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Parte “retreAT”, il progetto per portare al paziente le terapie avanzate

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Terapie avanzate per le malattie rare e ultrarare, per i tumori, per le malattie cardiovascolari e il diabete sono già realtà, e in futuro ce ne saranno sempre di più. Ma perché arrivino ai pazienti che ne hanno bisogno è necessario affrontare la sfida che queste comportano in termini di sviluppo, produzione, sostenibilità, sperimentazione clinica e accesso. Perché le terapie avanzate – dalla terapia genica a quella cellulare, all’ingegneria tissutale – possono sì gestire i sintomi dei pazienti o addirittura guarirli, ma costano, sono rischiose e complesse, tanto per chi le sviluppa che per chi le somministra. Per raccogliere queste sfide nasce retreAT, un progetto promosso dall’Osservatorio Terapie Avanzate, che mette insieme ricercatori, clinici, aziende, associazioni di pazienti e istituzioni per trovare soluzioni concrete per rendere le terapie avanzate disponibili e sostenibili. Durerà un anno e si concluderà con un documento programmatico da presentare alle istituzioni.  

Il progetto “retreAT”

A raccontare le sfide che raccoglierà retreAT sono stati cinque esperti del campo, che, sul palco dell’Ara Pacis a Roma, si sono succeduti durante lo science show degli Advanced Talks on Advanced Therapies (At2) e che guideranno i lavori del progetto. Partendo da quello che sappiamo oggi e dalle difficoltà che incontriamo quando si parla di terapie avanzate. “Abbiamo 26 terapie avanzate oggi in Europa, ma tante altre ne arriveranno in futuro”, ha raccontato Giulio Pompilio, Direttore Scientifico IRCCS Centro Cardiologico Monzino di Milano, già membro del Comitato delle Terapie Avanzate (CAT) dell’EMA e Presidente del Comitato Scientifico OTA. “Ci sono infatti almeno 1200 sperimentazioni sulle terapie avanzate in diverse fasi di sviluppo ed entro il 2030 si stima che possano arrivare altri 40 prodotti, non solo per le malattie rare come è stato agli inizi dello sviluppo di questi trattamenti. Ma dobbiamo costruire tutto l’ecosistema per accoglierle o rischiamo di perderle”. Come già successo – ricorda Pompilio – per alcune terapie avanzate ritirate dal mercato perché poco remunerative per le aziende. “Serve ripensare tutta la filiera di produzione e sviluppo delle terapie avanzate, anche a livello regolatorio, per creare un ambiente favorevole al loro sviluppo in Italia, dal punto di vista della ricerca e dell’industria”.

Punto di partenza potrebbe essere una partnership pubblico-privata che unisca accademia e industria, immaginando anche un nuovo modo di fare ricerca e di produzione, come hanno spiegato Maria Luisa Nolli, membro del Board di Assobiotec ed EuropaBio e Docente di Biotecnologie Avanzate all’Università di Pavia, e Concetta Quintarelli, responsabile Unità di Terapia Genica dei Tumori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e membro del Comitato per le Terapie Avanzate (CAT) dell’EMA. Un nuovo modo che tenga conto delle peculiarità delle terapie avanzate, superando gli ostacoli posti dal nostro paese quando si parla di ricerca.

L’Italia può proporsi come polo di produzione sulla base dell’esperienza maturata nel campo (alcune delle prime terapie avanzate ad arrivare sul mercato, come Strimvelis, sono infatti nate nel nostro paese) espandendo quelle capacità necessarie per la manipolazione di farmaci vivi, da somministrare per via endovenosa, racconta Nolli. Tutto questo cercando al tempo stesso di abbattere i costi. Anche i centri ad alta specializzazione in grado di condurre le sperimentazioni cliniche per farmaci così complessi sono presenti nel nostro paese, ha aggiunto Quintarelli.

Ma accanto a potenzialità altissime, il nostro paese mette anche non pochi limiti burocratici all’avvio delle sperimentazioni (basti pensare alla moltiplicazione dei comitati etici nei diversi centri) che allungano i tempi e scoraggiano l’avvio degli studi. Anche quando si parla di privacy: “I limiti imposti dalle norme sulla privacy compromettono l’attivazione di una sperimentazione”, ha ricordato Quintarelli. “Chiediamo al paziente che cosa vuole, cosa è davvero necessario per lui, lavorando con il garante della privacy”.

Il nodo della sostenibilità e il ruolo dei centri

Che l’Italia possa proporsi come promotore dello sviluppo e della produzione delle terapie avanzate, non solo nella loro fase di ideazione, è una proposta che è arrivata anche da Federico Spandonaro, Presidente del Comitato Scientifico del Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità (C.R.E.A. Sanità), parlando di sostenibilità di questi trattamenti. Le terapie avanzate infatti costano (possono anche arrivare a tre milioni di euro) e in Italia le risorse rimangono limitate. E le discussioni di sostenibilità non possono solo riguardare la negoziazione del prezzo, lo sviluppo di modelli di rimborso innovativi (come il payment by result, cioè il pagamento in base ai risultati conseguiti), ma devono guardare anche la possibilità di far fruttare economicamente la ricerca condotta in Italia.

Da ultimo, portare questi trattamenti ai pazienti significa anche gestire le loro aspettative e preparare i centri sul territorio, garantendo uniformità di trattamento. “Non dobbiamo vendere fumo”, ha concluso Marika Pane, Direttore del Centro Clinico NeMO Pediatrico di Roma. “È necessario raccontare la verità, spiegare come queste siano terapie rivoluzionarie, che a volte possono migliorare la qualità di vita delle persone ma non curare. Le terapie avanzate possono salvare la vita, ma sono anche complicate da gestire, possono dare effetti molto gravi e se i centri non sono preparati a gestirli, con team multidisciplinari, indipendentemente da dove arrivano i pazienti, è un problema”.

 



www.repubblica.it 2022-11-09 15:13:00

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