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Procreazione assistita, rischio cancro per i nati con queste tecniche?

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Sono 90 milioni le coppie nel mondo con problemi di fertilità, 25 milioni solo in Europa. E, a ormai più di 4 decenni dalla nascita dell’inglese Louise Brown, la prima bambina nata in provetta, i bambini venuti al mondo grazie alle tecniche di Procreazione assistita, o Pma sono 8 milioni: una schiera lunghissima di genitori e di figli che, molto semplicemente, sono tali grazie alla scienza.

Pma e maggior rischio cancro dei nati

Secondo uno studio di coorte pubblicato a settembre sulla rivista Jama Network Open i bambini concepiti con Pma avrebbero un rischio maggiore di ammalarsi di cancro in età pediatrica rispetto a quelli concepiti naturalmente, e l’incremento riguarderebbe soprattutto, ma non soltanto, i casi di leucemia e di tumori del fegato.

Una conclusione che i ricercatori di Taiwan autori del lavoro hanno raggiunto analizzando con un follow up di 6 anni i dati raccolti dal 2004 al 2017 di oltre due milioni e 300 mila triadi genitori-figlio, un numero che comprendeva coppie che avevano concepito naturalmente, e coppie infertili o subfertili che avevano fatto ricorso a Pma (per dettagli del campione il titolo dello studio è Assisted Reproductive Technology and Risk of Childhood Cancers).

Frequenza attribuibile al caso

“I colleghi di Taiwan –   ragiona Filippo Maria Ubaldi, presidente Sifes-MR, Società Italiana di Fertilità e Sterilità e Medicina della Riproduzione e membro del Tavolo per la ricerca e la formazione nella prevenzione e cura dell’infertilità del ministero della Salute – hanno rilevato numeri davvero bassi, siamo nell’ordine di 12 casi di tumore su 10.000 (in termini percentuali siamo allo 0,00012%) nati da concepimento spontaneo, contro 20 su 10.000 (0,0002% ) nati da Pma: parliamo di 8 casi di tumore in più ogni 10.000 nati, una frequenza assolutamente attribuibile al caso”.

Non c’è relazione causa-effetto

“Attribuibile al caso” è come dire che con percentuali così ridotte, anche se dall’elaborazione dei numeri risultasse una significatività statistica, cioè se, come si dice, il dato fosse ‘statisticamente significativo’, la sua potenza, ovvero la potenza del dato, è in ogni caso molto bassa. “È esattamente così – conferma l’esperto – la presenza di significatività statistica non implica che esiste una relazione di causa-effetto tra Pma e malattia oncologica pediatrica. Basti pensare al numero elevatissimo di fattori confondenti che possono entrare in gioco negli studi come questo di cui parliamo, cioè di quegli elementi che non hanno a che vedere con le tecniche di procreazione assistita, ma che possono comunque influenzare il dato finale”. Possibili fattori confondenti sono per esempio la stessa causa di infertilità dei genitori che ricorrono alla Pma, il loro background genetico, cioè la predisposizione a un rischio aumentato di sviluppare malattie neoplastiche nel corso della vita, “come la positività alle mutazioni dei geni BRCA – riprende a spiegare Ubaldi – e a questi vanno aggiunti la possibile esposizione a fattori inquinanti o nocivi presenti nell’ambiente degli adulti, prima, durante o dopo la gestazione, e l’esposizione ambientale degli stessi bambini, così come il loro stesso background genetico”. 

Negli anni tanti studi

Lo studio sul Jama network open non è il primo e certamente non sarà l’ultimo del suo genere. E giustamente, perché oltre che tema strettamente medico, l’associazione eventuale tra Pma e malattia oncologica pediatrica, è argomento che tocca corde essenziali: in termini umani, emotivi e antropologici. “E infatti negli anni si sono succeduti molti lavori che hanno avuto l’obiettivo di indagare questo ipotetico legame. Ce n’è uno del 2019, pubblicato da oncologi olandesi sulla rivista Human Reproduction che ha osservato un gruppo di oltre 47mila bambini, 24mila dei quali nati con Pma – riprende Ubaldi – e che sembrava aver fornito dati solidi sulla questione: facendo tra l’altro eco a una serie di altri studi precedenti, gli autori concludevano che non c’è alcuna associazione tra tecniche di riproduzione assistita e aumento generale del rischio di cancro nei bambini”. Nello studio di cui parla l’esperto la frequenza delle diagnosi oncologiche è risultata in effetti la stessa indipendentemente dal gruppo di appartenenza, e al termine di un follow-up che è durato oltre 20 anni.

Ben vengano gli studi di monitoraggio

Il follow up, il monitoraggio nel tempo di chi è nato in provetta è fondamentale e va sicuramente incentivato, “ben vengano tutti gli studi che monitorano nel tempo la salute delle persone venute al mondo grazie a tecniche di laboratorio, però in modo che producano dati controllati e solidi – conclude l’esperto – per evitare allarmismi, timori, nei confronti di tecnologie che alle volte rappresentano l’unica speranza di concepimento per le coppie infertili”.



www.repubblica.it 2022-10-18 15:46:53

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