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Tumore al seno: cosa può dirci la biopsia

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I tumori al seno non sono tutti uguali. Anzi: sotto questo nome si raggruppano neoplasie anche molto diverse l’una dall’altra, che richiedono trattamenti diversi, e con percorsi e prognosi diverse. Ma fin dalla diagnosi, la biopsia è in grado di dirci moltissimo. Per dirla con Alessandra Fabi, oncologa, Responsabile della Medicina di Precisione in Senologia presso la Fondazione Policlinico Universitario A.Gemelli IRCCS di Roma, può rivelarci il “nome e cognome” del tumore con un’accuratezza che si avvicina al 100%. Difficilmente, cioè, il tumore si rivelerà qualcosa di diverso da ciò che queste prime analisi mostrano. Analisi che sono importantissime, perché oggi consentono di stabilire il percorso di cura prima ancora di arrivare in sala operatoria. Non in tutti i casi, infatti, l’intervento chirurgico è la prima mossa. Abbiamo allora chiesto all’esperta di guidarci passo passo in quello che oggi ogni biopsia di un tumore della mammella dovrebbe indicare nel referto.

 

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Le caratteristiche istologiche

La biopsia indica innanzitutto se il tumore è duttale (cioè nasce dalle cellule dei dotti galattofori) – che è il tipo più frequente – o se è lobulare (nasce dalle cellule dei lobuli della ghiandola mammaria). Quest’ultimo può avere un comportamento diverso, anche alla mammografia e all’ecografia. Il referto indica, inoltre, se il tumore è in situ, cioè confinato e non presenta infiltrazioni al di fuori della struttura in cui si è formato, oppure invasivo, ossia capace di infiltrare le strutture circostanti fino ad arrivare ai vasi linfatici o sanguigni, e diffondersi in altri organi. È importante ricordare che c’è una grande differenza tra le lesioni lobulari in situ (LCIS) e quelle duttali in situ (DCIS): gli LCIS oggi non vengono più considerati dei veri e propri tumori, ma delle condizioni pre-cancerose; i DCIS, al contrario, sono tumori molto iniziali con una probabilità di evolvere nella forma infiltrante.

L’“aggressività”  

L“aggressività” del tumore viene indicata da due parametri: il grado istologico – G1, G2 o G3 – e l’indice di proliferazione cellulare Ki67. Il grado ci dice quanto sono mature le cellule tumorali: G1 indica cellule ben differenziate, cioè mature, mentre G3 indica cellule poco differenziate, immature. Più le cellule sono immature, più si replicano velocemente. Ecco perché i tumori G3 sono più aggressivi e hanno una maggiore capacità di infiltrazione e diffusione.

Anche il Ki67 indica la capacità replicativa del tumore: un valore superiore al 20% vuol dire che ha capacità replicativa elevata ed è quindi più aggressivo. Sebbene questo parametro non abbia un’affidabilità del 100% (perché risente di diverse variabili, come il tipo di tessuto e le tecniche di preparazione utilizzate), resta comunque importante e va di pari passo con il grado istologico: difficilmente si avrà un tumore G1 con un Ki67 alto o, viceversa, un tumore G3 con un Ki67 basso.

Il “tipo molecolare”

Oggi più che mai è fondamentale che la biopsia indichi fin da subito la presenza o l’assenza di alcune proteine da cui è possibile comprendere la prognosi e, soprattutto, stabilire il percorso terapeutico. E avere quindi accesso ad alcuni farmaci piuttosto che ad altri. In base all’espressione di queste proteine possiamo distinguere i carcinomi mammari in tre categorie.

 

– Recettori per gli estrogeni e/o il progesterone (HR+): quando questi recettori si trovano espressi in più del 10% delle cellule tumorali, i tumori vengono chiamati luminali o “ormono-sensibili”.  Si tratta di tumori che sono stimolati, appunto, dagli estrogeni (ER+) e/o dal progesterone (PR+).

– Recettori di tipo 2 del fattore di crescita epidermico umano (HER2). La loro presenza è espressa dai valori 0, 1+, 2+, 3+ e in base ad essi i tumori vengono oggi definiti HER2-negativi (0), HER2-low (1+ ed alcuni 2+) ed HER2 positivi (alcuni 2+ e tutti i 3+).

– I tumori che non presentano nessuno di questi tre recettori (per estrogeni, progesterone ed HER2) vengono detti triplo negativi.

Altre proteine importanti da testare

“Quando ci troviamo di fronte a una recidiva o a un tumore metastatico, è sempre importante ripetere la biopsia, perché le caratteristiche biologiche possono cambiare nel tempo – ricorda Fabi – Per esempio sappiamo che circa il 14% dei tumori che inizialmente sono HER2 negativi risulta HER2 positivi quando recidiva. Nel tumore al seno metastatico, inoltre, la biopsia oggi è necessaria per sapere se sono presenti altre proteine e altri fattori biologici o genomici fondamentali per impostare la strategia terapeutica ed accedere a terapie mirate o immunoterapie: PI3K, PD-L1 e, nel prossimo futuro, ESR1. Quest’ultima proteina, inoltre, sarà la prima ad essere testata con la biopsia liquida, cioè su un campione di sangue. Questo rappresenterà una grande rivoluzione, anche in termini organizzativi, poiché con l’arrivo di terapie target per la mutazione di ESR1 sarà necessario disporre di laboratori in cui si studiano tali alterazioni”.

Oltre la biopsia

La discussione multidisciplinare comincia proprio quando arriva l’esito della biopsia, che permette anche di stabilire se sono necessari ulteriori esami. Quali? In caso di tumori triplo negativi, in base all’età e alla storia familiare, per esempio, è oggi obbligatorio eseguire il test genetico per le mutazioni BRCA 1 e 2. In caso di tumori in stadio precoce e ormono-sensibili, invece, possono essere indicati i test genomici, esami che vanno ad analizzare l’espressione di alcuni geni del tumore e che danno indicazioni sia sulla probabilità di recidiva nel tempo, sia sulla probabilità che la malattia risponda alla chemioterapia: un’informazione in più per capire come trattare i tumori di cui non è chiara l’aggressività. “Gli studi sul test Oncotype DX, per esempio, hanno mostrato che ben il 48% delle pazienti senza linfonodi positivi, sia in pre- che in post-menopausa, può evitare la chemioterapia. La percentuale è alta – del 30% – anche in chi presenta fino a 3 linfonodi positivi e soprattutto nelle donne in post-menopausa – conclude Fabi – È evidente come ormai l’oncologia non possa fare a meno dell’anatomia patologica e quanto sia importante discutere in modo multidisciplinare ogni singolo caso”.



www.repubblica.it 2024-02-02 10:49:04

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