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Riconciliazione terapeutica, così si valutano le interazioni fra farmaci

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Nell’era dell’oncologia di precisione c’è un elemento che non può essere sottovalutato: la complessità del paziente, quasi sempre anziano e affetto da altre patologie oltre quella oncologica, e delle terapie che assume. Già, perché tutto il castello della cura personalizzata rischia di cadere se i medicinali scelti hanno un’interazione negativa. Senza contare l’effetto sulla qualità di vita dei pazienti. Ce lo spiega Paolo Marchetti, Direttore Scientifico IDI di Roma, Ordinario di Oncologia all’Università La Sapienza di Roma e Presidente della Fondazione per la Medicina Personalizzata. 

Prof. Marchetti, in oncologia cosa si intende per “riconciliazione terapeutica”? 

I farmaci specifici per la patologia oncologica vengono scelti per ciascun paziente dopo un percorso, più o meno lungo, d’identificazione delle caratteristiche cliniche e biologiche del malato e della sua patologia. Bisogna tenere conto di tutta una serie di parametri e aspetti riguardanti le condizioni specifiche del singolo malato. Tuttavia, questo impegnativo percorso diagnostico-terapeutico può essere vanificato da possibili interazioni tra i farmaci oncologici e quelli assunti per altre malattie che spesso sono presenti. Questo è il principio della riconciliazione terapeutica: fare in modo che tutte le cure siano compatibili tra di loro.

Può capitare che un vostro paziente sia sotto trattamento medico per altri problemi di salute?

Sì, è una condizione clinica molto frequente e spesso siamo di fronte a malattie croniche tipiche della terza età, come ipertensione e diabete. Non va dimenticato che la metà dei casi di cancro colpisce uomini e donne con più di 70 anni. In un lavoro pubblicato da Graziano Onder, geriatra del Policlinico Gemelli, qualche anno fa, oltre il 60% degli uomini e donne ultrasessantacinquenni (oltre 12 milioni di persone) del nostro Paese assumeva ogni giorno più di 4 farmaci, con più del 10% che ne assumeva oltre 9. 

Al Congresso ESMO 2022 avete presentato uno studio sulla riconciliazione terapeutica. Di che si tratta?

Abbiamo condotto un’analisi relativa a 170 pazienti in cura presso 20 centri oncologici italiani colpite da carcinoma della mammella metastatico. Tutte le partecipanti erano trattate con farmaci inibitori delle chinasi ciclina-dipendenti CDK4/6. Lo studio, AB-Italy, ha visto coinvolte 170 pazienti e ha confermato l’efficacia dell’abemaciclib nella pratica clinica reale. Insieme agli autori dello studio principale, abbiamo valutato eventuali interazioni negative tra farmaci oncologici e quelli contro altre patologie concomitanti. 

Come avete analizzato i dati dei pazienti selezionati per la ricerca? 

Abbiamo utilizzato un’apposita e innovativa piattaforma informatica sviluppata da una collaborazione tra l’Università di Berlino Charité e l’Università Sapienza di Roma, Drug-Pin. La piattaforma assegna un punteggio alle combinazioni dei farmaci e quindi con poche e semplici operazioni al computer è possibile rendere più armonica l’integrazione tra le diverse terapie.

Quali risultati avete ottenuto e che vantaggi possono esserci per i pazienti?

Abbiamo individuato un gruppo di 38 partecipanti per le quali la piattaforma indicava un punteggio negativo e che quindi assumevano farmaci che portavano a un’interazione negativa. Questi malati avevano una PFS (sopravvivenza libera da malattia) inferiore di 6 mesi rispetto a quelli che non registravano un punteggio negativo. E’ evidente che queste interazioni hanno una grande rilevanza clinica. Infatti, un farmaco che è in grado di garantire una PFS di 6 mesi è considerato come una terapia attiva ed efficace. Tutti i benefici prodotti dall’innovazione e dalla ricerca rischiano di essere annullati. In questo senso la riconciliazione terapeutica è un partner indispensabile dell’oncologia di precisione. 

Quindi l’oncologia medica è sempre più impegnata a trovare la terapia più adeguata per il singolo paziente?

Lo studio che abbiamo recentemente condotto, e presentato ai colleghi europei a Parigi, ci pone una sollecitazione. Ancora una volta risulta chiaro che, in tempi di oncologia di precisione, l’identificazione di bersagli terapeutici e l’impiego di farmaci attivi è un risultato straordinario nella cura dei tumori, ma non è tutto. Dobbiamo prestare grande attenzione al paziente che ospita il tumore mentre troppo spesso siamo focalizzati solo sulla neoplasia. Tendiamo a dimenticarci che il cancro presenta molte e diverse interazioni e le cellule tumorali sono solo una parte del problema. 

Avete in progetto altri studi come Fondazione per la Medicina Personalizzata su questo tema?

I dati presentati erano relativi a donne colpite da carcinoma mammario e sono già in parte confermati da altri che stiamo raccogliendo su pazienti con melanoma metastatico BRAF mutato e trattati con farmaci a bersaglio molecolare, dove si conferma il dato di 6 mesi di vantaggio in PFS nei pazienti che non avevano un punteggio negativo di interazione farmacologica, valutato con Drug-Pin. Questo studio a breve verrà pubblicato. 

Il nostro Paese si conferma all’avanguardia nel campo della ricerca clinica oncologica?

Certo. È quanto emerso all’ultimo congresso ESMO di Parigi per quanto riguarda anche l’oncologia di precisione. La valutazione complessiva del paziente deve essere una nostra priorità, non è più sufficiente analizzare solo le cellule tumorali. E’ questo uno degli obiettivi che ci siamo posti con la nascita della Fondazione per la Medicina Personalizzata. 

 



www.repubblica.it 2022-09-13 11:59:59

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