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Prostata e rene, una molecola per due tumori

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Sono due killer pericolosi, soprattutto per il sesso maschile. Il primo – il carcinoma della prostata metastatico resistente alla castrazione (mCRPC) – per evidenti ragioni anatomiche, il secondo (il carcinoma a cellule renali avanzato (aRCC) perché è due volte più frequente negli uomini e perché i pazienti maschi rappresentano più dei due terzi delle morti. 

Una molecola per due tumori

Per entrambi i tumori le terapie oggi disponibili hanno un’efficacia molto limitata: gli uomini affetti da tumore della prostata resistente alla castrazione spesso presentano una prognosi sfavorevole, con una sopravvivenza stimata di 1-2 anni, mentre nei pazienti con tumore del rene avanzato o metastatico il tasso di sopravvivenza è molto basso. Ora però all’American Society of Clinical Oncology Genitourinary Symposium (ASCO GU), in corso in questi giorni a San Francisco, negli Stati Uniti, sono stati annunciati alcuni risultati che segnano un passo avanti nel trattamento dei due killer. Al centro della svolta terapeutica c’è cabozantinib, una piccola molecola che inibisce diversi recettori della tirosin-chinasi, coinvolti in processi cellulari normali e patologici come l’oncogenesi, la metastasi, l’angiogenesi tumorale (la crescita di nuovi vasi sanguigni di cui i tumori hanno bisogno per crescere), la resistenza ai farmaci, la modulazione delle attività immunitarie e il mantenimento del microambiente tumorale. In associazione con immunoterapia, cabozantinib migliora la sopravvivenza libera da progressione sia nel carcinoma della prostata metastatico resistente alla castrazione sia nel carcinoma a cellule renali avanzato.

I risultati nel tumore della prostata

Per il mCRPC parlano i risultati primari dettagliati dello studio di fase III CONTACT-02, relativi all’associazione di cabozantinib e atezolizumab rispetto al trattamento con una seconda terapia ormonale di nuova generazione (NHT) nei pazienti in cui la malattia è misurabile nei tessuti molli extra-pelvici ed è in progressione dopo una precedente terapia con NHT. Al follow-up mediano di 14,3 mesi, i dati hanno dimostrato un beneficio statisticamente significativo nella sopravvivenza libera da progressione dell’associazione (6,3 mesi per cabozantinib e atezolizumab rispetto ai 4,2 mesi ottenuti con la seconda terapia ormonale di nuova generazione). Anche per quanto riguarda la sopravvivenza globale i dati mostrano una tendenza al miglioramento per la combinazione, ma si tratta di dati ancora immaturi e lo studio proseguirà fino alla prossima analisi pianificata, anticipata al 2024. 

I risultati nel tumore del rene

Nel caso dell’aRCC appaiono invece confortanti i dati del follow-up esteso di quattro anni dello studio di fase III CheckMate -9ER, anche questo presentato nell’ambito dell’ASCO GU. CheckMate -9ER ha valutato l’associazione di cabozantinib e nivolumab rispetto a sunitinib nei pazienti con questo carcinoma non precedentemente trattato. Con un follow-up mediano di 55,6 mesi per la sopravvivenza globale, la combinazione delle due molecole ha dimostrato un beneficio clinicamente significativo e sostenuto rispetto alla terapia con solo sunitinib, con un vantaggio mediano assoluto di 10,5 mesi (46,5 mesi rispetto a 36 mesi). Della combinazione beneficia anche la sopravvivenza libera da progressione, che si è mantenuta quasi doppia rispetto a quella ottenuta con sunitinib (16,4 mesi rispetto a 8,4). I dati di entrambi gli studi confermano quindi il ruolo di cabozantinib per i pazienti con tumori difficili, un’area oncologica ancora ricca di bisogni insoddisfatti dei pazienti, e dove le novità positive sono purtroppo una rarità.



www.repubblica.it 2024-01-25 16:26:11

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