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Dislessia, identificati 42 geni ‘colpevoli’ del disturbo. Più vicina una diagnosi pre…

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Per la prima volta sono stati identificati i geni legati alla dislessia: il “disturbo della lettura”, che colpisce 1 bambino su 10. “Conoscere i geni candidati per la dislessia ci consentirà di svolgere screening precocemente nei bambini e nelle bambine, soprattutto in quelli più a rischio (i bambini figli di genitori con dislessia)”, spiega la dottoressa Deny Menghini, Psicologa e Psicoterapeuta presso l’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria dell’Infanzia o dell’Adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.

Origine genetica

Che la dislessia fosse di origine genetica fu una scoperta di 20 anni fa e pubblicata sul Journal of Medical Genetics: l’area del genoma “colpevole” del disturbo è il cromosoma 15.  Lo studio recente, pubblicato sulla rivista Nature Genetics, identifica 42 varianti genetiche, alcune già in precedenza collegate alle capacità cognitive, ma per la maggior parte del tutto nuove e mai associate a questo disturbo. Il database è il più ricco mai realizzato prima: sono stati analizzati il Dna di 50mila adulti dislessici e di oltre un milione di persone non affette dal disturbo. 

Secondo Michelle Luciano, ricercatrice capo della School of Philosophy and Language Sciences dell’Università di Edimburgo che ha partecipato alla ricerca, “i  risultati mostrano che le varianti genetiche hanno effetti molto simili sia nei ragazzi che nelle ragazze, e che esiste un legame genetico tra dislessia e ambidestrismo, la capacità di poter usare indistintamente entrambe le mani”. Ma cerchiamo di capirne di più.

Dottoressa Menghini, la dislessia è uno dei disturbi dell’apprendimento più diffusi: quali aree del cervello sono coinvolte?
“Nel cervello ci sono due regioni che rivestono un ruolo rilevante per la lettura: le regioni parieto-temporali per l’analisi delle parole,dove i grafemi, cioè le lettere scritte, sono tradotti nei fonemi, i suoni delle lettere, e le regioni occipito-temporali, responsabili della lettura fluente. Quest’ultima è l’area della forma visiva della parola. È coinvolta nell’accesso e nella lettura automatica di parole intere e costituisce un’area critica per il riconoscimento di parole e la lettura rapida e fluente. Una terza area, localizzato nel lobo frontale (area di Broca), è invece soprattutto coinvolta nell’articolazione e nell’analisi fonologica (dei suoni) della parola”. 

Quali sono le difficoltà nella lettura di un bambino affetto da dislessia e perché?

“I bambini con dislessia leggono in modo impreciso, con molti errori e, spesso, in modo poco fluido e con lentezza. Hanno difficoltà nella comprensione del testo letto non cogliendone le relazioni, o i passaggi interni e i significati più impliciti. Questo deficit permane nel tempo, sebbene si esprima e si manifesti in modo diverso nelle diverse età.  Il bambino fatica a fondere i singoli suoni per comporre la sillaba o la parola fin dalle primissime fasi. Di fatto, non esiste un errore caratteristico del bambino, che, in realtà, compie gli stessi errori dei compagni della classe, ma lo fa con frequenza maggiore”.

Quali sono gli errori più diffusi?

“Durante i primi anni della scuola primaria gli errori classici di tutti i bambini e quindi anche di quello con dislessia sono le sostituzioni di suoni simili come f/v (“foce” al posto di “voce”), t/d (“tue” al posto di “due”), s/z (“solle” al posto di “zolle”), c/g (“care” al posto di “gare”), p/b (“palla” al posto di “balla”) o di lettere visivamente simili, per la loro forma, come p/q (“pelle” al posto di “quelle”), d/b (“dove” al posto di “bove”), d/p (“dalla” al posto di “palla”).  Crescendo, gli errori interessano invece i gruppi complessi che compongono le parole o le regole ortografiche: l’uso delle doppie, della gn, sch, sc. Il numero di errori che il bambino compie si riduce progressivamente e al termine della scuola primaria o nella scuola secondaria la lettura è poco rapida e fluida”. 

Il deficit oltre che nella lettura delle parole colpisce anche ortografia, la denominazione rapida e la fonologia. In che modo? Può fare degli esempi?
“Imparare a leggere bene richiede la presenza dei “prerequisiti dell’apprendimento”: come l’abilità di distinguere e manipolare i suoni della lingua parlata, come saper suddividere oralmente le sillabe che compongono una parola. Alcuni esempi: ascoltare la parola motore e dire mo-to-re, ascoltare le sillabe mo-to-re e dire la parola motore, o individuare una parola che finisce allo stesso modo di un’altra (identificando la parola che fa rima con un’altra). Oppure la capacità di denominare in rapida sequenza elementi, come colori o numeri. Da qui, la difficoltà nell’associare velocemente e in modo automatizzato il grafema con il fonema, processo alla base di una lettura fluente. Tali prerequisiti, in generale, vengono considerati come essenziali anche per altri disturbi dell’apprendimento che solitamente si insorgono in associazione con la dislessia: è nota la comorbidità la con disortografia (difficoltà nel rispettare le regole ortografiche specifiche della lingua)”.

Può farmi un esempio?
“Un bambino disortografico scambia grafemi che rappresentano fonemi simili come, “f” con “v”, “t” con “d”, “b” con “p” oppure fra grafemi simili dal punto di vista visivo “d” e “b” o “q” e “p”. Oppure compie errori di accento, di apostrofo, nell’uso dell’h del verbo avere, nella doppia consonante (palla- pala)”.

Lo studio rivela che le varianti genetiche hanno effetti molto simili sia nei ragazzi che nelle ragazze, e che esiste un legame genetico tra dislessia e ambidestrismo. Come mai?
“I risultati dello studio supportano l’ipotesi che ci sia una relazione fra manifestare la dislessia e ambidestrismo, mentre non viene confermata l’ipotesi che i mancini siano più a rischio per la dislessia. Non è semplice trovare una spiegazione per questo risultato. Una delle ipotesi è che essere mancini, destrimani o ambidestro dipenda dalla dominanza cerebrale. Quindi la particolare architettura cerebrale di chi è ambidestro potrebbe essere determinata geneticamente e essere correlata alla dislessia. Lo studio però non ha raccolto dati diretti sul cervello e questa rimane solo un’ipotesi”.

I processi cognitivi alla base della funzione che ci porta a imparare a leggere non dipendono dal tipo di linguaggio utilizzato. Perché?
“La dislessia è presente in tutte le lingue, indipendentemente dal sistema convenzionale utilizzato. Ciò che varia è la prevalenza, che in Italia si aggira attorno al 3,5%. La prevalenza indicata nello studio (fra il 5 e il 17,5 %) si riferisce, soprattutto, ai paesi anglofoni e alle specifiche caratteristiche di quella lingua e ortografia che, a differenza dell’italiano, non sono “trasparenti”, bensì “opache”.  Nella nostra lingua, le parole sono scritte con una corrispondenza grafema (lettera scritta) – fonema (suono della lettera) pressoché univoca. In Inglese, le parole possono essere scritte allo stesso modo, ma essere lette in maniera diversa a seconda del significato. È il caso, ad esempio, di pint che è letta /paInt/ o /pint/ a seconda che indichi una unità di misura locale o un verbo. E ancora, le parole che si leggono allo stesso modo si possono scrivere in maniera molto diversa a seconda del contesto (ad esempio: where, were, weare). In sintesi, le differenze tra le lingue e i relativi sistemi ortografici possono produrre molteplici difficoltà di lettura nei diversi paesi. Nel caso di lingue con ortografia “trasparente”, come l’italiano, l’elevata corrispondenza tra grafema e fonema può avvantaggiare l’accuratezza di lettura rispetto ad altre lingue anglofone, come l’inglese, nelle quali generalmente la corrispondenza grafema fonema non viene seguita. Alcuni studi in letteratura dimostrano come bambini con difficoltà di lettura in lingue con ortografia trasparente mostrino livelli di decodifica migliori in accuratezza rispetto ai bambini di lingue con ortografia “opaca””.

La dislessia è quindi più diffusa nei paesi anglofoni?
“Il problema è legato a questi elementi che rendono il compito di apprendimento della lettura e della scrittura più complesso. Si presume, che la proporzione di persone con dislessia sia così alta nei paesi anglofoni e, più in generale, nei paesi ad ortografia poco o semi trasparente èproprio per queste difficoltà. Rispetto all’ADHD, si stima che almeno un 50 % dei bambini con ADHD hanno anche un disturbo specifico di apprendimento (DSA) e che chi ha un DSA nel 20% dei casi circa presenta anche ADHD. La comunanza di geni, quindi, non sorprende”.

Perché questo studio è così importante?
“Questo studio, utilizzando dati con un altissimo numero di persone con dislessia, convalida l’ipotesi che il disturbo, come quelli del neurosviluppo (ad esempio, ADHD, Autismo, Disabilità Intellettiva), abbia una base neurobiologica e sia il frutto di alterazioni genetiche. Inoltre chiarisce anche meglio le caratteristiche di chi può manifestare dislessia, ad esempio che la predisposizione genetica è presente sia nei maschi che nelle femmine”.

Quali potrebbero essere gli sviluppi futuri?
“Conoscere i geni candidati per la dislessia ci consentirebbe di individuarli e intervenire tempestivamente, con terapie, anche in fase prescolare quando la dislessia non può essere ancora diagnosticata perché il bambino/la bambina ha bisogno di almeno 2 anni di allenamento alla letto-scrittura (e la diagnosi può essere effettuata sola al termine del II anno della scuola primaria). Ciò conterrebbe le diagnosi e le terapie tardive, che spesso causano nel bambino/a problemi emotivi, come ansia e depressione, dovute al non riconoscimento del problema e al sentirsi diverso/a dai coetanei per anni. Questo studio, individuando 23 loci (13 nuovi) in gruppi indipendenti di persone con dislessia, è un ulteriore tassello verso questa possibilità”.



www.repubblica.it 2022-10-30 06:00:43

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