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Chirurgia ortopedica, con le nuove protesi meno infezioni e recupero più veloce

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Le protesi ortopediche sono tra i più avanzati, complessi e dispendiosi sviluppi della chirurgia moderna. Se ne impiantano più di 200mila ogni anno solamente nel nostro Paese, con un tasso di successo che supera il 90%, e un impatto sul fondo sanitario nazionale che sfiora i due miliardi di euro. A tutt’oggi, il pericolo principale in questo genere di interventi rimangono le infezioni, che costringono all’espianto della protesi aumentando esponenzialmente le spese per il Servizio sanitario, e possono anche mettere a rischio la vita dei pazienti.

Dall’Australia arriva una possibile soluzione: un rivestimento formato da nanoparticelle di argento e di gallio, con proprietà antimicrobiche e capace di stimolare la crescita ossea, che in futuro potrebbe tenere lontane le infezioni e al contempo permettere un recupero più rapido. Un’invenzione che, sulla scia dei risultati promettenti dei primi test descritti di recente sulla rivista Advanced Funtional Materials, potrebbe presto trovare applicazione nella pratica clinica.

Il problema delle infezioni

Le infezioni peripotesiche rappresentano il principale pericolo per la chirurgia ortopedica moderna, con tassi di incidenza medi che vanno dal 2 al 10% nei paesi ad alto reddito, e che possono superare il 15% in quelli in via di sviluppo. “In Europa le infezioni correlate all’assistenza sanitaria provocano ogni anno 16 milioni di giornate di degenza extra, 38mila decessi direttamente attribuibili alle infezioni e altri 110mila che vi possono essere correlati. Di queste, circa il 20% dipende dalle attività ortopediche”, spiega a Salute Alberto Momoli, Presidente della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia.

“In Italia l’incidenza di infezioni periprotesiche varia in particolare tra lo 0,5 e il 2%, con picchi tra il 5 e il 6% in caso di interventi multipli sulla protesi. Si tratta evidentemente di un problema pressante, che non accenna a diminuire nonostante i grandissimi progressi tecnologici e chirurgici degli ultimi decenni”.

L’infezione di una protesi è inoltre un pericolo grave per la salute e la qualità di vita, che rende necessario l’espianto (operazione non banale per cui pochi pochi centri sono attrezzati), ritarda il recupero dell’indipendenza per i pazienti – spesso anziani affetti da molteplici fragilità – e decuplica i costi, già elevati, per la sanità. Non a caso, sono considerate il principale nemico da battere in ambito ortopedico. Una strada che oggi passa per la stretta adesione da parte dei centri specializzati e dei team chirurgici alle più recenti linee guida in merito (quelle italiane della Siot sono del 2021). E che in futuro, si spera, trarrà beneficio dalle tante ricerche che si stanno svolgendo proprio in questi anni sulle cause di queste infezioni, e sulle migliori strategie tecnologiche con cui limitare i rischi.

Un rivestimento rivoluzionario

Quella ideata dai ricercatori della Flinders University di Adelaide è una soluzione basata sulle nanotecnologie, che permette di utilizzare le naturali proprietà antimicrobiche degli ioni ci argento, limitandone al contempo gli effetti indesiderati. Come spiegano i suoi inventori, infatti, esistono già sul mercato protesi con rivestimenti in argento pensati per uccidere i batteri e ridurre l’incidenza di infezioni, ma si sospetta che possano essere gravate da alcuni effetti dannosi dovuti all’azione citotossica e genotossica sulle cellule umane.

Per superare il pericolo, il nuovo materiale inventato dagli scienziati australiani sfrutta un altro metallo, il gallio, che è stato combinato agli ioni di argento con tecniche di nanotecnologia, ottenendo un composto in cui gli ioni di entrambi i metalli vengono rilasciati in modo estremamente controllato, aumentandone l’azione antibatterica e antinfiammatoria, così come la capacità di stimolare la crescita ossea, e riducendo al minimo il rischio di effetti collaterali.

Sperimentato in vitro e su modello animale, il materiale ha dato risultati estremamente incoraggianti, e i suoi inventori sperano di poter ricevere presto il via libera al suo utilizzo commerciale, non solo nel campo delle protesi ortopediche, ma anche per applicazioni odontoiatriche e altri settori della medicina.

“Il materiale sembra effettivamente promettente, e si inserisce in uno dei tre principali filoni di ricerca che stanno cercando una soluzione per le infezioni periprotesiche”, sottolinea Momoli. “Altrettanto interessanti al momento appaiono i tentativi di utilizzare sostanze a base di collagene che possono impedire la formazione del biofilm che si forma tra le protesi e l’osso, fornendo un perfetto terreno di coltura per i batteri. E ancora, quelli di sviluppare metodi innovativi per somministrare gli antibiotici direttamente in situ. Serviranno però anni di followup per avere risultati certi dalla ricerche che svolgiamo oggi. Nel frattempo, la strada migliore per ridurre al minimo l’incidenza di infezioni è seguire le linee guida delle società scientifiche e dell’Istituto Superiore di Sanità, e attenersi alle norme per la stewardship antimicrobica, che aiutano a ridurre lo sviluppo di superbatteri resistenti agli antibiotici”.



www.repubblica.it 2023-12-15 03:49:12

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