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Antivaiolosa, i vaccinati sono protetti anche contro Monkeypox

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Non è ancora una certezza fondata. Ma l’ipotesi che la vaccinazione antivaiolosa protegga dal decorso più grave del vaiolo delle scimmie è solida. E se finora ha poggiato le basi su quanto riscontrato nelle precedenti epidemie in Africa, oggi inizia a trovare riscontro negli ospedali italiani.

Gli over 40 già vaccinati contro il vaiolo e che nelle ultime settimane sono entrati a contatto con Monkeypox non sono riusciti a evitare il contagio. Ma hanno affrontato un’infezione asintomatica o comunque lieve. Senza mai dover ricorrere al ricovero in un reparto di malattie infettive. Sebbene il campione di studio sia ridotto, è questo il messaggio che emerge da un lavoro appena pubblicato sul “Journal of Medical Virology” da un gruppo di specialisti dell’ospedale Sacco di Milano e del policlinico Gemelli di Roma.

L’antivaiolosa rende meno grave il vaiolo delle scimmie?

L’articolo descrive il decorso dell’infezione in sei pazienti, di età compresa tra 41 e 64 anni: tutti vaccinati con entrambe le dosi nel corso dell’infanzia. Uomini che a seguito della comparsa di sintomi aspecifici – febbre, mal di testa, diarrea, astenia – o al contatto con persone positive sono stati sottoposti al tampone molecolare e hanno scoperto di essere stati contagiati dal virus che provoca il vaiolo delle scimmie. In quattro casi la malattia si è manifestata anche con le vescicole cutanee, in diversi punti del corpo. Ma nessuno di loro ha necessitato di cure ospedaliere.

“Sono evidenze preliminari, che in attesa di dati più robusti sembrano però confermare un effetto protettivo determinato dalla vaccinazione contro il vaiolo – afferma Davide Moschese, dirigente medico della clinica di malattie infettive 1 dell’ospedale Sacco -. Quattro pazienti avevano sintomi molto vaghi e blandi e hanno fatto ricorso alle cure sanitarie soltanto perché certi di aver avuto un contatto stretto con una persona già positiva. Questo conferma, con ogni probabilità, un effetto protettivo determinato dalla vaccinazione”. Profilassi, che, in alcuni casi, risaliva a oltre 45 anni fa. Segno che la protezione rimane adeguata per un arco di tempo sufficientemente lungo.

Vaccinazione in corso (ma non per tutti)

In passato già altri studi avevano confermato un’efficacia dell’85 per cento di Imvanex – questo il nome del vaccino contro il vaiolo – nei confronti di altri virus della stessa famiglia del vaiolo. Il beneficio, in assenza di test in grado di misurare la quantità di anticorpi liberati dalla vaccinazione, è al momento difficile da quantificare. Ma sulla sua opportunità per alcune categorie di persone – omosessuali, bisessuali e tutti coloro che hanno rapporti ad alto tasso di promiscuità – non sembrano esserci dubbi.

“Nell’epidemia attuale il contagio da uomo a uomo è diventato prevalente – aggiunge lo specialista, prima firma della pubblicazione -. E tra le diverse possibili modalità, quella sessuale sta determinando il maggior numero di casi. Ipotesi peraltro consolidata anche nel nostro lavoro, attraverso la rilevazione del genoma virale nei tamponi uretrali effettuati in due pazienti. Ecco perché, attraverso le associazioni e gli ambulatori che curano le infezioni sessualmente trasmissibili, stiamo cercando di raggiungere coloro che rappresentano il target più sensibile a questo tipo di infezione”.

Un passaggio importante per arginare i casi, dal momento che il maggior numero di contagi si sta registrando tra gli uomini di età compresa tra 35 e 40 anni. Individui che, come ricorda Spinello Antinori, direttore della clinica di malattie infettive 1 del Sacco, “sono nati dopo il 1980 e di conseguenza non risultano vaccinati contro il vaiolo”.

Tra loro anche alcune donne, a cui la vaccinazione non è preclusa: purché rientranti nelle categorie elencate nella circolare del ministero della Salute del 5 agosto. Prevista anche la possibilità di un richiamo per chi, sebbene già vaccinato con Imvanex, appartiene a uno dei gruppi indicati sempre dal ministero.

Pochi i casi che richiedono l’ospedalizzazione

In linea generale, l’attuale epidemia di vaiolo delle scimmie non sembra determinare infezioni particolarmente gravi. In un altro studio pubblicato sul “Journal of Infection”, gli stessi specialisti del polo infettivologico milanese hanno descritto il decorso dell’infezione in 32 pazienti. Le complicanze hanno riguardato sette di loro: quattro dei quali costretti al ricovero. Attualmente la maggior parte dei contagi viene gestita a livello domiciliare, ricorrendo a farmaci utili ad alleviare i sintomi.

“Sulla base di quanto visto finora, possiamo dire che l’ospedalizzazione si sta rendendo necessaria soltanto in presenza di sovrainfezioni batteriche, di un forte dolore segnalato dai pazienti o della difficoltà di isolarsi a casa – conclude Antinori -. In tutti gli altri casi, il decorso della malattia è generalmente benigno. E l’infezione tende a svanire nell’arco di 15-20 giorni”.

Twitter @fabioditodaro



www.repubblica.it 2022-09-02 06:23:35

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