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Quanto sono utilizzati i test genomici? Cittadinanzattiva chiede i dati alle Regioni

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Venti milioni di euro. Questa era la cifra stanziata a livello nazionale dalla Legge di Bilancio 2021 per l’erogazione dei test genomici per il cancro al seno. Per la precisione: test che, in alcune selezionate pazienti che presentano un tumore al seno di tipo ormonale in stadio iniziale (circa il 70% dei casi), possono aiutare i medici a capire quando somministrare la chemioterapia e quando, invece, possa essere evitata.

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La richiesta di dati: cosa succederà

La domanda ora è: questi fondi sono stati utilizzati dalle regioni? Come e quanto? E qui arriviamo alla notizia: per conoscere esattamente la situazione, questa settimana Cittadinanzattiva ha inviato l’istanza di accesso civico ai presidenti e agli assessori alla Salute regionali che, per legge, dovranno dare un riscontro entro sessanta giorni. O si passerà ai ricorsi.

L’istanza permetterà di raccogliere numerose informazioni: la modalità organizzative per la prescrizione, l’esecuzione, l’utilizzo, il monitoraggio, le verifiche e i controlli dei test; i termini delle singole delibere regionali; la quota del fondo assegnata a ogni  Regione o Provincia autonoma; il numero, la tipologia e i costi dei test effettuati nel corso del 2021 e del 2022; le percentuale di pazienti testate rispetto a quante ne avrebbero avuto diritto; la percentuale di pazienti testate provenienti da altre Regioni/Provincie autonome; gli eventuali ulteriori stanziamenti a livello regionale.

Test genomici, un diritto non ovunque garantito

“Da un’indagine che abbiamo pubblicato lo scorso marzo e da quello che ci riportano i pazienti, sappiamo che c’è molta difformità sul territorio”, dice a Salute Seno Valeria Fava, Responsabile Coordinamento politiche per la salute di Cittadinanzattiva: “A volte sono gli stessi clinici a riferire ai pazienti di non avere a disposizione il test. In alcune Regioni, come la Lombardia, li utilizzano nella pratica clinica da tempo e in modo consolidato, avendo potuto disporre anche di risorse proprie, mentre altre regioni sono più indietro. Alcune hanno raggiunto il plafond del fondo, altre non lo stanno utilizzano. E se non vengono utilizzate per i test genomici, queste risorse si perdono.

Conosciamo a grandi linee la situazione, ma non abbiamo il dettaglio. Da qui l’istanza. In attesa dell’inserimento del test nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) – ad oggi bloccati dalla mancata approvazione del Decreto tariffe – bisogna garantire l’utilizzo dei fondi stanziati e uguale accesso ai test a tutti i pazienti”.

Oggi i test genomici sono riconosciuti uno strumento importante dalle linee guida sul tumore al seno. Secondo dati diffusi recentemente, in media, in Italia, accede al test il 40% delle pazienti che sarebbero candidate. Nella già citata Lombardia, la percentuale sale all’80%: qui si stima che alla fine del 2022 saranno stati eseguiti in tutto 1.500 test su 1.800 previsti.

Perché sono importanti i test genomici contro il tumore al seno

I test non eseguiti rappresentano un’opportunità mancata. Prima di tutto per le pazienti, che potrebbero evitare tossicità non necessarie, e in secondo luogo per le regioni stesse e per il sistema socio-sanitario, che si trova a sostenere i costi diretti e indiretti di trattamenti evitabili.

Secondo alcuni studi, i test genomici possono far risparmiare fino al 75% di trattamenti superflui dopo l’intervento. “Un fallimento dal punto di vista etico e anche della sostenibilità”, conclude Fava: “Per questo noi, insieme ad altre associazioni e società scientifiche, abbiamo chiesto che sia i test genomici sia i test con tecnologia NGS (le tecnologie avanzate di sequenziamento genico, ndr) siano inseriti nei LEA”. 



www.repubblica.it 2022-11-11 11:48:15

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