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Covid, l’ondata delle nuove varianti: quanto dura l’infezione? E i test fai-da-te fun…

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“A Natale possiamo abbracciarci e baciarci, ma se uno ha il raffreddore il buon senso ti dice di non baciare e abbracciare la persona che ami”. Francesco Vaia, direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, ha sdrammatizzato in questo modo l’incremento di contagi Covid che sta coincidendo, appunto, con il Natale. Il fatto è che le più recenti varianti, JN.1, Eris (EG.5) e Pirola (BA.2.86), che formano l’ondata natalizia, sono molto più veloci delle precedenti, cosa che crea qualche dubbio: questo può incidere, e quanto, sulla durata della malattia e sugli strumenti utilizzati per diagnosticarla? Il riferimento va ai tamponi fai-da-te, quelli veloci che, fatti a casa, in pochi minuti dovrebbero chiarirci le idee sul fatto di essere usciti o meno dall’infezione.

La durata dell’incubazione

Innanzitutto bisogna distinguere tra periodo di incubazione e periodo infettivo. Il primo si riferisce al tempo che intercorre tra l’esposizione al virus e l’inizio dei sintomi. Nel caso del Covid varia in media da 2 a 14 giorni, con un periodo mediano di incubazione di circa 5-6 giorni. Durante questa fase potremmo non mostrare sintomi, ma essere già contagiosi.
Poi c’è il periodo infettivo, che si riferisce a quando una persona infetta può trasmettere il virus ad altri. Nel caso del Covid questa fase può iniziare prima che compaiano i sintomi (se compaiono) e può continuare per diversi giorni o settimane dopo il recupero. Questa è una delle caratteristiche che rendono complesso il controllo della diffusione del virus. Sapere quanto dura l’incubazione è utile per prevenire la diffusione del contagio, visto che durante questo periodo il virus si moltiplica nell’organismo anche senza manifestare alcuna sintomatologia. Tuttavia, già nella fase pre-sintomatica le persone contagiate possono trasmettere la malattia.

Ecco quanto tempo dura il Covid

La durata della positività al SARS-CoV-2 non è uguale per tutti. Anche con le varianti Eris e Pirola c’è chi la sviluppa in forma lieve e perciò può aspettarsi sintomi che durino pochi giorni: da 2 a 5, spesso non di più. Ma può persistere: anche per due settimane.
A tale proposito, l’esperienza sul campo ha consentito di definire alcune indicazioni generali. In primo luogo, prima dei sintomi il virus può essere trasmesso da persone presintomatiche o asintomatiche. Alcuni studi hanno suggerito che la contagiosità è più elevata nei giorni precedenti all’insorgenza dei sintomi e nelle prime fasi della malattia. Nel caso si abbiano sintomi lievi o moderati si può rimanere contagiosi per circa 10 giorni, periodo che però può variare da persona a persona. Nel caso di sintomi gravi, invece, la contagiosità può durare anche diverse settimane. Infine, pure dopo la scomparsa degli effetti del virus, si può continuare a contagiare gli altri per un periodo di tempo variabile: è stato osservato che il patogeno può essere rilevato nelle secrezioni respiratorie per diverse settimane dopo il recupero clinico.

I test fai-da-te sono ancora affidabili?

La premessa è questa: l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha suggerito che, idealmente, una persona dovrebbe avere due tamponi naso-faringei negativi consecutivi a 24 ore di distanza per essere considerata non contagiosa. Tuttavia, oggi molte persone vengono considerate non contagiose semplicemente sulla base del tempo trascorso dall’insorgenza dei sintomi e del miglioramento clinico.
Con la nuova ondata di casi Covid, in tutta Italia molti si affidano ai test rapidi Covid per decidere se andare a trovare genitori anziani o nonni per le feste di Natale. Ma siamo sicuri che, con l’incidenza delle varianti più recenti, in particolare con Eris dominante, i test fai-da-te siano ancora affidabili?

I dubbi su Pirola

Massimo Ciccozzi, responsabile dell’Unità di Statistica medica ed Epidemiologia della facoltà di Medicina e chirurgia del Campus Bio-Medico di Roma, non ha dubbi: “Per le nuove varianti del Covid, compresa Eris, il test antigenico resta valido”. Ma, agiunge, “qualche dubbio potrebbe esserci per Pirola, perché con oltre 33 mutazioni di differenza rispetto a tutte le altre, si discosta dal punto di vista immunogenetico e risulta diversa dalle varianti emerse sino ad ora”. In pratica non si sa ancora, sottolineano gli esperti, “se Pirola abbia inciso sull’espressione antigenica delle proteine ad oggi cercate con i tamponi Covid”.

Come funzionano i tamponi

Ma qual è il meccanismo che consente ai tamponi rapidi di essere ancora efficaci stando al passo con l’evoluzione del virus? Tutto sta nel fatto è che i test più completi, che vengono monitorati periodicamente dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), prendono di mira tre diversi geni-target dell’Rna del virus denominati S, N e Orf. La proteina N è quella che è rimasta stabile nel tempo ed è oggi ancora un bersaglio affidabile.
I ricercatori hanno comunque a disposizione uno strumento per analizzare ogni possibile cambiamento della proteina N (che non muta così rapidamente come le proteine spike) e sono in grado di intercettare cambiamenti che possono influenzare la capacità degli anticorpi utilizzati nei test rapidi ad attaccarsi al virus.

Quando posso fare il test rapido?

Sui tempi di esecuzione dei test rapidi, ancora oggi la regola è questa: va fatto in caso di sintomi o comunque 3-5 giorni dopo l’esposizione nota al virus, “evitanto però – avvertono gli esperti – il tamponificio degli scorsi inverni, perché oggi la malattia è cambiata: serve buon senso”.
Perché ci vogliono 3-5 giorni? Per consentire il rilevamento di qualsiasi test, e questo vale anche con le nuove varianti. Il problema, semmai, è l’ecessiva tempestività. Ora, che il nostro sistema immunitario conosce il virus perché l’ha sperimentato, risponde più velocemente e quindi i sintomi sembrano manifestarsi prima rispetto al passato. E questo può spingere le persone a giocare troppo d’anticipo sottoponendosi a tampone rapido in modo precoce, ossia prima che il virus abbia la possibilità di replicarsi a sufficienza da essere rilevato da un test.

Falsi negativi e contagi sottostimati

Qui si inseriscono i cossiddetti falsi negativi, per i quali la carica virale non è sufficientemente alta da essere rilevata da un test antigenico. Falsi negativi che contribuiscono a confondere le acque, rendendo sottostimati i dati sui contagi diffusi dal ministero della Salute – Istituto Superiore di Sanità. L’ultimo esempio?  Sono 60.566 i casi Covid registrati in Italia, secondo l’ultimo monitoraggio di dicembre. Con un indice di trasmissibilità (Rt) in crescita, ma visto che risulta rapportato solo ai casi registrati ufficialmente e non a quelli non emersi, che sarebbero ovviamente di più, l’indice rimane sotto la soglia.
 

 



www.repubblica.it 2023-12-22 15:29:40

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