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Clara Camaschella, la donna del ferro: “Ho dovuto combattere per essere chiamata dott…

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Nel Duemila aveva identificato uno dei geni responsabili dell’emocromatosi, una malattia genetica ereditaria del metabolismo del ferro. Circa dieci anni più tardi era responsabile dell’Unità di ricerca Regolazione del Metabolismo del Ferro all’Ospedale San Raffaele, e insegnava Medicina Interna all’Università Vita Salute San Raffaele.

Nel 2016 ha ricevuto il Jean Bernard Lifetime Achievement Award della European Hematology Association (EHA), “in riconoscimento del suo significativo contributo alla comprensione della fisiopatologia di malattie ereditarie del metabolismo del ferro, tra cui emocromatosi ereditaria, carenza genetica di ferro e anemie da accumulo di ferro”. Ancora: è stata presidente – la prima donna presidente – della Società Internazionale per lo studio del ferro (BioIron).

L’elenco dei riconoscimenti conferiti a Clara Camaschella, classe 1948, piemontese di Varallo, è lungo. Come è lunga la sua storia con il ferro, l’elemento chiave al centro della sua vita scientifica. Una vita ora raccontata nel libro “La donna del ferro – Memorie di una ragazza determinata“, edito da Neos Edizioni, dove più di ogni altra cosa emerge la sua caparbietà di volersi affermare nel mondo della ricerca quando per le donne non era semplice.

Particolare della copertina del libro "La donna del ferro"

Particolare della copertina del libro “La donna del ferro” 

L’inizio

Il suo primo “incontro” con il ferro era avvenuto mentre preparava la tesi di laurea in medicina sulle emoglobinopatie. A quei tempi, ricorda, nei corsi universitari venivano date solo informazioni vaghe sulla fisiologia del ferro, per lo più legate all’anemia. Fu mentre si occupava di un piccolo gruppo di pazienti talassemici al Centro Emoglobinopatie dell’Università di Torino che, al contrario, cominciò a comprendere le conseguenze cliniche dell’eccesso di ferro. Tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80, infatti, questi pazienti avevano una pessima qualità di vita, e la maggior parte di loro moriva in giovane età. I motivi erano ancora del tutto sconosciuti ed ecco perché cambiare direzione e scegliere di lavorare sul ferro l’ha resa una dei pionieri di questo campo della ricerca.

Una scoperta fondamentale

Nel suo libro, Camaschella ripercorre alcune tappe della propria vita personale e professionale come la scoperta del gene TFR2, la cui mutazione – come abbiamo anticipato – è collegata allo sviluppo di una forma di emocromatosi, una patologia che, se non diagnosticata e trattata tempestivamente, può avere conseguenze anche molto gravi, come l’infarto.

“Lo studio uscì su Nature Genetics e fu il primo a darci visibilità a livello internazionale – racconta Camaschella a Salute – Parlo al plurale perché il lavoro è condiviso con il gruppo di Paolo Gasparini, che allora faceva ricerca presso il dipartimento di genetica medica dell’ospedale di San Giovanni Rotondo, a Foggia”. Questa pubblicazione aprì importanti opportunità di collaborazione e di finanziamento a livello europeo. Anche grazie ai risultati sul gene TFR2, nel 2013 a Camaschella viene assegnata la prestigiosa Han Wassermann lecture dell’American Society of Hematology (ASH), che la ricercatrice terrà nel dicembre dello stesso anno di fronte a una platea di 10mila esperti di ematologia.

Una carriera “in ritardo”

Ma, se riavvolgiamo il nastro a qualche anno prima, nella vita professionale di Clara Camaschella non sono mancati anche i momenti di difficoltà. “Sono considerata una delle rare donne che hanno fatto carriera in medicina alla fine degli anni Novanta”, scrive infatti nelle prime righe del libro autobiografico. Dopo la laurea in medicina e chirurgia presso l’Università di Torino, e anni passati a fare ricerca a titolo volontario – e a combattere per essere chiamata “dottoressa” e non “signorina” -, Camaschella ottiene il titolo di ricercatore, “il primo gradino per la carriera di ricerca di allora – spiega – ma in alcuni momenti ho pensato che sarei rimasta ricercatore a vita”. Le pubblicazioni scientifiche, infatti, da sole non erano sufficienti per poter partecipare ai concorsi e avere quindi accesso ai gradini successivi. C’era bisogno del “via libera” del proprio datore di lavoro anche solo per prendere parte a un concorso pubblico. “Poi mi sono spostata – racconta ancora Camaschella -. Ho lavorato alle Molinette di Torino, poi all’ospedale San Luigi di Orbassano, e lì ho iniziato a lavorare sul ferro anziché sulle emoglobinemie, un cambiamento che ha fatto la differenza. E siccome abbiamo avuto dei buoni risultati, alla fine la carriera l’ho fatta, ma in ritardo”.

Clara Camaschella

Clara Camaschella 

“La fortuna aiuta le menti preparate”

Nel titolo del libro, la parola “determinata” riassume bene la sua storia e gli ingredienti che hanno reso possibili i traguardi raggiunti. Non ci sono segreti particolari: “Lavorare tanto e chiedere tanto a sé stessi, indipendentemente dai risultati, anche se non arrivano immediatamente. Questo è fondamentale nella ricerca, perché se uno si scoraggia subito non può fare il ricercatore”. E aggiunge: “Quando riuscimmo a clonare il gene del TFR2, un collega inglese mi fece i complimenti e io risposi che in parte era stata anche fortuna. ‘La fortuna aiuta le menti preparate, fu la sua risposta”. Un messaggio – e un libro – perfetto per ricordare la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, che si celebra l’11 febbraio.

I ricavati dalle vendite del libro saranno devoluti a Fondazione AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro).



www.repubblica.it 2024-02-09 14:39:16

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