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Sul tavolo operatorio la chirurgia è unisex (almeno nei risultati)

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Sono una minoranza eppure a loro vengono affidati i casi più difficili. Ancora vittime di stereotipi, le donne specializzate in chirurgia sono state soggetto di studio da parte di un gruppo di ricercatori giapponesi, che hanno appena pubblicato i risultati della ricerca sul BMJ. La conclusione? Non ci sono differenze di performance tra chirurghi uomini e donne.

Nessuno stupore, quindi. Ma perché dunque questa ricerca? Per richiedere maggiori opportunità per le donne specializzate in chirurgia e per contribuire a ridurre la disuguaglianza di genere.

Percentuali basse

Le  chirurghe in generale rappresentano il 28% (nel 2019), il 22% (nel 2019) e il 33% (nel 2017) dei chirurghi rispettivamente in Canada, Stati Uniti e Regno Unito. In Giappone, la percentuale di medici donna è del 22% e in chirurgia è pari al 5,9%. In Italia la presenza delle donne che si iscrivono a Medicina è aumentata, ora rispecchiano quasi il 60 per cento del totale, ma quelle che scelgono poi chirurgia rimangono poche.

 

Anche qui ci sono delle eccezioni, come nel caso dell’ospedale Morgagni-Pierantoni di Forlì, che nel suo staff ha due donne rispettivamente a capo del reparto di Urologia, la dottoressa Roberta Gunelli, e di quello di Chirurgia Senologica, la dottoressa Annalisa Curcio.

“La professione del medico è ricca di soddisfazioni, ma pretende una dedizione assoluta e la vita sociale e familiare sono fortemente influenzate da questa necessità, quindi la scelta, sia per le donne che per gli uomini, deve partire da importanti motivazioni personali”,  spiega Roberta Gunelli, primaria di Urologia e specializzata in chirurgia robotica. “La sala operatoria con i suoi tempi, spesso non prevedibili, rende la compatibilità con una vita ‘regolarè ancora meno facile”.

Servono energie duplicate

Della stessa opinione la dottoressa Annalisa Curcio, primaria di chirurgia senologica. “La chirurgia richiede energie fisiche oltre che mentali, abilità nell’uso delle mani, disponibilità di tempo illimitato e imprecisato, capacità decisionali, doti da sempre attribuite al sesso maschile, ma non proprio così specifiche del genere, né in contrasto con la maternità. Per essere mamma e chirurgo servono energie duplicate, è certamente più impegnativo e faticoso, ma non impossibile se la chirurgia non è solo una scelta professionale ma una vocazione e una grande passione”.

Donne e uomini pari merito

Tornando allo studio su BMJ, i ricercatori hanno utilizzato il National Clinical Database (NCD) giapponese, che include dati su oltre il 95% degli interventi chirurgici eseguiti in Giappone, per confrontare gli esiti chirurgici di chirurghi donne e uomini dal 2013 al 2017.

Hanno preso anche in considerazione la mortalità postoperatoria (entro 90 giorni dall’intervento), le complicanze chirurgiche (entro 30 giorni) e i termini di licenza del chirurgo.

La ricerca è stata portata avanti su tre procedure comuni per il cancro dello stomaco e del retto: gastrectomia distale, gastrectomia totale e resezione anteriore bassa. L’analisi ha incluso 149.193 interventi di gastrectomia distale, 63.417 interventi di gastrectomia e 81.593 interventi di resezione anteriore bassa.

Alle donne pazienti a rischio alto

Solo il 5 per cento di questi interventi sono stati eseguiti da donne e, secondo lo studio, proprio loro avevano maggiore probabilità di essere assegnate a pazienti ad alto rischio, ossia con malattia a stato avanzato o malnutriti. Nonostante questo, i ricercatori non hanno riscontrato differenze nei tassi di mortalità o complicazioni chirurgiche tra uomini e donne. È poi emerso che le donne avevano anche meno anni di specializzazione e meno esperienza in interventi poco invasivi. Questo probabilmente è dovuto al fatto di avere ridotte opportunità di formazione perché collegate all’archetipo del ruolo tradizionale della donna, tra cui la cura della famiglia. I punti di forza dello studio sono stati l’utilizzo di un database clinico molto accurato in termini di condizioni preoperatorie dei pazienti e di esiti chirurgici, nonché la considerazione di importanti fattori legati al paziente per le singole procedure selezionate.

“Ho incontrato grandi difficoltà nella mia esperienza personale per il duro percorso di formazione chirurgica che in Italia, rispetto agli altri Paesi europei, risulta più complesso soprattutto nella formazione pratica – spiega la dottoressa Curcio –  Le persone che incontri nel tuo iter formativo possono avere un ruolo importante e determinante. Io sono stata molto fortunata perché i professionisti con cui ho lavorato non sono stati condizionati nelle loro valutazioni e nei loro giudizi dal ‘genere’, ma hanno valorizzato le mie doti e capacità, dandomi la possibilità di crescere e l’opportunità di realizzare i miei progetti. Tutto questo per me è stato possibile grazie al costante supporto della famiglia e della persona al mio fianco, con la quale ho potuto condividere aspirazioni e ambizioni”.

Ma anche di soddisfazioni

“Ho seguito l’evoluzione della chirurgia urologica durante la mia vita professionale e alla tradizionale chirurgia open ho in un primo momento affiancato la chirurgia laparoscopica. Dal 2007, quando il sistema robotico da Vinci è stato acquisito dalla nostra struttura ospedaliera, ho potuto iniziare la attività robotica e per me è stato amore a prima vista”, racconta la dottoressa Gunelli.  “La chirurgia robotica, al momento, rappresenta il sistema ideale per la chirurgia urologica, in particolare nell’ambito della chirurgia oncologica, permettendo dei risultati eccellenti, in particolare nel trattamento del carcinoma prostatico e delle neoplasie renali, consentendo radicalità e riduzione dei tempi di recupero per i pazienti”.

Spunti per ridurre la disparità di genere

Un proverbio inglese recita: “Un buon chirurgo dovrebbe avere tre qualità: un cuore da leone, gli occhi di un falco e le mani di una donna”. Quindi le donne che intendono specializzarsi in chirurgia devono perseverare con determinazione senza rinunciare alla passione. E poi si potrebbe fare altro, come aggiunge la dottoressa Curcio: “Supportare le carriere delle donne con politiche attive per la conciliazione lavoro-famiglia, nella piena consapevolezza che la maternità non è questione privata ma una responsabilità di tutta la società”.  E’ indispensabile quindi una maggiore attenzione da parte delle politiche sociali per rispondere ai bisogni delle famiglie e delle donne, sempre più impegnate  nel mondo del lavoro, ” e che ci sia un maggior riconoscimento delle donne nel mondo scientifico e una uguale accessibilità ai ruoli apicali”. Tutte le altre soddisfazioni arrivano dall’affetto e dalla riconoscenza dei pazienti, “anche quando ti chiamano signora e non dottoressa”.

 

 

 

 



www.repubblica.it 2022-10-08 05:00:02

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