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Tumori, il 71% delle persone transgender non accede agli screening

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Un uomo con tumore alle ovaie, una donna con tumore alla prostata. Una situazione che gli oncologi devono cominciare a prendere sempre più spesso in considerazione, visto che la popolazione transgender e gender non conforming (cioè di genere diverso da quello dichiarato alla nascita), è in aumento. E i primi tra coloro che hanno intrapreso in passato un percorso di transizione verso l’altro sesso stanno ora raggiungendo l’età nella quale il rischio di sviluppare una qualche forma di tumore diventa più concreto. Di loro si parla oggi ad Assisi, al Convegno Aiom sulle Giornate dell’etica in Oncologia. “Tra il 2 e il 4 per cento dei pazienti oncologici in trattamento attivo presso la nostra struttura è transgender”, dice per esempio Davide Dalu, oncologo al Sacco di Milano, “eppure gli operatori sanitari non sono ancora pronti ad accogliere e gestire nel migliore dei modi questi pazienti”, aggiunge Dalu, se è vero che – come dimostrano i risultati di una indagine realizzata in collaborazione con ELMA Research su 190 persone transgender e gender non conforming – gli ospedali rappresentano il quinto luogo in cui questi pazienti subiscono discriminazioni (dopo gli spazi comuni all’aperto, la scuola, i mezzi di trasporto pubblici e i locali notturni). Il 32% infatti riferisce di essere stato vittima di comportamenti discriminatori da parte del personale sanitario. Una discriminazione che può assumere diverse forme: dall’utilizzo del nome assegnato alla nascita al posto di quello scelto, ad atteggiamenti di curiosità inappropriata, a un comportamento meno rispettoso di quello riservato agli altri pazienti, all’ignorare necessità specifiche, al biasimo per il problema clinico fino all’utilizzo di un linguaggio aggressivo. Le cause? La mancanza di esperienza nel trattamento dei problemi specifici di queste persone, la scarsa conoscenza delle loro esigenze cliniche, talvolta anche paura o pregiudizio.

Discriminazione e difficoltà di accesso a prevenzione e cure

Dall’altro lato, quasi la metà degli oncologi (46,2%) riconosce che questi pazienti siano discriminati nell’accesso all’assistenza oncologica e il 18,4% è stato testimone di episodi di questo tipo riconducibili all’identità di genere da parte di operatori sanitari. Una delle conseguenze di questa distanza tra la popolazione LGBTQI+ e il mondo dell’assistenza sanitaria è che il 71 per cento delle persone transgender non ha mai partecipato ad alcun programma di screening anticancro, e quasi un terzo non è in grado di trovare informazioni specifiche per la prevenzione oncologica declinate sulla propria condizione specifica. Molte di loro, inoltre, accedono ai centri per affrontare i problemi oncologici con sensibile ritardo (67,9%), non hanno fiducia nei professionisti della sanità (57%), non accedono del tutto ai centri di cura (44,6%) e non ricevono cure appropriate (22,6%).

Comprendere e gestire il rischio di tumore nelle persone transgender

E invece il rischio di tumore per questa popolazione c’è e va riconosciuto: nella fase di transizione fra i sessi, queste persone vanno incontro a cambiamenti biologici così importanti da poter favorire l’insorgenza del cancro. “Penso per esempio alla somministrazione di ormoni nelle transizioni MtF, cioè da uomo a donna, per inibire la crescita dei peli o per sviluppare il seno”, sottolinea Saverio Cinieri, Presidente Nazionale AIOM, “aumentando il rischio di tumore”. Non solo: anche in seguito a chirurgia per la trasformazione dell’apparato genitale, la prostata può non essere rimossa e diventare sede di tumore. Con un contorno di questioni legali se il medico di famiglia non può prescrivere un esame del PSA (il marcatore che si utilizza per valutare il rischio di neoplasia alla prostata) a quella che anche all’anagrafe è ormai una donna.

Formare gli operatori sanitari

Questioni complesse, delicate, spesso sommerse, che coinvolgono aspetti biologici, psicologici, sociali. Che Aiom ha deciso di affrontare, visto che negli ultimi 5 anni il 41,3% degli oncologi ha curato almeno un paziente transgender o gender non conforming colpito da tumore. “L’Oncologia si deve aprire alle molteplici sfaccettature della società e deve essere pronta ad accoglierle con un linguaggio inclusivo – spiega Giordano Beretta, Presidente Fondazione AIOM – Così come individuiamo i sottogruppi di pazienti in base alle alterazioni molecolari per scegliere il trattamento migliore, dobbiamo anche capire come trattare alcuni gruppi di pazienti che hanno bisogno di particolare attenzione per essere curati al meglio”. Per migliorare la qualità dell’assistenza, continuano gli oncologi riuniti ad Assisi, è necessario implementare la formazione dei professionisti, investire in campagne istituzionali per proteggere questi cittadini da ogni forma di discriminazione basata sull’identità di genere e prevedere studi clinici che li includano, considerando le loro specifiche esigenze.

“La scelta di occuparsi della salute della comunità LGBTQIA+ pone Aiom in linea con le decisioni adottate da tempo dalle società scientifiche dei principali Paesi Europei e degli Stati Uniti”, aggiunge Filippo Pietrantonio dell’Oncologia Medica Gastroenterologica alla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano e membro del Direttivo Nazionale Aiom. “È necessario impegnarsi di più per ridurre le disparità di accesso ai trattamenti e agli screening anticancro, che ancora esistono per alcune categorie. Spesso il timore di subire discriminazioni rappresenta per questi cittadini una barriera nei confronti della prevenzione e delle cure”.



www.repubblica.it 2022-09-23 17:07:34

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