, che supportano un più ampio utilizzo degli inibitori di SGLT2 nella pratica clinica”, commenta Michele Senni, Direttore della Cardiologia 1 e del Dipartimento Cardiovascolare dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e Professore di Cardiologia presso l’Università di Milano Bicocca. I nuovi dati, infatti, si aggiungono a quelli dello studio DAPA-HF, il primo con un inibitore degli SGLT2 che ha dimostrato una significativa riduzione della mortalità, fornendo ulteriori evidenze a favore dell’utilizzo di dapagliflozin come terapia di base per i pazienti con insufficienza cardiaca, indipendentemente dalla frazione di eiezione. “Non bisogna dimenticare – conclude l’esperto – che, oltre ai benefici per il trattamento dell’insufficienza cardiaca, la classe degli SGLT2 ha già mostrato evidenti effetti protettivi per due patologie croniche ad essa spesso correlate: la malattia renale e il diabete mellito di tipo 2. Tali multipli benefici, alla luce della visione omnicomprensiva e olistica fortemente auspicata dalla comunità scientifica, ne raccomandano sicuramente l’impiego in un’ampia fascia dei nostri pazienti”.



www.repubblica.it 2022-08-31 10:59:20

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