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Covid, ecco quanto aumenta il rischio di infarto, ictus e aritmie nel primo mese dall…

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C’è un nuovo capitolo nell’infinita saga dei problemi cardiovascolari legati all’infezione da Sars-CoV-2. La scrivono i ricercatori britannici (tra gli altri Zahra Raisi-Estabragh e Steffen Peterson) dell’Università Queen Mary di Londra sulle pagine della rivista Heart. Stando alla loro indagine, per chi ha avuto Covid-19 il rischio di infarti, aritmie e simili (si arriva fino al decesso) appare elevato soprattutto nel primo mese dopo l’infezione acuta, ma si mantiene anche nei mesi successivi.

L’infezione sarebbe un elemento di pericolo a prescindere dall’impatto dei classici fattori di rischio cardiovascolare, dall’ipertensione al colesterolo elevato fino al diabete. E l’impatto del virus sarebbe particolarmente significativo per chi è stato ricoverato, quindi con forme più serie. Ma anche chi ha “fatto” l’infezione a casa tende comunque a manifestare più frequentemente acciacchi più o meni seri al cuore. il tutto, va detto, indipendentemente dallo stato di vaccinazione.

Analizzati i dati di oltre 50.000 persone

La base delle conoscenze per elaborare i rischi, come spesso accade nel Regno Unito, è offerta dalle informazioni della UK Biobank che tiene traccia della salute e della sopravvivenza dei partecipanti nel tempo.

Sono state studiate le informazioni su 53.613 partecipanti: in 17.871 soggetti è stata diagnosticata l’infezione da Covid-19 tra marzo 2020 e marzo 2021, mentre i restanti hanno costituito il gruppo di controllo. Nell’analisi, per le caratteristiche della malattia, si sono considerati soprattutto maschi e con un rischio di problematiche metaboliche più elevato.

Tra i soggetti che hanno contratto Covid poco più di 14.000 sono stati seguiti a casa, 2.701 sono stati ricoverati per l’infezione e poco meno di 1000 sono entrati in nosocomio per altre patologie. I partecipanti sono stati monitorati in media per quasi cinque mesi, con qualcuno che ha superato l’anno di osservazione.

Il rischio cardiovascolare si impenna

I ricercatori hanno tenuto in considerazione diversi parametri, dall’infarto fino all’ictus, all’arresto cardiaco, alla fibrillazione atriale, al tromboembolismo venoso (TEV), alla pericardite e alla morte. I soggetti ricoverati in ospedale per Covid-19 rispetto alla popolazione di controllo vedevano salire più di 27 volte le probabilità di sviluppare TEV, più di 21,5 volte probabilità di essere diagnosticati con scompenso cardiaco e 17,5 volte più probabilità di avere un ictus.

Il rischio di fibrillazione atriale di nuova diagnosi era quasi 15 volte più alto, quello di pericardite quasi 14 volte più alto e quello di un infarto quasi 10 volte più alto. Per chi è rimasto a casa comunque i pericoli per l’apparato cardiovascolare appaiono comunque maggiori: si è visto un rischio aumentato di quasi 3 volte di tromboembolismo venoso e di oltre 10 volte di decesso per qualsiasi causa. Infine i rischi di tutti gli esiti misurati tra quelli ammessi per altri motivi ma con Covid sono risultati di poco superiori a chi non aveva contratto il virus.

Pericoli soprattutto nelle prime settimane

Le diagnosi di patologie cardiovascolari si sono concentrate entro i primi 30 giorni dall’infezione, in particolare tra chi è stato ricoverato in ospedale per Covid. Ma l’aumento del rischio si è mantenuto anche oltre i 30 giorni, in particolare per insufficienza cardiaca, fibrillazione atriale, TEV, pericardite e decessi per tutte le cause, anche se in misura minore.

Come detto, l’analisi non ha considerato le infezioni ripetute né l’impatto della vaccinazione o le varianti virali che si sono presentate. Secondo i ricercatori, comunque, “i risultati evidenziano l’aumento del rischio cardiovascolare degli individui con infezione pregressa: è probabile che sia maggiore nei paesi con accesso limitato alla vaccinazione e quindi una maggiore esposizione della popolazione al Covid-19. Tali rischi sono quasi interamente limitati a quelli con malattie che richiedono il ricovero in ospedale e più alti nel primo periodo (primi 30 giorni) dopo l’infezione”.



www.repubblica.it 2022-11-02 07:25:30

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