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Chi è Robert Langer, il genio della nanomedicina hi-tech creatore di 1400 brevetti

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Essere un uomo che arriva dal domani ha dei vantaggi: se vogliamo spiegare così gli oltre 1400 brevetti registrati da Robert Langer. Ma venire dal futuro può anche causare problemi di incomprensione tra i contemporanei: “All’inizio mi prendevano per pazzo. Gli ingegneri come me non erano molto apprezzati né valorizzati nella ricerca medica”, ricorda Langer, che oggi è un pioniere a tutti gli effetti. E per le sue ricerche sui biomateriali, per aver sviluppato la nanomedicina, con le sue innovazioni sul rilascio controllato di molecole curative, è stato insignito del Premio Balzan 2022, che riceverà il 25 novembre a Roma dalle mani di Sergio Mattarella.

In parecchie occasioni lei si è dimostrato in anticipo rispetto al suo tempo. Oggi cosa vede?

“Tra le cose che più mi affascinano c’è la medicina rigenerativa e in particolare l’ingegnerizzazione dei tessuti. Ovvero usare le cellule staminali per costruire da zero nuovi tessuti e organi. Con questo approccio possiamo costruire, per esempio, nuova pelle per gli ustionati o nuovi vasi sanguigni per gli infartuati.

E potremo un giorno anche avere organi e tessuti su un chip. Questa è un’area che è ancora un po’ avanti sul nostro tempo, ma molti team sono al lavoro, compreso quello del Mit. Un’altra area dove nei prossimi anni vedremo grandi sviluppi è quella delle terapie genetiche, che per me significano sia l’editing genetico con la tecnologia Crispr/Cas9 che la medicina con RNA messaggero che abbiamo usato per i vaccini anti Covid e con cui Moderna sta sviluppando terapie vacciniche contro i tumori solidi”.

Qual è stato il suo contributo all’ingegneria dei tessuti, e quali applicazioni sono oggi tratte dalla sua idea?

“Nei primi anni ’80 io e il chirurgo Joseph Vacanti abbiamo proposto l’idea di creare delle “impalcature” tridimensionali che imitassero la struttura portante di un organo o tessuto e che permettessero alle cellule, se circondate dal giusto mezzo e dai giusti stimoli, di organizzarsi nel modo desiderato. Questo perché se tu semplicemente inserisci delle cellule staminali in un punto del corpo, ma non dai loro una struttura che le sorregge, le cellule non riusciranno a costruire un tessuto o un pezzo d’organo.

Quello formulato da noi era un principio fondamentale, che poi è stato seguito e messo in pratica da molti. E ha portato alla pelle artificiale e a molte altre applicazioni che sono ora in fase di sperimentazione clinica, come la costruzione di nuovi vasi sanguigni, di un nuovo pancreas e a modi per recuperare l’udito.

Per facilitare l’opera si può prendere un tessuto (anche da un donatore) e rimuovere le cellule, lasciando solo la matrice extracellulare, e poi usare questa come impalcatura perché le staminali del paziente possano organizzarsi nel tessuto che serve. In altri casi può essere che alcune sostanze prodotte dalle cellule possano essere utili come fattori di crescita per le staminali. E l’idea di base oggi serve anche a realizzare i cosiddetti “tessuti e organi su un chip”.

Dei ricercatori hanno già sviluppato un tratto gastrointestinale su chip e un fegato su chip. E al Mit alcuni miei studenti hanno realizzato un “cuore su chip”, mentre io insieme alla neuroscienziata Li-Huei Tsai stiamo sviluppando un “cervello su chip””.

Quale è il vantaggio di avere organi (o parti d’organi) e tessuti su chip?

“Permetterà di accelerare la sperimentazione dei farmaci, evitando di ricorrere agli animali e accorciando la sperimentazione clinica umana. Con organi e tessuti su chip si possono condurre migliaia e migliaia di esperimenti in tempi molto ridotti. E si potranno imparare anche più cose sulla biologia di base, perché potremo studiare la risposta dei nostri organi e tessuti in condizioni differenti da quelle naturali”.

1.400 brevetti dati in licenza a oltre 400 aziende farmaceutiche: come trova ispirazione?

“Spesso le idee mi vengono osservando cose in campi del tutto scorrelati dalla medicina. Un giorno, leggevo su Life un articolo, intitolato “Le auto del futuro”: spiegava che in caso di ammaccature sul cofano dovute a un incidente, un giorno, grazie a speciali materiali, si potrà semplicemente riscaldare l’ammaccatura e il metallo riprenderà la forma originaria, facendo svanire il difetto.

Può sembrare fantascienza, ma io sapevo che era un fenomeno noto: la memoria della forma. Allora ho pensato: potremmo usare lo stesso principio per produrre dei polimeri “intelligenti” da inserire nel corpo. Ho discusso quest’idea con uno dei miei dottorandi, Andreas Lendlein, e abbiamo dato il via a un progetto per realizzare materiali biodegradabili dotati di memoria della forma e attivabili sia attraverso un cambio di temperatura che per effetto della luce, pubblicando diversi studi su Science e Nature“.

Può farci qualche esempio?

“Se hai una ferita a un organo interno e necessiti di una sutura, oggi serve un’operazione chirurgica per aprire lo spazio necessario a ricucire. Noi abbiamo ideato un filo biodegradabile che può essere inserito nell’organismo in modo minimamente invasivo e poi, attivato opportunamente, può auto-annodarsi.

Un’altra applicazione è la rimozione di trombi: basta inserire nel vaso sanguigno un ago che penetri il trombo, e poi far uscire dalla parte opposta il filo polimerico con memoria della forma. A quel punto si può attivarlo via laser e fare in modo che assuma una forma a spirale che permette, ritirando l’ago dalla vena, di trascinarsi dietro il coagulo, rimuovendolo”.

Un’altra applicazione della sua idea sulla “memoria della forma” riguarda la somministrazione di farmaci…

“Il problema principale delle pillole è che non possono rilasciare molecole curative per più di un giorno, perché il contenuto dello stomaco viene evacuato quotidianamente. Così chi segue una cura deve prendere pillole ogni giorno, ma molti dimenticano di farlo. Servirebbe una pillola che riesce a rimanere per più giorni nello stomaco.

E al Mit, insieme a Giovanni Traverso, abbiamo trovato un sistema per ottenere questo risultato: una capsula che, una volta nello stomaco, grazie alla memoria della forma assume una sagoma a stella che ha un diametro maggiore del piloro, ovvero l’uscita dello stomaco. In questo modo la pillola rimane incastrata nello stomaco e continua a rilasciare farmaco. Avendo una forma a stella, non impedisce – ovviamente – al normale contenuto dello stomaco di passare attraverso il piloro. Passate le 2-3 settimane impostate, la capsula si biodegrada”.

C’è all’orizzonte qualche soluzione ancora più di frontiera?

“La RoboCap: una capsula robotica. Le condizioni fisiche nel tratto gastrointestinale possono limitare fortemente l’efficacia dei farmaci orali. È per questo motivo che i diabetici non possono assumere insulina sotto forma di pillole – oralmente l’insulina ha una biodisponibilità inferiore all’1% – ma devono iniettarsela.

La nostra capsula robotica, una volta ingerita e arrivata nell’intestino, si attiva e grazie a una struttura a elica inizia a ruotare ripulendo dal muco il punto in cui si trova. A quel punto può rilasciare il farmaco, che così viene assorbito nella quantità ideale. Gli esperimenti su animali mostrano che con RoboCap alziamo in maniera significativa la concentrazione di insulina nel sangue”.

Nato ad Albany nel 1948, Robert Samuel Langer Jr., ingegnere chimico, è un gigante della biotecnologia e non solo: è l’ingegnere più citato nella storia ed è il terzo scienziato più citato di sempre in assoluto. Ha registrato oltre 1.400 brevetti ed è cofondatore di oltre 40 aziende biotech: la più famosa è Moderna. Il Langer Lab al Mit di Boston è il più grande laboratorio di ingegneria biomedica al mondo.



www.repubblica.it 2022-11-14 12:15:52

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