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La pandemia non è finita: siamo noi che abbiamo deciso che possiamo pagarne il prezzo…

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Ad inizio settembre, circa tre mesi fa, pubblicavo un articolo su Salute dal titolo Covid,ma siamo sicuri che la pandemia sia finita?. Qui sotto riporto esattamente il primo paragrafo.

“Da quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 5 maggio di quest’anno, dichiarò ufficialmente la fine dell’emergenza Covid, numerosi articoli ed interviste sui vari media sono apparsi, talvolta in forma di gioiosi proclami, in cui la distinzione fra fine dell’emergenza e fine della pandemia non è stata pienamente o affatto chiarita. Un equivoco che ha dato adito a molti di pensare e comportarsi come se la seconda fosse finita, non soltanto la prima. Oggi credo sia chiaro a tutti che SARS-CoV-2 ha continuato a circolare, mutare, infettare e causare ospedalizzazioni e decessi, certo assai meno frequenti, in una situazione clinica non confrontabile a quella della fase emergenziale, ma comunque molto afflittiva per le famiglie e le comunità di chi ne è stato colpito. Soprattutto chiari indicatori clinici ed epidemiologici di una minaccia che c’era ed ancora persiste”.

Nessuno, quindi, dovrebbe meravigliarsi adesso che nei primi, veri giorni invernali di questo difficile 2023, ci sia una notevole risalita dei contagi da SARS-CoV-2, con ospedalizzazioni e decessi più numerosi delle usuali conte settimanali. Roba prevista. Né dovrebbe meravigliare che si infettino anche i vaccinati: le ultime subvarianti di Omicron, da Eris a Pirola, sono in grado di sfuggire alla purtroppo fragile e transiente barriera degli anticorpi vaccinali che, peraltro, poco possono fare per difenderci dove primariamente servirebbe per bloccare l’infezione, cioè sulle mucose nasali ed orali, vie d’ingresso e riproduzione del virus. Ricordiamoci però che chi si è correttamente vaccinato genera altre potenti armi immunitarie che lo proteggono dalla malattia grave, quella polmonare o sistemica. Campo semi-libero quindi a Eris ePirola nelle nostre prime vie aeree ma, in genere, se sei vaccinato non vanno oltre, non ti mettono in pericolo di vita.

Resta inevaso il bisogno di proteggere dal virus le nostre prime vie aere, impedendogli così di contagiarci ed espandersi nella popolazione. La litania è sempre quella: serve un buon vaccino mucosale. Ci si sta provando, da un po’ di tempo anche seriamente. E anzi, leggete in proposito l’articolo appena pubblicato da Rita Rubin, editorialista della rivista dell’Associazione Medica Americana (Jama) per avere una idea dello sforzo che si sta facendo e dei primi incoraggianti risultati ottenuti (vedi articolo sopra menzionato).

Troppe sacche suscettibili all’infezione

In conclusione, per quella che è la caratteristica fondamentale di una pandemia, cioè pervasività ed estensione della capacità infettante dell’agente microbico, la pandemia non è affatto finita né ci si può aspettare che finisca viste le ancora numerose sacche di soggetti suscettibili all’infezione, non raggiunti da, o riluttanti verso, la pratica vaccinale, inclusi gli stessi vaccinati dopo pochi mesi dall’ultima vaccinazione. E se la domanda è: dobbiamo anche rimetterci la mascherina, la risposta è sì, se oltre alla malattia che ti porta in ospedale, vuoi evitare anche un naso che cola fluido come i nasoni d’acqua fresca nelle vie di Roma ed accompagno di tosse, gola infiammata e dolori vari.

Il prezzo da pagare

Ma su tutta questa storia della pandemia finita in quel sempre memorabile giorno di maggio, il 5, qui è opportuno farsi un’altra domanda. Ma le pandemie davvero finiscono? In proposito, un interessante ed istruttivo articolo (Do Pandemics Ever End?) lo hanno scritto Joelle Abi e Rached ed Allan Brandt, pubblicato qualche mese fa sul New England Journal of Medicine (NEJM).

Con una serie di validi esempi delle pandemie del passato, dalla peste al colera e all’influenza stessa, gli autori alla fine sostengono che le grandi pandemie non finiscono mai, nel senso della sparizione dell’agente infettante, quantunque mutato, e della sua malattia, quantunque attenuata. Le pandemie finiscono quando le società umane decidono che il prezzo in termini di vite umane che ancora si perdono è sopportabile rispetto ai benefici, economici e sociali, e di salute stessa che l’intera società ottiene dall’abolizione delle misure emergenziali. Attraverso l’impegno medico e le nuove risorse approntate per il suo controllo, la malattia viene endemicizzata, il danno rimane e ci si deve sempre aspettare qualche picco di risorgenza di infezione e malattia, comunque limitato, rispetto ad una vita tornata normale. E’ esattamente il caso della cosiddetta fine della pandemia da COVID-19. La malattia esiste ancora, anche abbastanza diversa, e il virus pure, anche se molto mutato. E purtroppo ha ancora una prateria di suscettibili, soprattutto nei fragili, negli anziani, nei non o poco vaccinati, nei poveri e trascurati dalla società opulenta.

Tocca comunque aggiungere, nel rispetto dei brillanti colleghi del NEJM: davvero una pandemia mai finisce? Certo che può finire, ma deve essere “eradicato”, cioè non più presente nelle popolazioni, negli animali e nell’ambiente il microrganismo che l’ha provocata e non semplicemente eliminata, magari solo momentaneamente, la malattia. Questo è certamente successo nel campo umano col vaiolo e la sua vaccinazione, probabilmente il più grande successo della medicina umana.

La velocità nell’isolare i contagiati

Ma c’è anche qualcosa di più vicino e forse a noi più familiare, anche se imperfetto come esempio: la prima epidemia di SARS degli anni 2002-2004. Poca cosa rispetto all’attuale ma comunque significativa per storia e diffusione: ottomila casi in 29 Paesi di 4 Continenti. Bene, virus e malattia sparirono senza vaccini e senza farmaci. Nessuno sa esattamente come e perché ma una probabile ragione c’è: il virus della SARS (SARS-CoV-1) era parecchio più aggressivo del nostro  SARS-CoV-2 . Aveva una letalità superiore al 20% e non faceva molte distinzioni di età, come ha fatto invece il nostro che è nato, e col tempo diventato, ancor meno aggressivo dell’originale di Wuhan, ma, al contempo, sempre più contagioso e trasmissibile nella popolazione, creando una larga fascia di giovane età in cui convivere e continuare ad espandersi senza segni di malattia, i famosi soggetti asintomatici. Diffusione poi favorita dallo straordinario sviluppo delle comunicazioni e spostamenti di persone dalla Cina, dove entrambi i virus sono emersi, agli altri Continenti, cosa assai meno possibile al precedente coronavirus vent’anni prima. Con la prima SARS è bastato isolare i contagiati, facilmente individuabili perché malati in cerca di cure. Con la seconda, troppi sono andati in giro per il mondo senza sapere di essere accompagnati dal virus.  

Se il virus se ne va

Talvolta, infine, è possibile che il virus ci lasci di sua volontà, trovando magari un altro animale come più gradito ospite. Nel celebre romanzo The body snatchers di Jack Finney (tradotto in italiano in “L’invasione degli ultracorpi”), gli alieni invasori che coi loro terrificanti baccelli ci replicavano in nuovi esseri buoni e tranquilli, senza passioni, e senza guerre, alla fine, sfiancati dalle nostre diaboliche resistenze, preferirono andarsene in cerca di mondi con soggetti più accondiscendenti. La stessa cosa potrebbe fare un virus domani, se non l’ha già fatto in passato.

*Membro dell’American Academy of Microbiology



www.repubblica.it 2023-12-12 17:21:44

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