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Giorgia Soleri: “Che dolore non essere creduti per la propria malattia”

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Ci sono ancora oggi patologie aggravate dai tabù. Vivendole sulla propria pelle, la modella e influencer Giorgia Soleri sa bene cosa vuol dire, tanto da essersi data una missione molto precisa: “Far sì che fra dieci anni la prossima Giorgia sedicenne con la vulvodinia, la neuropatia del pudendo o l’endometriosi possa avere da subito una diagnosi, una cura pagata dal Sistema Sanitario Nazionale e un riconoscimento universale della sua patologia cronica”.

La trafila per la diagnosi

Ospite del Festival Salute, intervistata da Benedetta Perilli, Soleri ha raccontato la trafila che ha dovuto subire per arrivare a una diagnosi e il vortice social innescato dalla sua scelta di fare advocacy. “Non è facile essere così esposti. Si viene giudicati per quello che si prova e per quello che si fa. C’è chi non ti crede e ti ributta nel vortice dell’insicurezza che si vive nel lungo percorso alla ricerca di una diagnosi, quando sono anche le persone che ti conoscono a mettere in dubbio il tuo dolore, a darti dell’esagerata. Ma poi arrivano le testimonianze di chi è riuscita ad ottenere una diagnosi e a dare un nome alla propria malattia leggendo quello che scrivo, di chi mi ringrazia perché si sente meno sola in questa battaglia impari”. E tutto il brutto scivola via.

I social e l’incontro con le altre

Grazie ai social, la 26enne ha “incontrato molte “sorelle di dolore”. Le persone che ti vogliono bene ti stanno vicine e ti sostengono, ma logicamente non riescono a comprendere fino in fondo quello che provi perché non lo hanno vissuto sulla loro pelle. Poter parlare e confrontarmi con chi ha le mie stesse patologie è un aiuto fondamentale. E’ terapeutico: la condivisione è il contrario della solitudine, e spezzare il silenzio è lo strumento più rivoluzionario che abbiamo”.

La fibromialgia

Ancora di più nelle ultime settimane, da quando ha ricevuto “la quinta diagnosi. Ho una fibromialgia, una Central Sensitivity Syndrome o anche sensibilizzazione centrale, che probabilmente è la causa a monte delle altre patologie con cui combatto da quando avevo 16 anni. Ci ho messo otto anni ad avere la prima diagnosi, ed è stata contemporaneamente una liberazione che un pugno nello stomaco. E’ difficile da spiegare, ma riuscire dare un nome a una malattia cronica te ne fa avere meno paura perché sai chi è il nemico contro cui devi combattere. Ma quando ho fatto una ricerca su Google sulla vulvodinia c’erano sì e no cinque risultati in italiano”.

Non c’è riconoscimento del Servizio sanitario

Oggi, anche grazie a lei, si trovano 358.000 link, senza contare i post sui social. Ma ancora “non c’è stato il riconoscimento da parte del Sistema Sanitario Nazionale come patologia cronica invalidante. Per far si che questo cambi, e che sia realmente applicato l’articolo 32 della nostra Costituzione che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo, abbiamo fondato il Comitato vulvodinia e neuropatia del pudendo. Professionisti medico-sanitari, associazioni e pazienti attiviste lottano insieme per il diritto alla salute che ci spetta e che al momento non ci è riconosciuto. Nell’aprile del 2021 è stata depositata alla Camera dei Deputati una proposta di legge per riconoscere la vulvodinia come malattia invalidante. Ma dato che è caduto il governo, ora è tutto da rifare”.

Oggi mi sento meno sola

“Era un dolore troppo grande per stare tutto nel mio corpo, avevo bisogno di trasformarlo per renderlo utile anche per me – confessa l’influencer, curatrice della rubrica “(In)visibili” su Salute. Oggi mi sento meno sola perché ho un’intera comunità di persone che provano il mio stesso dolore e capiscono quanto queste patologie siano invalidanti. Io già so che fra due ore pagherò il fatto di aver indossato questi pantaloni stretti perché la vulvodinia può essere anche provocata dal contatto. So cosa vuol dire convivere con il dolore ma al tempo voler fare cose normali che ti possono esporre ancora di più al giudizio di chi non ti crede o ti accusa di inventarti i sintomi. Ma è giusto raccontare anche questo. Un consiglio che mi sento di dare a tutte le donne è di ascoltarsi e rompere il muro vergogna sui sintomi che riguardano la sfera sessuale e genitale. Ogni dolore merita ascolto: non è normale dover soffrire in silenzio”.

 

 

 



www.repubblica.it 2022-10-22 18:34:24

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