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Giornata contro il tumore del pancreas, ecco quando intervenire

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Quello del pancreas è uno dei tumori che fa più paura, e proprio per questo è necessario parlarne. Per esempio per ricordare che dipende in buona parte da fattori di rischio su cui è possibile intervenire. O che, in caso di diagnosi, rivolgersi a centri di riferimento con grande esperienza fa la differenza. Questo è esattamente il senso della Giornata mondiale contro il tumore del pancreas, che quest’anno cade il 17 novembre: un’iniziativa (tra le poche dedicate a questa neoplasia) per sensibilizzare la popolazione e accendere i riflettori sui progressi della ricerca.

Casi in aumento

Cominciamo dai numeri, che sono in aumento: si è passati da 12.500 casi in Italia nel 2015 a 14.300 nel 2020, per lo più uomini tra i 65 e i 69 anni e donne tra i 75 e i 79. Secondo gli esperti, questo trend in crescita (circa +3% l’anno) ha diverse cause: una è l’abitudine al fumo di sigaretta, un’altra è il sovrappeso e, in generale, uno stile di vita non corretto a partire dall’alimentazione. Vi è anche una componente genetica, ma si riscontra solo nel 10% dei pazienti (dovuta alle mutazioni nei geni BRCA o ad altre più rare).

“Nel restante 90% dei pazienti, l’insorgenza non è legata a fattori ereditari, e in alcuni casi è invece associata a fattori modificabili. Per questo è molto importante che le persone sappiano che il ruolo della prevenzione è importantissimo”, sottolinea Nicola Silvestris, Ordinario dell’Università di Messina, direttore dell’Oncologia medica con Hospice del Policlinico di Messina e membro del direttivo dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom)”.

Il centro di cura fa la differenza

Oltre a ‘prevenzione’, un’altra parola da conoscere è ‘multidisciplinarietà’. “Che non è una parola vuota, ma è la strada maestra per offrire le migliori chance di sopravvivenza a chi si ammala – prosegue Silvestris -. Ormai tutte le regioni stanno mettendo a punto dei Pdta (Percorsi diagnsotico-terapeutici-assistenziali, ndr) per la gestione dei pazienti con tumore del pancreas, e sta maturando il concetto di Rete oncologica, all’interno della quale sono identificati i centri di riferimento ad alto volume. Nel tumore del pancreas più che mai l’esperienza fa la differenza e più i centri sono strutturati, più sono in grado di garantire diagnosi e terapie in modo tempestivo. E offrire anche la possibilità di entrare a far parte di uno studio clinico su terapie sperimentali”. Se negli ultimi 10 anni sono stati fatti dei progressi si deve anche, e forse soprattutto, a questo approccio.

Diagnosi precoce e nuovi bersagli molecolari: le sfide della ricerca

Le sfide aperte nel tumore del pancreas sono tante. A cominciare dalla difficoltà di scoprire il tumore quando è nella fase iniziale e potrebbe essere asportato con un intervento chirurgico. Solo il 10-20% dei pazienti riceve una diagnosi precoce, nel 30-40% il tumore è scoperto quando è localmente avanzato e nella restante metà dei casi, più o meno, quando è già metastatico.

Un’altra sfida è individuare dei marcatori molecolari contro cui indirizzare farmaci mirati. “A differenza di altri tumori, in quello del pancreas conosciamo ancora pochi ‘bersagli molecolari’ – spiega l’oncologo -.  Ci sono delle alterazioni che oggi ci permettono di utilizzare i cosiddetti farmaci agnostici, ma sono presenti in appena il 2-4% dei pazienti. Una percentuale molto molto bassa. Un fronte di ricerca promettente riguarda l’alterazione del gene K-RAS, e attualmente ci sono delle sperimentazioni cliniche in corso. A questo proposito – ed è importante essere chiari – non ci sono ancora terapie approvate”.

Terapia sperimentale

In questi giorni, inoltre, ha fatto molto discutere la notizia di una donna trattata in Italia con una terapia sperimentale diretta contro un’altra alterazione molecolare, quella del gene Ret. “Affinché i pazienti non vengano illusi con false speranze –  conclude Silvestris – è doveroso ricordare sia che l’alterazione di Ret è rarissima nel tumore del pancreas, sia che ciò che noi medici chiamiamo ‘risposta completa’, e cioè la Tac negativa, non deve essere confusa con il concetto di guarigione. Per poter dire che un paziente è guarito sono necessari tempi lunghi dalla diagnosi”.



www.repubblica.it 2022-11-16 17:02:14

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