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Lingiardi: “Alleanza diagnostica medico paziente non è a senso unico”

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“Dalla scarlattina all’Alzheimer tutti noi prima o poi nel corso della nostra vita riceviamo una diagnosi, un giorno arriva qualcuno seduto dalla parte della scrivania nella posizione di chi osserva che ci dirà qualcosa in termini diagnostici che cambierà la nostra vita in meglio o in peggio, ci farà una diagnosi che ci accompagnerà per un tratto della vita o per sempre, e che magari modificherà il nostro modo di guardare noi stessi o il futuro”.

È con questo estratto del libro “Diagnosi e Destino” (Einaudi) che Daniela Minerva, direttrice dell’hub Salute del gruppo Gedi, inizia il suo colloquio con Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista, professore ordinario alla Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza di Roma, in occasione del Festiva Salute di Roma. È la perfetta introduzione di un tema, quello della relazione tra il paziente e la diagnosi, tra il medico e il suo fare la diagnosi, e tra medico-paziente, che ha molteplici sfaccettature.

“Per il paziente la diagnosi non è semplicemente quel momento in cui l’esperto arriva e gli dice come cambia la sua vita per un mese o per sempre – spiega Lingiardi – ma è anche il momento in cui il paziente incontra e fa conoscenza di sé stesso in una progressiva scansione temporale: dalla sua storia, l’anamnesi, al suo diventare paziente fino alla sua relazione con il futuro”.

Dalla diagnosi quindi scaturisce qualcosa di più della semplice conoscenza del proprio stato di salute. “Quel momento – sottolinea l’esperto – spinge a riflettere su molte cose che non riguardano solamente la dimensione organica, ma anche la dimensione dei rapporti affettivi, del lavoro, della famiglia. È un momento cruciale, a diversi livelli di gravità, ma che è profondamente trasformativo”.

Il risultato di questa profonda riflessione può a seconda della personalità, del proprio vissuto e delle proprie relazioni, scatenare diversi meccanismi di difesa, che vanno dalla negazione fino alla preoccupazione estrema. “La negazione – spiega Lingiardi – porta a ignorare l’ascolto del proprio corpo e questo può portare ad esempio a non seguire le indicazioni del medico, a negare la propria fragilità e necessità di essere curati. La preoccupazione eccessiva, tipica di un quadro ipocondriaco, si manifesta invece con un’attenzione estrema e ansiosa legata alla possibilità di essere ammalati”.

Si tratta di due estremi che si sono manifestati con evidenza ad esempio in pandemia: c’è chi alla positività al virus Sars-CoV-2 ha risposto con una negazione, facendo finta di niente e andando in giro senza problemi, e chi invece ha risposto isolandosi e esprimendo, in alcun casi anche in maniera ossessiva, paura dell’altro. Nel mezzo ci sta la risposta “virtuosa”, quella altruistica. Quale tra questi meccanismi di difesa scatta, secondo Lingiardi, dipende molto dalla personalità, dalla storia del proprio sviluppo psichico, dal modo in cui siamo stati accuditi e il modo in cui il nostro corpo è cresciuto nella relazione affettiva e di attaccamento.

Nel corso del suo intervento Lingiardi affronta anche un altro aspetto fondamentale della diagnosi, quella dell’alleanza tra medico e paziente. “L’alleanza diagnostica è l’antefatto di qualunque alleanza terapeutica, sia nella medicina organica che nella psicologia clinica”, dice. “Non ha a che fare solo con l’incontro di due personalità, quella del medico e quella del paziente, ma ha anche un’importante componente tecnica. Al medico si possono insegnare queste competenze: l’ascolto della famiglia, l’importanza della comunicazione, la tempistica delle comunicazioni diagnostiche e l’importanza di rimanere in equilibrio tra la verità e la consapevolezza del peso delle proprie parole e dell’orecchio che ascolta quelle parole”. Dall’altro lato anche al paziente possono essere trasferite competenze per comprendere e accettare la diagnosi. “Il paziente vive per definizione una condizione di solitudine che lo porta a una ricerca di comunicazione che non sempre il medico riesce a riconoscere”, spiega Lingardi.

“A volte tace e da questo punto di vista il paziente deve essere educato a chiedere aiuto senza paura. Il medico, anche se di fretta, deve riconoscere e accogliere questa richiesta”. L’alleanza medico-paziente, quindi, non è una strada a senso unico. Specialmente nel delicato momento della diagnosi. Per ricostruirla e ricostituirla Lingiardi propone, oltre a una formazione dei medici più attenta e specifica nelle università, anche momenti formativi con i pazienti e i loro famigliari. “Momenti e incontri compatibili con la medicina della continuità, quando le malattie hanno un percorso nel tempo. Perché anche i pazienti hanno bisogno di un’educazione all’ascolto della diagnosi”.



www.repubblica.it 2022-10-22 08:41:29

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