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Parlare più di una lingua riduce il rischio di demenza?

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Che un basso livello di istruzione costituisca un fattore di rischio per l’insorgenza di varie forme di demenza è ormai un fatto accertato. La questione ha a che vedere con il concetto di riserva cognitiva, ossia la capacità del cervello di adattarsi e continuare a funzionare a pieno regime nonostante i fisiologici cambiamenti dovuti all’invecchiamento. E, secondo una quantità crescente di evidenze scientifiche, fra tutti gli stimoli cognitivi che possono generare un beneficio in questo senso, quello di parlare correntemente più di una lingua sembra ricoprire un ruolo di particolare rilievo. Questo riguarda specialmente le persone bilingui, che fin dalla nascita imparano ad esprimersi fluentemente in almeno due lingue.

Se il fatto di imparare una seconda lingua più tardi nel corso della vita possa avere gli stessi effetti è argomento di dibattito nella comunità scientifica. Ad esplorare il tema è un articolo pubblicato dal New York Times, che fa il punto su quello che sappiamo oggi al riguardo.

Nei bilingui i sintomi di declino cognitivo si manifestano più tardi

Diversi studi indicano che il fatto di essere bilingui può ritardare fino a quattro o cinque anni l’insorgenza dei sintomi di declino cognitivo legati a patologie come l’Alzheimer. Questo non significa che parlare più di una lingua protegga dalla malattia. Tuttavia, trattandosi di patologie correlate all’età e per le quali non esistono al momento vere e proprie cure risolutive, anche “solo” ritardarne l’insorgenza può fare la differenza.

Uno studio, pubblicato nel 2013 su Neuropsychologia, aveva per esempio preso in considerazione un totale di 648 persone di età media pari a 66 anni e affette da diverse forme di demenza. Di queste, 391 parlavano correntemente due o più lingue. Ebbene, in queste ultime i sintomi di declino cognitivo, a prescindere dalla forma di demenza di cui erano affette, erano comparsi in media quattro anni e mezzo dopo rispetto a quelle in grado di parlare una sola lingua. E l’osservazione, avevano sottolineato gli autori, era risultata indipendente da fattori come sesso, tipologia di occupazione, dal fatto di vivere in aree rurali o in centri urbani, e addirittura anche dal livello di educazione.

Diversi studi successivi avevano confermato questi risultati, e uno in particolare aveva inoltre messo in luce che utilizzare attivamente più di una lingua costituisce un fattore protettivo maggiore rispetto al fatto di essere bilingui “passivi”. La ricerca era stata condotta a Barcellona, dove la maggior parte dei cittadini capisce sia lo spagnolo che il catalano, ma l’utilizzo attivo delle due lingue varia molto da un quartiere all’altro.

“Abbiamo visto che più si usano entrambe le lingue e migliori sono le abilità linguistiche, maggiore è il vantaggio neuroprotettivo – aveva concluso Marco Calabria, primo autore dello studio – Quando qualcosa non sta funzionando bene a causa della malattia, grazie al fatto di essere bilingue, il cervello trova efficienti sistemi alternativi per risolvere il problema”. In sostanza, è come se il cervello fosse in continuo allenamento nel tentativo di scegliere la parola appropriata nella lingua giusta – cioè quella che la persona sta parlando in quel momento con il proprio interlocutore. Questo allenamento lo aiuterebbe nel momento in cui ci fosse un deterioramento.

I vantaggi per chi impara una lingua più tardi

Ma lo stesso vale anche per chi inizia a studiare una seconda lingua più tardi nel corso della vita? In questo caso le evidenze sono deboli e in letteratura esistono dati discordanti fra loro. Una review pubblicata nel 2021 su Frontiers in Aging Neuroscience aveva messo in luce queste discordanze, concludendo però che lo studio di una seconda lingua tende ad essere associato a miglioramenti nella memoria, nel controllo dell’attenzione e nella connettività funzionale fra regioni cerebrali diverse.

Come anticipato, infatti, stimolare il cervello attraverso l’apprendimento influisce sulla riserva cognitiva, e secondo gli esperti della Lancet Commission on Dementia Prevention può essere considerato come un fattore potenzialmente in grado di ridurre il rischio di insorgenza di demenze. Inoltre, come sottolineano alcuni esperti citati dal New York Times, il fatto di prendere lezioni di lingua offre potenzialmente un ulteriore beneficio: il contatto sociale. Che, al pari del livello di istruzione, viene considerato dagli esperti come un fattore preventivo per l’insorgenza di demenze.



www.repubblica.it 2024-01-19 14:25:54

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