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Grazie a nuovi mammografi, i numeri dello screening superano i livelli pre-pandemia 

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Lo screening mammografico va incentivato e migliorato, per aumentare le diagnosi precoci del tumore al seno e migliorare il percorso di cura. È questo il razionale che ha guidato “Screening routine. La prevenzione come rituale”, la campagna lanciata lo scorso anno da Roche e Fujifilm e incentrata sulla donazione di dieci mammografi di ultima generazione a dieci strutture pubbliche distribuite in tutta Italia. E ora sono arrivati i risultati, presentati ieri a Roma in un incontro con le istituzioni, associazione pazienti e clinici: un’occasione per riflettere sui punti di forza e di debolezza dello screening attuale.

I ritardi nello screening causati dalla pandemia

Se è vero che l’aspettativa di vita e il successo delle cure per il cancro al seno sono molto migliorati negli ultimi anni, è altrettanto vero che parte del merito va alla possibilità di diagnosticare queste forme tumorali per tempo. Per questo, quel che è accaduto durante la pandemia è preoccupante. Nei primi mesi dell’emergenza, lo screening ha subito una forte battuta d’arresto: la flessione dell’attività è stata superiore al 50% nei primi cinque mesi di pandemia e, nel corso di tutto il primo anno, si è poi assestata intorno al 37%. Secondo le stime, sul territorio nazionale ne sono stati eseguiti due milioni e mezzo in meno, cosa che ha impedito di raggiungere adeguatamente la popolazione target. In alcune regioni, in particolare, solo il 40 per cento delle donne ha potuto eseguire la propria visita mammografica. Oggi, il ritardo sullo screening mammografico è di circa 4,8 mesi, a causa del quale – secondo l’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni Italiane – circa 3.558 lesioni mammarie potrebbero aver subito un ritardo diagnostico. Si stima che l’impatto del gap possa condurre ad un aumento della mortalità a 5 anni per tumore al seno tra l’8 e il 9%.

La scelta dei centri

Con il progetto Screening routine, Roche e Fuji film, in collaborazione con Fucina Sanità, hanno donato dieci mammografi di ultima generazione a dieci strutture pubbliche distribuite su tutto il territorio italiano, per consentire loro di avviare un programma di screening efficiente e recuperare, almeno parzialmente, i ritardi causati dalla pandemia. Non solo, grazie a una diffusione di questionari preliminari a tutte le strutture del servizio sanitario nazionale, Fucina sanità ha selezionato quelle che disponevano di tecnologie più obsolete e in cui vi era stato maggior calo della performance e dei monitoraggi. I dieci ospedali, poi, sono stati selezionati per essere distribuiti nel modo più uniforme possibile sul territorio.

I risultati del progetto

Complessivamente, i mammografi donati hanno consentito di eseguire circa 62 mila prestazioni in più. In alcuni casi, i numeri riportati dalle aziende ospedaliere hanno superato anche i livelli pre-pandemia del 2019. All’ospedale di Pescara, per esempio, l’impiego del nuovo mammografo ha consentito di recuperare il ritardo di circa 6 mila visite mammografiche. O ancora, nell’azienda sanitaria Provincia di Palermo gli screening sono più che triplicati rispetto all’anno precedente la donazione.

Dall’esperienza emerge inoltre che i risultati sono stati più significativi laddove sono state attivate sinergie e collaborazioni con associazioni pazienti a livello locale e/o iniziative speciali – come aperture straordinarie con open day nel week-end – per aumentare le opportunità di accesso della cittadinanza alla prevenzione, e nelle strutture che hanno scelto di attivare canali di comunicazione aggiuntivi (es. numeri verdi, SMS, recall telefonici) rispetto alle classiche lettere istituzionali di invito. In alcuni casi sono state promosse massicce campagne stampa in occasione dell’inaugurazione dei mammografi, che hanno prodotto ottimi risultati, a dimostrazione di come processi e percorsi di comunicazione e sensibilizzazione virtuosi possano fare la differenza.

Utilizzare i fondi del PNRR per aggiornare le tecnologie

I nuovi mammografi hanno anche migliorato la qualità dei referti, grazie alle immagini particolarmente accurate, e ottimizzato i tempi di esame, che sono tornati ad attestarsi su 15’: una maggiore efficacia ed efficienza, che ha portato a raddoppiare il numero di mammografie eseguibili in un’ora. Infine, macchine più nuove significano minor impatto sulle pazienti, dal momento che vengono utilizzate dosi di radiazioni inferiori rispetto alle macchine più datate. Secondo quanto riportato dagli esperti, l’età media degli apparecchi sul territorio nazionale è di circa 7,6 anni, ma ci sono alcune regioni, come il Molise o la provincia autonoma di Bolzano, in cui supera i dieci anni. “L’urgenza sul territorio nazionale – conclude la responsabile dell’Ufficio reti cliniche ospedaliere Manuela Tamburo De Bella – è di rendere omogenea l’offerta in ogni regione, sfruttando anche i fondi stanziati dal Pnrr per l’ammodernamento delle dotazioni tecnologiche. In questo senso, i risultati positivi ottenuti dall’iniziativa Screening routine serviranno da faro”.



www.repubblica.it 2022-10-25 12:26:37

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