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La parola alle donne con tumore al seno: “Non chiamateci guerriere”

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Non l’ennesimo vademecum, non un decalogo, non un altro elenco di consigli per le pazienti su come dovrebbero vivere la loro condizione. Questa volta è il contrario: sono le pazienti a parlare. Quelle che con il cancro ci convivono, che non guariscono, ma che il tumore lo “tengono a bada”. Farmaco dopo farmaco, esame dopo esame, giorno dopo giorno, a volte anno dopo anno. Oggi condividono i loro pensieri. Appunti molto ragionati. Meglio, delle note. Eccoli.

 

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Le “Note di vita”

1. Non chiamateci guerriere, ma solo donne che affrontano il dolore

“La capacità di reagire alle situazioni non mi dà l’etichetta di ‘combattente’ o di ‘soldato’. La forza la trovi in te o la cerchi nelle persone, nell’associazione, nel medico… Non è questione di eroismo, ma di rispondere a una situazione”.

2. La malattia cambia la vita, ma allo stesso tempo dà la forza per affrontarla

“La diagnosi mi ha stravolto, ma la malattia mi ha fatto scoprire una forza che non pensavo di avere e che mi ha aiutato ad affrontare questo cambiamento”.

3. Il tempo è come una cura: più aumenta, più fa crescere in noi la speranza

“Il tempo è veramente una cosa importante per noi. Quando non mi sento benissimo, il mio pensiero va al domani, nella speranza che mi senta meglio”.

4. Abbiamo bisogno di persone che ci stimolino a vivere il nostro presente

“In una situazione come questa ti rendi conto di essere mortale. Ti viene così da vivere il presente in maniera più intensa, magari stando più tempo con tuo figlio”.

5. Non c’è un modo giusto per accettare la malattia: ognuna lo fa come può

“Accettazione non significa rassegnazione. È la consapevolezza della realtà, e per accettarla devi avere una buona informazione, che ti faccia cogliere nell’insieme tutti gli aspetti della malattia”.

6. Bisogna continuare a fare ciò che piace. Se serve, con l’aiuto di professionisti

“Le mie dottoresse mi fanno fare quello che mi piace, perché quello che mi piace non può fare altro che farmi bene”.

7. L’intimità va oltre il corpo: anche con le nostre cicatrici, siamo donne

“Per molte donne è un tabù. Spogliarsi e sapere di non essere più quelle di una volta è davvero difficile. Per me è stato molto complicato re-instaurare un’intimità con mio marito. Poi, con le giuste cure, ci sono riuscita, ma non è facile assolutamente”.

8. Parlare di sessualità fa bene: non come atto, ma come voglia di ritrovarsi

“Le donne vedono cicatrici nei loro corpi e accantonano la parola intimità. Invece io penso che l’intimità faccia bene nel percorso della malattia e faccia bene parlarne per aiutare le donne a capire che la vita di coppia non è finita”.

9. A volte il silenzio è di supporto più del chiedere continuamente “come stai”

“Non è di aiuto per il paziente avere una persona che ti ripete sempre le stesse cose. Il nostro aiuto è anche stare in pace con noi stesse”.

10. Condividere il peso della malattia aiuta a vivere meglio il tempo

“Solo se diciamo realmente come ci sentiamo e l’altro capisce la situazione in maniera corretta si può dare un aiuto. Il dialogo è ciò che va aiutato”.

Prendersi cura dell’aspetto psicologico-emotivo

Queste dieci riflessioni sono state raccolte sotto il nome di “Note di vita” all’interno del progetto pluriennale “È tempo di vita”, una campagna promossa da Novartis Italia in collaborazione con Salute Donna Onlus per sostenere e informare le donne con tumore al seno metastatico. A ispirare le “note” sono state proprio le testimonianze delle pazienti e delle volontarie dell’associazione emerse nel corso della Life Academy, un ciclo di conversazioni curate dalla psicoterapeuta Stefania Andreoli, per offrire spazi online dove aprirsi e affrontare tutti gli aspetti della malattia.

La ricerca dell’armonia

“La parola ‘note’ vuole rimandare all’idea dell’armonia, possibile persino quando non ci sente bene – spiega l’esperta -. Sono i loro appunti. Partiamo dal presupposto che se qui c’è qualcosa da imparare, vanno invertiti i ruoli”. Andreoli si sofferma sulla nota numero 9: “Abbiamo fatto un incontro sul caregiving, dove è emerso il tema del silenzio, che è profondamente comunicativo – dice -. Esistono silenzi chiarissimi. Allora perché lo temiamo? Perché a volte lo fraintendiamo e pensiamo che sia vuoto, incapacità di parlarsi, scarsa familiarità. La verità è che rivela le nostre paure. Quando c’è da soffrire si soffre, quando si è spaventati si ha paura, e il silenzio può essere di supporto: inutile tentare di riempirlo con parole vuote”. La psicoterapeuta ricorda quanto l’aspetto emotivo e psicologico possa fare profondamente la differenza per la qualità di vita. “Perché – sottolinea – nelle relazioni ‘guariamo’: non rispetto alla diagnosi, ma rispetto alla possibilità di essere sollevati, di tessere legami significativi, di scegliere le parole per raccontare e raccontarci”.

“Non chiamateci guerriere”

Il 13 ottobre, giornata dedicata alla sensibilizzazione sul tumore metastatico, andrà online l’ultimo incontro della Life Academy, che ha raggiunto oltre 56 mila utenti nei suoi canali Facebook e Instagram. “Queste donne cercano la condivisione del loro dolore, che è qualcosa di molto diverso dal pietismo – afferma Anna Maria Mancuso, presidente di Salute Donna Onlus -. Il dolore della diagnosi di tumore al seno metastatico spacca la vita e i sentimenti. Affrontarlo non rende le pazienti delle guerriere che non cedono mai. Alti e bassi ci sono sempre. Ma affrontare con loro il dolore, significa stemperarlo”.

Un cambiamento cominciato 10 anni fa

Fino a pochi anni fa delle donne con tumore al seno metastatico non si parlava. Allora la sopravvivenza mediana raggiungeva appena i 2 anni, mentre oggi supera i 5 anni. “Può sembrare poco ma non lo è: significa che la metà delle pazienti vive più di cinque anni. E dagli studi clinici non sappiamo ancora neanche quanto, perché la risposta ai nuovi farmaci perdura per una buona quota di loro – spiega a Salute Seno Michelino De Laurentiis, direttore del Dipartimento di Oncologia Senologica e Toraco-Polmonare dell’Istituto nazionale tumori Irccs Fondazione ‘G. Pascale’ di Napoli -. Adesso, infatti, possiamo avvalerci di molecole appartenenti alla categoria degli inibitori delle cicline che sono in grado di raddoppiare la sopravvivenza rispetto alle precedenti terapie e stiamo così andando verso un traguardo importante, che chiamiamo cronicizzazione dello stadio avanzato. La rivoluzione è cominciata circa 10 anni fa e forse tra 10-20 anni potremmo parlare di guarigione”.

La sfida: individuare il problema dalla diagnosi

Una delle sfide della ricerca è individuare, fin dalla diagnosi, le pazienti che hanno le maggiori probabilità di rispondere a un determinato farmaco e chi , invece, dovrebbe invece essere trattata in modo diverso. Tra gli studi che si stanno conducendo in Italia c’è BioItaLEE, coordinato proprio da De Laurentiis. Che sottolinea: “Allo studio partecipano 287 donne, tutte trattate con ribociclib, uno dei nuovi inibitori delle chinasi ciclina-dipendenti CDK 4/6, e letrozolo. Il nostro obiettivo è individuare dei marcatori nel sangue che ci indichino le pazienti più sensibili a questo farmaco. I primi risultati ci hanno permesso di distinguere tre gruppi, tra cui uno altamente responsivo, ossia con una possibilità di controllo della malattia superiore a quello mostrato dagli studi clinici sul farmaco”.

“All’estremo opposto c’è chi va in progressione dopo pochissimo tempo – conclude l’oncologo -. Ora vogliamo andare più nel dettaglio: individuare quali, tra le mutazioni che insorgono con la resistenza, ne sono responsabili. Per comprendere se possiamo impiegare altri farmaci già disponibili o come svilupparne di nuovi”.



www.repubblica.it 2022-10-07 09:29:09

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