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Malattie rare, come abbattere i costi per le terapie avanzate

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TERAPIE cellulari, terapie geniche, prodotti di ingegneria tissutale. Terapie complesse, a cui la definizione di farmaco sta stretta. Le chiamiamo, infatti, più propriamente, prodotti medicinali di terapia avanzata (ATMP) e, lungi dall’essere una promessa della medicina, sono già terapie arrivate sul mercato. In Europa sono 15 quelle attive: servono a curare alcune forme di tumori, di patologie retiniche, di emofilia e immunodeficienze. E tante, verosimilmente, ne arriveranno, considerato che al momento si contano quasi mille sperimentazioni cliniche che riguardano le terapie avanzate. I numeri sono contenuti nel V° report italiano sulle terapie avanzate realizzato dall’ATMP Forum, presentato oggi a Roma, che ha fatto il punto sulle sperimentazioni attive, sullo status regolatorio, ma soprattutto sulle sfide che ci aspettano per renderle disponibili ai pazienti. In primis quelle di sostenibilità, perché queste terapie costano, e tanto: nell’ordine di centinaia di migliaia di euro, fino a due milioni di euro. Un costo troppo alto da essere insostenibile persino per le aziende produttrici in alcuni casi, specie se si parla di malattie rare e ultrarare dove i pazienti sono pochissimi.

 

Terapie avanzate per le malattie rare: la ritirata delle aziende

Una parte delle nuove terapie avanzate riguarderà, infatti, anche le malattie rare, soprattutto nell’area dell’onco-ematologia e dell’oftalmologia. D’altronde, le malattie rare hanno fatto da apripista nel campo delle terapie avanzate: il primo farmaco al mondo di terapia genica approvato è stato Strimvelis, indicato per il trattamento dell’immunodeficienza congenita ADA-SCID. Eppure, per una bizzarra legge del contrappasso, sono quelle che rischiano per prime di andarsene. È già successo in realtà: lo ha fatto BlueBird Bio in Europa con le terapie geniche contro la beta-talassemia e contro l’adrenoleucodistrofia cerebrale. Lo ha fatto Orchard Therapeutics proprio con Strimvelis, “salvata” ora da Fondazione Telethon – nei cui laboratori il farmaco è nato – per far in modo che sia ancora disponibile ai pazienti. Pochi i ritorni economici, nessun accordo per sostenere i costi di ricerca. “Nel corso degli anni, in materia di terapie avanzate, abbiamo osservato un tasso di ritiro dal mercato perché non erano sostenibili piuttosto importante – spiega Elena Paola Lanati, direttore ATMP Forum – Gli investimenti iniziali sono molto costosi e, nonostante i rimborsi, i numeri dei pazienti sono così limitati che non sono remunerativi per le aziende, soprattutto se non parliamo di Big Pharma, complice anche, in questo, il fatto che queste terapie hanno tassi di fallimento più elevati nelle fasi iniziali rispetto ad altri farmaci”. Ovvero, se è innegabile che questi trattamenti innovativi possono rappresentare “un valore aggiunto in termini di guarigione per il paziente”, continua Lanati, è anche vero che si tratta di un campo ad alto rischio. E gli ultimi casi lo dimostrano. Il salvataggio da parte di fondazioni non può essere la soluzione: serve ripensare il sistema perché possa essere sostenibile, e garantire di rimando la disponibilità a tutti i pazienti che ne abbiano bisogno. Tanto più considerando che sempre più terapie avanzate potrebbero arrivare, e non solo per i pazienti rari. Superando gli schieramenti ideologici che vedono l’industria come assetata di soldi e i regolatori troppo rigidi, come racconta Francesca Pasinelli, direttore generale di fondazione Telethon.

Portare fuori dalle industrie (parte) dello sviluppo delle terapie

“Una delle proposte che come Telethon abbiamo avanzato è quella di lavorare molto intensamente all’ottimizzazione dei percorsi di sviluppo, a partire dalla ricerca condotta nell’accademia – spiega Pasinelli – soprattutto considerando che quasi tutte queste terapie nascono all’interno dell’accademia. Ma una volta individuata la strategia terapeutica, l’accademia lascia la parte di sviluppo in carico all’azienda che prende in licenza il prodotto”. Ma un nuovo modello di sviluppo è possibile, per esempio abilitando l’accademia a lavorare alle primissime fasi di sviluppo: “Penso per esempio alla conduzione degli studi di efficacia e di tossicologia preclinici, secondo i criteri del GLP (Good Laboratory Practice, nda), consentendo ai dati raccolti di essere così inseriti in un dossier regolatorio. Se questo non avviene, il dato non può essere utile ai fini regolatori e quindi deve essere ripetuto, e questo aumenta il costo di sviluppo”. Al contrario, presso gli istituti Telethon, sono già attive delle strutture di presviluppo che consentono di licenziare prodotti alle aziende con dati che possono essere già inclusi in dossier regolatori. “Lo stesso vale per le strutture produttive GMP (Good Manufacturing Practices): in questo momento non ci sono strutture accademiche o pubbliche, o non profit, di produzione, o sono poche”.

 

Se fino a pochi anni fa discorsi simili potevano sembrare prematuri, l’arrivo delle terapie avanzate, il moltiplicarsi degli studi sul campo, il nodo sempre problematico della negoziazione dei prezzi tra aziende e pagatori, rende oggi necessario ripensare l’intero sistema. È un discorso valido in generale, ma soprattutto per l’Italia, che, seppure all’avanguardia per lo sviluppo di terapie avanzate, non ha saputo cogliere l’arrivo di queste opportunità e anche di questo rischio e non si è adeguata, riprende Pasinelli: “Non è successo lo stesso altrove. Per esempio in Gran Bretagna è stato avviato il progetto Catapult, una grande operazione pubblico-privata per mettere a sistema tutte le competenze per attivare i siti produttivi a cui possono accedere anche le accademie, le competenze regolatorie per facilitare lo sviluppo della terapia dall’inizio la terapia. Non è solo questione di organizzazione: un sistema simile aiuta la riduzione di costi di sviluppo e produzione, perché non si rischia di replicare dati già raccolti e non c’è il coinvolgimento della sola industria. Questo, da ultimo, aiuta anche a negoziare un prezzo più basso e a diventare al tempo stesso proprietari di un po’ di know-how nel campo, non a essere dei meri pagatori”.

Accanto a soluzioni che Pasinelli chiama “di sistema” si affiancano anche soluzioni più pratiche per accorciare i percorsi di sviluppo delle terapie avanzate, come discusso anche in un paper di recente pubblicazione su Nature Medicine insieme a Luigi Naldini ed Alessandro Aiuti dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica. “Per esempio, per le terapie geniche che abbiamo sviluppato nel nostro istituto abbiamo lavorato secondo regole che richiedevano per ciascun prodotto di ripetere passaggi comuni. Dovevamo farlo per forza perché non si sapeva molto. Ora però crediamo di essere arrivati a un punto in cui serve ripensare questo modello e stiamo cominciando a proporre, con le autorità regolatorie, un percorso che invece di funzionare in serie funzioni in parallelo per diverse malattie, con aggiustamenti per singole patologie ma sfruttando elementi comuni e minimizzando i numeri degli esperimenti”.

 

Il discorso della DG di Telethon è un appello a non disperdere le risorse ed evitare la moltiplicazione di processi, esperimenti e percorsi. Anche quando dagli studi di laboratorio si passi alle terapie vere e proprie. Come si legge infatti nel capitolo a sua firma contenuto nel rapporto di ATMP forum: “E’ auspicabile che si costituisca un fondo europeo centralizzato per l’acquisto di ATMP per malattie ultrarare e che si punti sulle politiche volte ad agevolare i trasferimenti dei pazienti transfrontalieri verso i pochi centri specializzati per la somministrazione di queste terapie”.



www.repubblica.it 2022-10-21 13:23:42

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