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Trapianto di fegato da vivente, ad operare è il robot

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Il primato spetta agli specialisti dell’Ismett di Palermo. Coadiuvati dai colleghi di Pisa, nel 2012 furono i primi in Italia a effettuare un trapianto di fegato da donatore vivente con la chirurgia robotica. L’unico precedente, in quella data, portava in calce comunque una firma italiana. Quella di Pier Cristoforo Giulianotti, che pochi mesi prima a Chicago aveva aperto la strada a questa prospettiva, descritta in un articolo sulla rivista Transplant International. Dopo Palermo, l’Italia ha fatto il “bis”. Protagonisti, questa volta, i camici bianchi del policlinico di Modena, dove lo scorso 13 ottobre un uomo di 36 anni ha donato la metà del suo organo alla mamma: una donna di 68 anni, affetta da un tumore del fegato.

Tutte le fasi con il robot

Tutte le fasi dell’intervento – dal prelievo dell’organo dal donatore al reimpianto nella ricevente, per una durata complessiva di otto ore e quindici minuti – sono state eseguite con il robot Da Vinci. Ovvero l’evoluzione più accurata della laparoscopia. Un approccio già diffuso nelle resezioni di parte dell’organo, dovute a una malattia oncologica. Ma ancora piuttosto raro nel campo dei trapianti, in cui l’avvento è considerato di non poco conto. Sia per il donatore, che in questo caso è stato invece dimesso ad appena 48 ore dal prelievo. Sia per la ricevente, tornata a casa in sei giorni dopo essere stata sottoposta a un intervento delicatissimo: con un’accuratezza senza precedenti.

Trapianto di fegato da vivente: in Italia poco più di 200 in 10 anni

A livello globale, non esistono dati ufficiali. Quello che è certo, però, è che finora il ricorso alla chirurgia robotica nei trapianti di fegato da vivente è rimasto un’eccezione, nel nostro Paese. Per due ragioni, fondamentalmente. Gli interventi di questo tipo da donatore vivente sono in aumento, ma in Italia rappresentano ancora una minima parte del totale dei trapianti di quest’organo. Nello specifico, nel 2021 sono stati 37: su 1.359, la quasi totalità dei quali eseguiti a cielo aperto. Dal 2012, 201: di cui 140 su bambini. La seconda ragione rimanda all’uso del robot in questo ambito della chirurgia, più diffuso nei Paesi asiatici (Corea, India) e del Medio Oriente (Arabia Saudita): lì dove la tecnologia è progredita di pari passo con la diffusione della cultura della donazione da vivente (accentuata nei Paesi buddisti e shintoisti).

La procedura operatoria più complessa in assoluto

Nel nostro Paese – con una diffusione così limitata: sottoporre a un intervento una persona sana per asportargli una porzione di organo rimane una sfida ancora da vincere – le competenze sono concentrate in pochi centri. Logico che sia così, dal momento che il trapianto del fegato è descritto come la procedura operatoria più complessa in assoluto. Gli interventi da donatore vivente vengono effettuati perlopiù all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e all’Ismett di Palermo. Nel 2021, come documenta il report del Centro Nazionale Trapianti, i numeri del centro di Modena sono cresciuti molto (7 interventi da vivente). Un percorso, quello svolto nel policlinico emiliano, culminato con l’intervento di poche settimane fa.

Nel trapianto da vivente la salute del donatore al primo posto

A coordinare il primo intervento effettuato con la chirurgia robotica è stato Fabrizio Di Benedetto, direttore della chirurgia oncologica, epato-bilio-pancreatica e trapianti di fegato: “L’approccio robotico permette di migliorare la qualità di vita dei donatori e di mantenere gli stessi standard di sicurezza molto elevati richiesti nella donazione da vivente. In particolare, grazie all’uso del robot, possiamo ricorrere a piccole incisioni cutanee rispettando l’integrità della parete addominale ed estraendo la metà fegato da una piccola incisione al di sopra del pube: simile a quella che viene effettuata durante un parto cesareo”. Così facendo, si minimizza l’impatto chirurgico ed estetico dell’intervento. Ma soprattutto si consente al famigliare che ha scelto di donare l’organo a un proprio congiunto con una malattia epatica avanzata di riprendere velocemente la propria routine. Il programma prevede che il donatore venga successivamente seguito a livello ambulatoriale.

Una procedura da limitare a pochi centri (con grande esperienza)

“Questo risultato dimostra l’efficienza del sistema trapianti italiano”, aggiunge Ugo Boggi, direttore dell’unità operativa di Chirurgia generale e dei trapianti dell’azienda ospedaliero-universitaria di Pisa e presidente della Società Italiana Trapianti d’Organo e di Tessuti, riunita da ieri a Trieste per il congresso nazionale. L’utilizzo della robotica nell’ambito dei trapianti risulta possibile soltanto se a monte c’è una vasta esperienza di chirurgia mininvasiva: nel campo della chirurgia oncologica o generale. Ed è di grande importanza soprattutto per i donatori, soggetti sani che si sottopongono a un intervento chirurgico compiendo un gesto di grande generosità. “A loro va riservato il massimo sforzo tecnico e tecnologico per massimizzare i risultati globali”, è il pensiero dello specialista, che dieci anni fa era nella sala operatoria dell’Ismett, dove fu portato a termine il primo trapianto di fegato da vivente con procedura robotizzata.

Per quali interventi si utilizza il robot?

L’utilizzo del Robot Da Vinci – in Italia presente in oltre 100 ospedali, anche se alcune strutture stanno già scegliendo dispositivi sviluppati più di recente – ha rivoluzionato ambiti piuttosto ampi della chirurgia oncologica. A fare da apripista, sono stati gli urologi: con gli interventi a carico dei reni, della prostata e della vescica. Poi è stata la volta dei ginecologi e dei chirurghi addominali, oggi pronti a ricorrere alla massima evoluzione della laparoscopia anche per il trattamento di malattie benigne.

Campo operatorio dieci volte più grande

Il Robot utilizza una videocamera 3D che, una volta entrata nell’addome, ingrandisce il campo operatorio fino a dieci volte. Così, pur avendo realizzato soltanto un paio di fori sulla parete addominale del paziente, il chirurgo ottiene una visione stabile e ad alta definizione. La videocamera è collocata all’estremità di uno dei quattro bracci sul Robot. Mentre gli altri tre sono collegati agli strumenti chirurgici necessari durante l’operazione. Il chirurgo segue tutte le fasi dell’intervento dalla sala operatoria. Ma è lontano dal paziente ed esegue l’operazione controllando dalla consolle i bracci robotici che si “muovono” sul corpo del paziente. In questo modo, lo sforzo fisico è ridotto e il rischio di tremori viene azzerato.

Suture più accurate

La maggior accuratezza nelle suture, soprattutto quando si ha a che fare con un organo profondo e molto vascolarizzato qual è il fegato, riduce inoltre il rischio di sanguinamenti. “La chirurgia robotica è entrata da poco nel campo dei trapianti, ma è qui per restarci”, è la sintesi del pensiero espresso da un gruppo internazionale di chirurghi in una metanalisi pubblicata sul “Journal of Clinical Medicine“. “La laparoscopia ha dei limiti, in questo campo. La robotica riprende tutti i passaggi della chirurgia a cielo aperto in un addome però chiuso. E con il vantaggio della mininvasività”. Secondo Boggi “il robot non è ancora una frontiera per tutti i trapianti, ma potrebbe trovare spazio anche nei trapianti di utero e di polmone: soprattutto quando a ricevere l’organo di un adulto è un bambino”.

Servono più organi per abbattere la lista di attesa

C’è anche un’altra ragione per cui vale la pena di provare a consolidare questo trend. “Ridurre il più possibile l’impatto del prelievo chirurgico sul donatore è un incentivo fondamentale per convincere sempre più persone a donare anche mentre sono in vita – spiega Massimo Cardillo, alla guida del Centro Nazionale Trapianti -. L’auspicio è che questi risultati ottenuti anche n Italia rappresentino un punto di partenza per gli altri centri del nostro Paese. L’obbiettivo è ridurre la lista che conta oltre mille pazienti in attesa di un nuovo fegato”. Un dato che è destinato a rimanere quantomeno costante, alla luce dell’ampliamento delle indicazioni per cui si può ricorrere al trapianto dell’organo. Su tutti, la cura dei tumori, per cui la sostituzione dell’organo oggi sembra essere la soluzione terapeutica più efficace.

A ciò occorre aggiungere che, proprio a Modena, è partito uno studio clinico per valutare l’efficacia del trapianto nel trattamento delle metastasi epatiche provocate dal tumore del colon (in una categoria selezionata di pazienti). Il primo intervento di questo tipo è stato effettuato a luglio. Ma considerando i numeri di quest’ultima malattia (quasi 44mila le diagnosi effettuate nel 2021) e la frequente diffusione verso il più grande organo del nostro corpo, è lecito immaginare che nei prossimi anni molti più pazienti potrebbero avere bisogno di un trapianto.

La donazione da vivente una realtà anche per il rene

Il tema della donazione da vivente riguarda anche un altro organo: il rene. Come confermato da uno studio appena pubblicato sulla rivista Jama Network Open la procedura ha un impatto migliore sulla sopravvivenza dei pazienti con insufficienza renale cronica rispetto alla dialisi. E, come condiviso dalla comunità scientifica nel corso dell’ultimo congresso della Società Italiana di Nefrologia, andrebbe incentivato già come prima ipotesi di terapia sostitutiva dell’organo. Quando un paziente non è ancora finito in dialisi. Nel 2021, in Italia, sono 341 i trapianti andati a buon fine che è stato possibile realizzare grazie alla donazione dell’organo da un vivente.

Che succede altrove

Un dato mai ottenuto prima, ma migliorabile se si guarda a cosa accade in altri Paesi anche d’Europa: come l’Olanda, il Regno Unito, la Spagna e la Francia. Oltre che dalla sensibilizzazione culturale della popolazione, il miglioramento di questa performance passa anche dalla diffusione della nefrectomia mininvasiva tramite robot. “La donazione da vivente rappresenta una grande opportunità per ampliare il numero dei trapianti – conclude Boggi -. Gli studi già disponibili ci dicono che il rischio di morte per chi dona è basso, ma è importante comunque tenere traccia degli eventi avversi per fare una corretta comunicazione”.



www.repubblica.it 2022-10-24 12:01:00

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