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Sanità privata. Quando le autorizzazioni non seguono la programmazione

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di Ettore Jorio

Gli atti di programmazione e di indirizzo sono troppo sottovalutati e troppe le redazioni di proposte compiute da dirigenti creativi e agenti a mano libera. Mentre nessun provvedimento autorizzativo, figuriamoci di accreditamento, può essere rilasciato se non in stretta compatibilità con il fabbisogno assistenziale determinato dall’organo politico regionale

07 OTT

Il supporto del privato, nel garantire l’assistenza sociosanitaria alla popolazione, è dato attraverso una organizzazione erogativa fondata sulla «concorrenza amministrata», intendendo per tale il regime di “quasi mercato” introdotto dalla riforma ter del 1999.

Una convivenza mercatile concorrenziale che dovrebbe far bene al prodotto salute
Una specificità, quella della concorrenza amministrata, dettata:

  • da una equiparazione formale tra gli erogatori pubblici e i privati;
  • dalla libertà dell’utenza di rivolgersi agli uni e gli altri in relazione ad un rapporto di fiducia;
  • dall’esercizio della competenza regionale sia a legiferare nel dettaglio che a livello amministrativo, con conseguenziale rilascio dei provvedimenti di autorizzazione e di accreditamento, sulla base del fabbisogno specifico e condizionante rilevato anche in termini di utile localizzazione, ovvero nella stipula degli accordi, di cui al vigente 8 quinquies Dlgs. 502/92, delegabile alle aziende sanitarie titolari del diritto di perfezionamento dei contratti con gli erogatori privati, nei termini dei budget disciplinati dalla medesima norma;
  • dalla titolarità degli accreditati privati di erogare i Lea in nome, per conto e a carico del SSN;
  • dalla aspettativa del miglioramento quali-quantitativo progressivo dell’offerta salutare, attraverso il consolidamento di mercato erogativo della salute in senso lato, nel quale le due tipologie di prestatori autoalimentassero una corsa al rialzo dell’efficienza ed efficacia della loro erogazione;
  • dalla esigenza “imprenditoriale” di entrambi di conseguire, specie nella spedalità, produzioni – generate dalla libera scelta fiduciaria del cittadino – tali da rendere sostenibili i bilanci con definizioni di utili di esercizio soddisfacenti per il privato erogatore. In una siffatta logica, direttamente connessa con la specificità del libero mercato, è da rilevare una contraddizione in termini. Essa riguarda la comparazione di due diverse attese legislative in relazione alla offerta istituzionale ospedaliera di pretendere: dalla spedalità pubblica, nel divieto di generare utili di esercizio attesa la perfetta coincidenza, ancorché forfettizzata, del valore DRG con la puntuale esigibilità dei Lea; da quella privata destinata, con la stessa retribuzione mediante gli anzidetti ROD a rendicontare utili di impresa, oltre a quelli satisfattivi degli investimenti effettuati. Una differenza cui dovrà offrirsi una declinazione diversa magari proseguendo il cammino intrapreso con la legge del mercato e della concorrenza 2021, della quale accenneremo, anche a cura dele Regioni che dovranno regolare la materia nel dettaglio.

Un po’ di storia non fa maleIl rapporto del sistema pubblico con l’erogatore privato viene da molto lontano, da quando vennero introdotte le casse mutue, sistematizzate a partire dal 1943, e quindi via via trasformatosi in quello attuale.

Prima (ante riforma del 1978) costituito attraverso le convezioni, residuate oggi con i medici di famiglie e le farmacie, cui è succeduto il regime cosiddetto delle «3 A». Un sistema, quest’ultimo, imperniato sull’autorizzazione, sia alla realizzazione che all’esercizio, sull’accreditamento istituzionale, rilasciato solitamente dalla Regioni, e sul contratto da stipularsi tra le aziende sanitarie e l’erogatore privato accreditato, al quale viene concesso un budget annuale sia in termini di volumi che di valore.

Un percorso amministrativo, formato da una sequela procedurale che rintraccia:

  • nell’autorizzazione, il provvedimento ove la PA rimuove l’ostacolo all’esercizio di un diritto preesistente, consentendo al destinatario di avvalersi di esercente l’attività sociosanitaria pretesa in nome del SSN;
  • nell’accreditamento, il provvedimento autorizzativo ma di natura concessoria, corrispondente ad una sorta di idoneità, con il quale viene consentito al titolare beneficiario di esercitare la propria attività, già autorizzata, in nome e per conto del SSR;
  • nel contratto, il negozio concluso con le aziende sanitarie ovvero con le Regioni attraverso il quale viene consentito all’erogatore firmatario accreditato di esercitare la propria attività anche a carico del SSN, nei limiti convenuti del budget assegnato a titolo di massimo corrispettivo elargibile.

Il tutto a condizione che …
Importanti però sono i presupposti necessari all’instaurazione del rapporto pubblico/privato. Elementi indispensabili sono la rilevazione e la determinazione del fabbisogno relativo alle branche, sulle quali intervenire istaurando un sano regime di concorrenza amministrata, e l’inventario dell’esistente corrispondente offerta pubblica, contestualizzata alla localizzazione e diffusione della presenza sul territorio.

Da qui, una differenza, incrementata di una percentuale di cosiddetta tutela del servizio anche in caso di cessazione di servizio di un qualsivoglia prestatore pubblico o privato, disponibile sia in relazione alle richieste di autorizzazione all’esercizio – diverse da quelle indispensabili ai singoli professionisti di fare il loro mestiere caratterizzate dalla dovutezza – e di rilascio di accreditamento istituzionale.

Attenti ai nei che possono tramutarsi in melanomi metastatici
Risultano, dunque, errati tutti i numerosi rilasci acritici di provvedimenti di autorizzazione, sia alla realizzazione (delegata solitamente ai sindaci previo parere regionale) che all’esercizio, e di accreditamento moltiplicatisi in tempi di post Covid, in Regioni a basso tenore e qualità di burocrazia, senza una preventiva analisi e definizione dei fabbisogni epidemiologici relativi, debitamente influenzati dalla localizzazione di quanto esistente. Una sequela comportamentale, questa, biasimevole e seriamente compromissiva della buona  distribuzione territoriale delle strutture di assistenza a tutto vantaggio di un privato che pretende ben oltre il dovuto.

Gli atti di programmazione e di indirizzo sono troppo sottovalutati
E’ vero, tutto ciò accade perché si arriva da una logica di semplificazione autorizzativa, a fronte della quale verifica attribuita alla burocrazia dedicata all’istruttoria e alle verifiche del possesso dei requisiti un potere indebito, consistente nel “decidere” ed effettuare, con magnanimità e non solo, la presentazione alla firma dei decisori dei provvedimenti autorizzativi  e di accreditamento senza una preventiva verifica del dovere di soddisfare un fabbisogno scoperto per tipologia specifica.

Ciò è accaduto, spesso, perché questo programma individuativo delle necessità assistenziali da soddisfare ex lege,  è stato addirittura trascurato dall’organo politico obbligato a definirlo con propri provvedimenti di indirizzo, con conseguente impossibilità di rilascio del benché minimo provvedimento, che risulterebbe viziato amministrativamente e produttivo di danni erariali, considerata la sua propedeuticità alla conclusione di contratti degli erogatori accreditati con le aziende sanitarie.

Troppe le redazioni di proposte compiute da dirigenti creativi e agenti a mano libera, di sovente causa di errore di provvedimenti superiori e di accreditamento definitivamente firmati, rispettivamente, da altri dirigenti ovvero da organi decisori regionali.

Una siffatta brutta esperienza che seguì alla semplificazione autorizzativa tout court – codificata, per esempio, dalla Regione Lazio nel 2019 (regolamento nr. 20 attuativo della L.R. nr. 4/2002) – rintracciò il suo limite temporale con la entrata in vigore di una nuova legge laziale dello scorso anno (L.R. nr. 14/2021). Da quella data, infatti, è stato reintrodotto il naturale limite di frenare il rilascio di provvedimenti autorizzativi all’ingrosso, a partire da quelli finalizzati alla realizzazione di strutture anche ambulatoriali, condizionando gli stessi al fabbisogno assistenziale relativo e alla localizzazione di maggiore utilità pubblica.

Dal che
Tutto questo è rafforzativo del superiore e inderogabile principio che nessun provvedimento autorizzativo, figuriamoci di accreditamento, può essere rilasciato se non in stretta compatibilità con il fabbisogno assistenziale determinato dall’organo politico regionale. Dal che, per l’appunto, il decisore politico regionale dovrà approvare la programmazione regionale territoriale, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del d.lgs. 165/2001, tenendo conto del suo obbligo di soddisfacimento delle improrogabili esigenze di salute della propria collettività.

Senza ciò, il tutto diventa impossibile e se “perfezionato” è illegittimo.

Ettore Jorio
Università di Calabria

 

07 ottobre 2022
© Riproduzione riservata


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