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Poveri maschi, condannati dal cromosoma Y

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Quando si spiega il genoma umano – la sequenza di DNA che comprende i cromosomi che codificano i geni che regolano lo sviluppo e la funzione di tutte le cellule – ci si riferisce al grande libro della vita. Eppure, a questo libro mancava un capitolo, quello del cromosoma Y. Ora, accolti con curiosità dagli stessi addetti ai lavori, sono stati pubblicati due lavori, sulla rivista internazionale Nature, che hanno decodificato proprio il codice genetico del cromosoma Y, associato allo sviluppo maschile e alla produzione di spermatozoi.  

Il ruolo centrale dei cromosomi

Negli umani, come negli altri mammiferi, la determinazione genetica del sesso è dovuta a una specifica coppia di cromosomi, che si distinguono dalle altre 22 coppie. Il sesso femminile è legato a due X, quello maschile ad un X e un Y. Sebbene questi cromosomi svolgano un ruolo centrale, i fattori coinvolti nello sviluppo sessuale sono in realtà diffusi nel genoma e sono complessi, dando origine a una serie di caratteristiche sessuali che – è bene ricordarlo – non equivalgono al genere, che, invece, è una categoria sociale. 

È stato il Consorzio Telomere-to-Telomere (T2T) del National Human Genome Research Institute, che raccoglie oltre 100 ricercatori nel mondo sotto la supervisione di Adam Phillippy, a smascherare i dettagli del “pezzo” di DNA che è Y.

Il primo “pangenoma”, che incorpora il DNA di decine di persone

Un’indagine a cui si affiancano ulteriori dati: coordinati da Charles Lee del Jackson Laboratory for Genomic Medicine, negli Usa, si aggiungono gli studi sui cromosomi Y di 43 individui maschi con l’intento di catturare una serie di variazioni genetiche mai osservate prima. E non è un caso che la scorsa primavera fosse stato compilato il primo “pangenoma”, che incorporava il DNA di decine di persone, rappresentative delle popolazioni di tutti i continenti, e dei loro genitori: il “pangenoma” aggiornava le conoscenze sul genoma umano, finora limitato a campioni caucasici, per renderlo più equo e inclusivo.  

I due articoli hanno rivelato la natura altamente variabile dei cromosomi Y, tra individuo e individuo, e forniscono una base per iniziare a definire un quadro più nitido del ruolo di questi filamenti nello sviluppo dei maschi, nella loro fertilità e anche in alcune patologie durante l’invecchiamento.

È una storia, quella del sequenziamento del genoma, che ha visto una tappa decisiva una ventina di anni fa, quando fu pubblicata la prima “bozza”. Tuttavia, restavano molte lacune nelle sequenze delle 23 coppie di cromosomi.

Lacune in gran parte colmate solo lo scorso anno dal T2T, quando ha realizzato la prima sequenza completa del genoma stesso. Un dettaglio significativo: si trattava di un genoma femminile. Il motivo? Y, nonostante sia il più piccolo, era risultato da subito ben più complicato da decifrare, rappresentando così una “zona oscura”. I cromosomi umani contengono molte ripetizioni nella loro sequenza, più di 30 milioni di lettere su 62,5 milioni: sono state chiamate “DNA spazzatura”, perché, fino a non molto tempo fa, si pensava che non avessero una funzione effettiva. Ma era un errore.  

Y può essere sequenziato?

Molti scienziati si erano interrogati se Y potesse essere effettivamente sequenziato, dal momento che era così “strano” e complesso, a causa delle tante sequenze ripetitive o addirittura invertite, chiamate palindromi: sono sequenze di DNA che risultano identiche, se uno dei due filamenti viene letto da sinistra verso destra e l’altro da destra verso sinistra. Ora, però, i dati raccontano un’altra storia: i geni della fertilità sono quasi tutti situati nelle regioni invertite.  

L’apporto scientifico degli studiosi italiani

Al tour de force nell’infinitamente piccolo hanno partecipato due bioinformatici italiani impegnati negli Usa: Giulio Formenti della Rockefeller University di New York e Andrea Guarracino, presso la University of Tennessee Health Science Center, a Memphis. “Il DNA ripetitivo complica le cose, perché assemblare dati dal sequenziamento genetico è un po’ come cercare di leggere un libro tagliato a strisce”, spiega Formenti, che ha contribuito a sviluppare una serie di metodi computazionali per trasformare i dati in una risorsa utilizzabile.

L’approccio si basa sulla tecnica di “long-read sequencing” che “legge” nella apparente confusione di Y, tra ripetizioni e “anse”. “Uno svantaggio, però, è che la precisione di lettura è più prona a un elevato tasso di errore: si tratta – aggiunge Formenti – di errori sistematici, che possono essere risolti manualmente. Da qui l’enorme sforzo di capitale umano”.

  

 Algoritmi bioinformatici

“La tecnologia di ultima generazione e gli algoritmi bioinformatici da noi sviluppati hanno permesso al Consorzio di risolvere il problema dei 30 milioni mancanti di lettere di Y e di individuare 41 nuovi geni. Questo – sottolinea Guarracino – consentirà di comprendere meglio le regioni che hanno funzioni regolatorie e che possono codificare mRNA e proteine”.

Ulteriori studi stanno suggerendo che questo cromosoma faccia molto più di quanto si sia sempre pensato e che la corretta funzione di alcuni suoi geni sia cruciale per la salute dei maschi. È in questo scenario che si comincia a studiare, con la massima precisione, i geni che regolano la determinazione del sesso e della produzione dello sperma, oltre che l’evoluzione di Y e come e perché sia potenzialmente destinato a scomparire a causa della sua degradazione strutturale.

In passato Y era delle stesse dimensioni di X e conteneva gli stessi geni. Tuttavia, i cromosomi Y sono presenti solo in una copia, trasmessa dai padri ai figli, e quindi i geni su Y non possono subire la ricombinazione genetica, un processo che aiuta a eliminare le mutazioni annose. Di conseguenza, i geni su Y degenerano nel tempo e vengono persi. “In ogni caso l’eventualità della sparizione potrebbe avvenire non prima di qualche milione di anni!”, rassicura, con un po’ di ironia, Guarracino.  

Ora la sequenza completa del cromosoma Y rivela importanti caratteristiche di regioni significative dal punto di vista medico. Tra le tante, una è chiamata “regione del fattore di azoospermia”: è un tratto di DNA che contiene diversi geni noti per essere coinvolti nella produzione dello sperma.

Il gene dalla produzione dello sperma

I nuovi dati dimostrano che i palindromi nella “regione del fattore di azoospermia” possono creare, occasionalmente, anelli di DNA che vengono accidentalmente interrotti, portando alla perdita di pezzi del DNA stesso. Un particolare gene analizzato è Tspy, anche questo coinvolto nella produzione di sperma: i ricercatori hanno scoperto che individui diversi ne contenevano tra 10 e 40 copie, vale a dire contenevano una diversa quantità di espressione dello stesso gene, con un conseguente impatto negativo sulla fertilità. Secondo il direttore del Consorzio Phillippy, questa scoperta – del tutto nuova – sarà determinante per stabilire una migliore diagnostica personalizzata. 

Non solo. L’indagine approfondita sul cromosoma Y potrà aiutare ricercatori e medici a esplorare più consapevolmente il potenziale collegamento tra il cromosoma Y e l’insorgere di alcune patologie, sia tumorali sia neurodegenerative. Per molto tempo si era pensato che, dopo aver guidato lo sviluppo degli organi sessuali maschili nel feto, il cromosoma Y non facesse molto altro. Ma, più di recente, una serie di nuovi studi ha messo in discussione questa ipotesi.

Molti individui iniziano a “perdere” Y man mano che invecchiano e, in particolare, nelle cellule del sangue, come si è osservato in più della metà degli ultranovantenni. Non si è capito a fondo il motivo per cui il processo si verifica, sebbene in studi più recenti il tutto sia stato collegato a una cascata di maggiori rischi: cancro alla vescica, malattie cardiache, morbo di Alzheimer.

Il cromosoma che potrebbe proteggere dal cancro

Il cromosoma Y, quindi, potrebbe avere una funzione protettiva dalle forme più aggressive del cancro alla vescica: la sua perdita aiuta i tumori a eludere il sistema immunitario e a crescere in modo incontrollato. Allo stesso tempo, però, sembra rendere quel tumore più suscettibile ai farmaci immunoterapici, gli “inibitori del checkpoint immunitario”. Se, quindi, si individuasse la presenza o l’assenza di Y nelle cellule, prima di trattare gli uomini con cancro della vescica, si potrebbe trattare la malattia con più precisione. 

La perdita di Y potrebbe spiegare la vita più breve degli uomini (all’incirca sei anni in meno rispetto alle donne). E, tuttavia, ci si chiede se si tratti di un biomarcatore dell’invecchiamento biologico o se la perdita di Y abbia un effetto diretto sulla salute dell’individuo. La ricerca potrà rispondere a questo interrogativo e a tanti altri quesiti ancora aperti. 

 



www.repubblica.it 2024-01-02 11:15:39

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