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Asintomatici non significa liberi di contagiare

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Nei discorsi con cui ha chiesto la fiducia al Parlamento, la nuova presidente del consiglio Giorgia Meloni non ne ha fatto esplicito cenno, ma nella sua maggioranza sono forti le voci che vorrebbero abolire l’isolamento per gli asintomatici, anche se positivi al test per SARS-CoV-2. Tra i più convinti sostenitori di questo provvedimento c’è Andrea Costa, esponente della lista ‘Noi Moderati’, già sottosegretario alla Salute nel governo Draghi, in lizza per una riconferma nello stesso ruolo. Anche tra virologi e infettivologi si sente ogni tanto invocare questa svolta, o per lo meno riconoscerla come inevitabile. Qui esprimo solo la mia opinione, ma non mi sembra una buona idea.

Fatti e opinioni

Sono stata criticata anche la scorsa settimana per avere espresso, nell’articolo sul virus chimera creato a Boston, una mia posizione personale, in quel caso favorevole alla ricerca di cui si parlava. Eppure oso di nuovo esprimere un mio parere, seppure sempre basato su dati scientifici, per aiutare i lettori a distinguere i diversi piani di una questione: da un lato i fatti, confermati da dati più o meno solidi (per esempio l’aumento medio delle temperature sul pianeta o, in questo caso, le prove che una persona positiva a un test SARS-CoV-2 possa essere contagiosa per diversi giorni) e dall’altro le scelte che ne conseguono (per esempio puntare sull’eolico o sul fotovoltaico, o nell’altro caso, sull’importanza di imporre l’isolamento), nelle quali spesso entra una componente “politica”.

Le scelte politiche non dovrebbero essere di parte

Attenzione a come si intende questo termine. Quando parlo di scelte politiche non intendo scelte di parte, ma di decisioni per la collettività prese dopo aver soppesato pro e contro oggettivi in uno schema di valori e priorità che però può essere variabile e soggettivo. Il virus è lo stesso, ma in Cina si è deciso che l’obiettivo “zero covid” va perseguito a ogni costo, anche sopprimendo le essenziali libertà individuali; in Svezia, viceversa, si è deciso che il rispetto totale di queste libertà valeva un numero di vittime molto più elevato rispetto a quello dei paesi limitrofi. Negli altri Paesi del mondo sono state applicate strategie diverse, più o meno vicine a questi due estremi. Per scelta politica, quindi, partendo dagli stessi dati scientifici, sono stati seguiti approcci differenti, puntando più sul tracciamento o sull’isolamento, sulla vaccinazione o sulle caratteristiche della popolazione, con risultati più o meno favorevoli per la combinazione di moltissime variabili che è difficile districare per esprimere giudizi di merito. Se a questo mira la Commissione d’inchiesta invocata dalla presidente Meloni, dovrà tenere conto di questa complessità.

Chi si contagia è contagioso

Sul fatto che chi si ritrova positivo a SARS-CoV-2 possa contagiare altri non ci sono dubbi dal punto di vista scientifico. Il dibattito, al limite, può riguardare il tempo necessario alla maggior parte delle persone per negativizzarsi o comunque, pur restando positivi, per avere una carica virale così bassa o così poco vitale da non poter infettare altri. La percentuale di individui contagiosi sul totale degli infetti cala col passare dei giorni dal test positivo, scendendo dopo una settimana e ancora di più dopo 10 giorni, quando una piccola percentuale di persone è però ancora contagiosa. Si discute quindi se sia opportuno basarsi solo sul criterio temporale o se invece, come ancora in Italia, l’isolamento possa finire dopo 5 giorni, ma solo se il tampone è negativo e i sintomi sono passati da almeno due giorni. Ma all’esordio dell’infezione, subito dopo un test positivo, non c’è nessun dubbio che la maggior parte degli individui, sintomatici o no, vaccinati o no, rappresenti per altri una fonte di contagio. La scelta politica di abolire l’isolamento consentirebbe a queste persone di uscire, prendere i mezzi pubblici, andare a lavorare fianco a fianco con altri colleghi quindi presuppone il fatto che non importa se altri prenderanno Covid o se il virus circolerà di più. Ed è su questo che mi pare i dati a nostra disposizione diano un’indicazione di tutt’altro tipo.

 

Le conseguenze della resa

Ormai dovremmo averlo capito. Più il virus circola liberamente, più è facile che si selezionino varianti. Più circola in una popolazione immune, per vaccinazione o malattia pregressa, più avranno la meglio varianti in grado di sfuggire alla barriera fornita dagli anticorpi preesistenti. Arriveranno quindi varianti non necessariamente più aggressive (né meno, perché non è scritto da nessuna parte che i “virus diventino più buoni”), ma è probabile che siano sempre più in grado di aggirare la protezione di vaccini, anticorpi monoclonali, forse anche altri farmaci. Ovviamente questo rischio va messo sull’altro piatto della bilancia rispetto alla necessità di mantenere aperte le attività e consentire alle persone di circolare e svolgere la loro vita senza limitazioni. Nessuno più invoca un lockdown, perché la situazione oggi è completamente diversa da quella che ci siamo trovati a vivere nel 2020. I danni, ora, con questo virus e questo livello di immunità nella popolazione, supererebbero largamente qualunque beneficio.

Cerchiamo di ridurre la circolazione del virus

Ma quello che si può fare per ridurre la circolazione del virus senza limitare le libertà individuali dovrebbe a mio parere essere fatto: potenziare i mezzi pubblici perché siano meno affollati, mantenere modalità di fruizione dei luoghi pubblici che riducano gli assembramenti al chiuso, installare impianti di ventilazione adeguati in ogni ambiente dove si ritrovino molte persone. Per quanto riguarda l’uso della mascherina, anche senza obbligo è chiaro che maggiore sarà il numero delle persone che in questi contesti a rischio cerca di evitare di contagiarsi, minore sarà la possibilità del virus di passare tra gli individui e replicarsi di più. La libera circolazione dei pazienti positivi – ripeto, che siano sintomatici o no è irrilevante in questo senso – rappresenta invece un ulteriore fattore di rischio che va specificamente a colpire le persone con cui questi soggetti avranno la ventura di lavorare o trascorrere del tempo. Se anche chi esce liberamente dopo un test positivo è asintomatico, non è detto che lo sarà chi da costui o costei sarà contagiato: potrebbe essere un anziano fragile o un’altra persona ad alto rischio, ma anche un giovane che perderà un’importante occasione lavorativa, sportiva o di altra natura.

Non sono solo Terapie intensive

Ma l’errore più grosso, a mio parere, è continuare a misurare l’impatto della pandemia solo in termini di polmoniti, ricoveri in Terapia intensiva e decessi. È evidente che, grazie alla crescente immunità della popolazione, il tasso di queste evenienze gravi vada calando, sebbene, considerando l’enorme numero di individui contagiati, si mantenga comunque a livelli che mi sembra difficile sottovalutare.

Oltre a questo, dobbiamo però tenere conto di che cosa significa lasciare circolare a briglia sciolta un virus che si può riprendere più volte in un anno e che ogni volta aumenta anche nei giovani il rischio di eventi cardiovascolari, diabete, e altre malattie. Un virus che non colpisce solo le alte vie respiratorie, ma può provocare danni sistemici a moltissimi organi, e in una percentuale non trascurabile di casi lascia esiti a medio e lungo termine potenzialmente invalidanti. Certo che per la maggior parte delle persone sarà solo un raffreddore, ma gli altri? Anche se si vuole ignorare il fattore umano, bisognerà, politicamente, tenere conto dell’impatto che la minoranza più gravemente colpita potrà avere su un servizio sanitario già in crisi e più in generale sulla società, a cui verranno meno altre preziose risorse umane.



www.repubblica.it 2022-10-28 05:00:29

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