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Diventare mamma dopo un tumore al seno: uno studio rassicura

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Nelle donne che si sono ammalate di cancro al seno in età ancora fertile, mettere “in pausa” la terapia ormonale per cercare una gravidanza e ricorrere alle tecniche di fecondazione assistita non sembra aumentare il rischio di recidiva, almeno nel breve periodo. Il messaggio positivo – ma che va preso ancora con cautela – arriva dallo studio internazionale Positive, i cui ultimi dati sono stati da poco presentati al San Antonio Breast Cancer Symposium (SABCS), il congresso scientifico sul carcinoma mammario più importante a livello mondiale.

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Terapia in pausa per cercare una gravidanza

Lo scorso anno i primi risultati dello studio Positive (presentati sempre al San Antonio Breast Cancer Symposium) avevano dimostrato una cosa molto importante: che, nelle giovani con un tumore al seno ormono-sensibile, interrompere la terapia ormonale dopo un anno e mezzo per cercare una gravidanza, per poi riprenderla dopo il parto, non aumentava il rischio di recidiva nei 40 mesi successivi. Un risultato molto rassicurante che può cambiare il protocollo di cura per molte delle circa 11 mila donne che ogni anno in Italia ricevono una diagnosi di cancro al seno in età fertile. 

Per le pazienti con un carcinoma alla mammella con recettori ormonali positivi, infatti, la terapia anti-ormonale dopo l’operazione dura dai cinque ai 10 anni. Attualmente bisogna aspettare di concluderla prima di tentare una gravidanza. Lo studio dimostra, invece, che se la cura anti-ormonale viene interrotta dopo i primi 18 mesi e si lascia la paziente libera dal trattamento per due anni e poi si riprende, la gravidanza è sicura e non aumenta il rischio di recidiva della malattia. 

Gravidanze naturali e con fecondazione assistita: sicure allo stesso modo?

Questa nuova analisi fa un passo avanti: “I ricercatori hanno valutato se, tra le pazienti che hanno interrotto la terapia, quelle con una gravidanza ottenuta attraverso tecniche di procreazione medicalmente assistita avessero una prognosi di malattia diversa rispetto a chi aveva avuto gravidanze naturali – spiega a Salute Seno Lucia Del Mastro, ordinaria e direttrice della Clinica di oncologia medica del Policlinico IRCCS San Martino di Genova, tra i centri che hanno partecipato al trial – Dai risultati non è emerso un impatto negativo sulla prognosi delle varie tecniche, sebbene il periodo di osservazione – tre anni – è ancora breve”.

Età: come incide sul tasso di gravidanze

Lo studio ha coinvolto 500 donne: un terzo sotto i 35 anni, e due terzi over 35. Di queste, 368 (il 74%) è riuscita ad avere una gravidanza e il 64% l’ha portata a termine. Come atteso, è emersa una forte associazione tra l’età e il tempo in cui si riesce a rimanere incinte: a distanza di un anno dall’interruzione della terapia ormonale era incinta il 64% delle donne con meno di 35 anni, il 54% di chi aveva 35-39 anni, e il 38% delle donne tra 40 e 42 anni.

Circa metà delle donne dello studio ha fatto ricorso alla stimolazione ormonale

Come racconta il coordinatore dello studio, Hatem A. Azim Jr, professore associato alla School of Medicine and Breast Cancer Center del Monterrey Institute of Technology (Messico) al sito MedScape, la metà del campione (51%) era ricorsa a una qualche forma di preservazione della fertilità al momento della diagnosi (e prima della partecipazione allo studio Positive): nella maggior parte dei casi si trattava di stimolazione ovarica necessaria per il prelievo degli ovociti, la criopreservazione di questi o degli embrioni (ottenuti con fecondazione in vitro). Dopo la partenza dello studio, invece, è ricorso a una qualche tecnica di riproduzione assistita il 43% delle donne arruolate: soprattutto la stimolazione ovarica per fecondazione in vitro, oppure il trasferimento degli embrioni precedentemente ottenuti e crioconservati.

Crioconservazione e trasferimento degli embrioni: la tecnica più efficace

Tra tutte le possibilità, quest’ultima è risultata la più efficace, con una percentuale di gravidanze ottenute più che doppia rispetto alle altre tecniche. Però anche per la fecondazione assistita, come è noto, l’età fa la differenza in termini di chance: le donne sotto i 35 anni che hanno fatto ricorso alla fecondazione assistita hanno avuto una probabilità di rimanere incinte del 50% più alta di chi aveva 35-39 anni, e dell’84% più alta delle donne di 40-42 anni.

I dati a tre anni sull’impatto della procreazione assistita sulla prognosi

Venendo ai dati sul percorso di malattia, i più attesi, a distanza di tre anni il tasso di recidive è risultato sovrapponibile tra chi ha avuto una gravidanza dopo essersi sottoposto alla stimolazione ormonale e alle tecniche di fecondazione assistita e tra chi ha avuto una  gravidanza naturale: 9,7% verso 8,7%, rispettivamente. “Questi dati – conclude sempre su MedScape Carlos Arteaga, co-direttore del congresso e direttore del Simmons Comprehensive Cancer Center di Dallas – sono rassicuranti per le giovani pazienti con una diagnosi di cancro al seno e mostrano che le tecniche di riproduzione assistita sono una possibilità probabilmente sicura, con l’avvertenza che necessitano di un follow-up più lungo”.



www.repubblica.it 2023-12-22 12:20:21

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