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Tumori e rischio di trombosi. Quello che i pazienti non sanno

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Pochi pazienti lo sanno, ma avere un tumore aumenta il rischio di trombosi venose ed embolie polmonari. È un “effetto collaterale” di molte neoplasie e dei loro trattamenti, sebbene l’incidenza vari molto a seconda del tipo di tumore: è più alta, per esempio, nelle persone con un tumore del pancreas o con tumori cerebrali, mentre è inferiore in chi ha una diagnosi di tumore al seno o della prostata. Poiché, però, il tumore al seno è il più frequente nella popolazione femminile, il numero assoluto di donne che hanno una tromboembolia dopo la diagnosi di carcinoma mammario non è affatto trascurabile: fino al 6% l’anno durante i trattamenti antitumorali.

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I pazienti non sanno di essere più a rischio

“Non bisogna creare allarmismi, ma è indubbio che i pazienti sono ancora poco informati, come ha rivelato la più ampia survey mai condotta sul tema, voluta dalla European Cancer Patient Coalition (ECPC)”, dice a Salute Seno Anna Falanga, professore di Ematologia dell’Università di Milano Bicocca, Direttore del Servizio Immunoematologia e Medicina Trasfusionale (SIMT) dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e tra gli autori delle linee guida dell’Associazione italiana di oncologia medica sulle tromboembolie in chi ha tumori solidi. Secondo le stime, infatti, durante i trattamenti il rischio di tromboembolia venosa aumenta fino a 6-10 volte e l’incidenza è circa 4-5 volte superiore rispetto alla media generale. I risultati di quell’indagine – svolta in 6 Paesi, tra cui l’Italia – sono stati pubblicati da Falanga e dai suoi colleghi su Cancer Treatment and Research Communications. Cosa ci dicono? Per esempio che dei 1.365 pazienti e caregiver coinvolti, ben il 72% non era informato di questo aumento del rischio. Il 26% dei pazienti, inoltre, ha riferito di essere stato avvisato dell’esistenza di trombosi associate al cancro solo quando ha avuto un primo episodio (con poche differenze tra le diverse nazioni). 

Cosa sono le tromboembolie

La trombosi venosa si verifica quando un coagulo di sangue si forma all’interno di un vaso sanguigno e impedisce il normale passaggio del sangue, di solito negli arti inferiori o superiori. L’embolia, invece, si ha quando il coagulo si frammenta: questi frammenti viaggiano nel sangue e possono occludere un altro vaso. Particolarmente pericolose, in questo caso, sono le embolie polmonari. “Parliamo di condizioni che, quando riconosciute tempestivamente, possono essere trattate efficacemente con i farmaci, e che, soprattutto, possono essere prevenute. Ecco perché è importante aumentare la sensibilità di medici e pazienti su questo rischio”, sottolinea Falanga.

Come cambia il rischio…

Dicevamo, però, che la probabilità di andare incontro a uno di questi eventi non è la stessa per tutti. “Nelle donne con carcinoma della mammella – spiega l’esperta – l’incidenza è, in media, dell’1-2%, mentre, per confronto, nel tumore del pancreas è del 15-20%. Sappiamo però che il rischio aumenta in precisi momenti del percorso: nei sei mesi che seguono la diagnosi, quando si cominciano le terapie, o in caso di malattia metastatica”. Tra le condizioni che più favoriscono la formazione di trombi, come è noto, vi è la mancanza di movimento fisico: “Capita quando, magari proprio a causa delle cure, ci si sente stanche e si tende ad essere più inattive. O, a maggior ragione, quando si è costretti a rimanere immobili per un qualche problema, come delle fratture”. Fratture che, in alcuni casi, possono essere una conseguenza della fragilità ossea legata alle terapie anti-ormonali necessarie per trattare il cancro al seno.

Come è accaduto a Lucia (nome di fantasia). Circa cinque anni dopo la diagnosi di tumore al seno, e altrettanti di terapia anti-ormonale, una frattura alle vertebre l’ha costretta a rimanere quasi immobile per un paio di mesi. Era estate, faceva molto caldo, e improvvisamente le si era anche gonfiata una gamba. In seguito, durante la visita di controllo, l’oncologo le aveva detto più o meno queste parole: “Nessuno l’ha avvisata che, in quanto paziente oncologica, ha un rischio aumentato di trombosi? E nessuno le ha consigliato delle calze antitrombo visto il lungo periodo di immobilità?”.

… e come ridurlo

Cosa fare per evitare la formazione di trombi? “Attività fisica regolare, passeggiate, qualche esercizio per le gambe e i piedi se non ci si può muovere di più; bere molto, nutrirsi in modo bilanciato e, nei periodi di immobilità o per lunghi viaggi, anche in macchina, utilizzare delle calze antitrombo, quelle classiche da post-intervento che si possono comprare in farmacia – risponde Falanga -. Bisogna poi considerare che possono esserci altri fattori di rischio, indipendenti dal tumore: malattia cardiache, l’abitudine al fumo, il diabete, l’aver avuto in precedenza una trombosi, il sovrappeso, la disidratazione, l’ipercolesterolemia. Per questo sarebbe utile la valutazione personalizzata dal rischio individuale di ciascun paziente: è stato pubblicato un metodo molto preciso anche per il tumore al seno, che prende in considerazione lo stadio della malattia, il tipo di terapia – chemio, ormonale, con anticorpi monoclonali e così via – eventuali periodi di ricovero precedenti alla diagnosi e altri fattori che predispongono alla formazione di trombi. Per alcune pazienti potrebbe essere indicata una terapia preventiva”.

Attenzione ai sintomi

Infine, è fondamentale saper riconoscere i primi segnali di una trombosi venosa, che sono il rigonfiamento dell’arto superiore o inferiore, rossore della cute, dolore e difficoltà di movimento. Tra i sintomi di una tromboembolia polmonare, invece, ci sono mancanza del respiro e aumento della sua frequenza, dolore al petto o una tosse inaspettata. “In tutti questi casi – conclude l’esperta – è importante rivolgersi rapidamente a un medico”.



www.repubblica.it 2022-11-25 12:44:21

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