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Tumore al seno, cosa chiedono le pazienti

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Scattare una nuova fotografia di chi ha il tumore al seno. Lo ha fatto il Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” (che riunisce ben 45 associazioni), all’interno dell’iniziativa “In contatto”, che prevede una serie di questionari online rivolti ai pazienti. Obiettivo della nuova indagine conoscitiva: far emergere punti di forza e criticità della presa in carico di chi è in cura per un tumore mammario (è possibile rivedere l’evento “Tumore del seno: informazione, percorso di cura e qualità della vita” a questo link).

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Sono 223 i pazienti – per il 99% donne e per l’1% uomini – che hanno risposto alla survey, diffusa tramite la pagina Facebook del Gruppo (il campione risulta abbastanza ben distribuito su tutto il territorio nazionale). Cosa emerge? “Il primo aspetto importante da sottolineare – dice Annamaria Mancuso, presidente di Salute Donna ODV e coordinatrice del Gruppo – è che sul territorio nazionale la presa in carico e l’assistenza di questi pazienti è decisamente buona, di alta qualità e ampiamente diffusa a livello regionale. Un altro dato significativo è la consapevolezza della popolazione rispetto al tumore mammario e l’adesione regolare ai programmi di screening mammografico”.

Restano, però, dei bisogni insoddisfatti: innanzitutto la richiesta di un approccio integrato e multidisciplinare, che tenga conto non solo del tumore, ma di tanti altri aspetti legati alla malattia e alle cure, e del benessere della persona a 360 gradi. Le risposte portano poi alla luce altri problemi: una comunicazione con i medici considerata poco esaustiva, difficoltà nella programmazione dei controlli, il bisogno di un maggior supporto psicologico e di maggiori informazioni sui centri di senologia a cui rivolgersi. Ebbene, veniamo ai dati.

L’età del campione

La maggior parte dei partecipanti ha oltre 50 anni. Nello specifico: quasi un terzo ne ha tra 51 e 60, il 52% ne ha tra 61 e 75, e il 5% ne ha più di 76. Resta però circa il 12% che è under 50: l’11% ha tra 41 e 50 anni e l’1% ha meno di 40 anni. Diverse pazienti, quindi, sono ancora in età riproduttiva, come sappiamo anche dall’epidemiologia.

Come è stato scoperto il tumore al seno?

Per 4 partecipanti su 10 la scoperta è avvenuta per caso, dopo aver avvertito un nodulo durante l’autopalpazione, mentre circa il 6% aveva notato cambiamenti del capezzolo. Un quarto (25,6%) lo ha scoperto a seguito dello screening mammografico e l’8% durante controlli per familiarità.

In che stadio?

In più del 90% del campione il tumore è stato scoperto in fase precoce: in oltre la metà dei casi era inferiore ai 2 centimetri senza interessamento dei linfonodi ascellari; in un terzo era sempre in fase iniziale, ma superiore ai 2 centimetri e con uno o più linfonodi coinvolti; nell’11% era in stadio localmente avanzato e nel 3% era metastatico.

La partecipazione ai programmi di screening e la visita senologica

La diagnosi precoce è un tema su cui sembra esserci grande sensibilità: il 54% delle donne dichiara di aderire con costanza ai programmi di screening organizzati offerti gratuitamente dal sistema sanitario nazionale. Resta però un 12% che non è stato mai raggiunto da una comunicazione sullo screening mammografico e un altro 11,7% che non rientra nelle fasce di età per le quali è offerto. Il 40,8% del campione si sottopone alla visita senologica una volta l’anno e il 26% ogni due anni. Resta però un 28,3% del campione che non l’ha mai fatta, o solo raramente. Per quanto riguarda l’auto-esame del seno, il 43% del campione lo effettua con regolarità ma oltre il 50% lo effettua di rado o mai. “L’indagine sottolinea quanto sia cruciale la comunicazione rivolta alla popolazione generale e ai pazienti – sottolinea Nicla La Verde, Direttore UOC di Oncologia, ASST Fatebenefratelli Sacco PO Luigi Sacco di Milano – I dati dimostrano anche come sia alta la consapevolezza delle donne su questa specifica neoplasia, consentendo l’adesione alla prevenzione secondaria come lo screening mammografico”.

Che tipo di tumore era?

Il tipo di tumore mammario più frequente (46,6%) è quello positivo al recettore ormonale (HR), seguito dal tumore HER2 positivo (24,2%) e dal tumore triplo negativo (10,3%). Va detto che circa il 19% del campione non ha saputo dare questa informazione, un dato che secondo le associazioni mette in luce una criticità nella comunicazione nel momento della diagnosi.

Breast Unit o no?

La metà di questi pazienti dichiara di essere stato preso in cura in un centro di senologia specializzato (Breast Unit), mentre un terzo è stato curato in un reparto oncologico, e il 13% in un reparto di chirurgia generale. “In Italia la presenza delle Unità di senologia è molto alta e diffusa in modo piuttosto capillare, certamente disponibile negli ospedali di tutte le grandi città – ha sottolineato La Verde – La Breast Unit è una struttura altamente specializzata per la diagnosi e cura del carcinoma della mammella, che consente ai pazienti la presa in carico da parte di una équipe di diversi professionisti (chirurgo, oncologo, radiologo, radioterapista, anatomo patologo, psiconcologo), e garantisce i migliori standard in termini di trattamenti chirurgici e medici”. “La situazione è molto migliorata rispetto ad anni fa, ma oggi è importante ragionare in termini di Pdta, cioè di Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale, che include anche le cure palliative e altri aspetti importanti della cura – ha aggiunto Mancuso nel corso dell’evento online – Il Pdta è un contenitore molto più ampio della Breast Unit e in cui la Breast Unit di oggi ricade. È ora di unire i due concetti per non creare confusione nei pazienti”.

Quali trattamenti?

Al di là della chirurgia (effettuata in questo campione dal 72% circa dei pazienti) – i trattamenti sono stati: terapia ormonale (64%), radioterapia, (circa 64%), chemioterapia (circa 45%), farmaci target (circa 11%) e immunoterapia (circa 10%). Nel 65,5% dei casi si tratta di terapie orali, nel 26% di farmaci somministrati per via endovenosa e nell’8,5% di farmaci somministrati sottocute.

Familiarità e test genetico

Meno di un paziente su 2 ha riferito una storia familiare per tumore della mammella in parenti di I e II grado. Il test genetico per le mutazioni BRCA 1 e 2 – che può essere prescritto sulla base di criteri molto precisi, come la giovane età alla diagnosi, la forte familiarità o la presenza in famiglia di tumori mammari maschili – è stato proposto a un terzo dei pazienti.

Cosa chiedono i pazienti

Per quanto riguarda il percorso di cura, spicca la richiesta di essere seguiti da un team multispecialistico per garantire un approccio integrato alla persona, un bisogno espresso da quasi 4 pazienti su 10. La seconda necessità è poter contare su una disponibilità di tempo maggiore dei medici (circa 3 su 10). Seguono: maggiore informazione sulla malattia e le terapie disponibili (circa 23%), avere un supporto psicologico (circa 21%), maggiore tutela dei diritti in ambito lavorativo e sociale (circa 21%), percorsi facilitati in ambulatorio e day hospital (circa 12%) e più informazioni su centri di riferimento (circa 7%).

L’impatto del tumore e delle cure

Dall’indagine emerge anche l’impatto della malattia sulla qualità di vita e sul benessere psicologico. Il 34% del campione ha dichiarato di soffrire di ansia o depressione, il 19% ha riferito di sequele legate all’intervento chirurgico, il 17% di difficoltà di comunicazione con l’oncologo e un altro 16,6% dell’assenza di un supporto psicologico. Il 16%, inoltre, ha avuto problemi nella gestione delle terapie o dei controlli, in quest’ultimo caso soprattutto per cause organizzative. Sono stati infine riportati disagi legati alla distanza tra casa e ospedale.

Insomma, le criticità su cui lavorare non mancano, riprende Mancuso: “Bisogna ampliare l’offerta dei test genetici e lo screening ad altre fasce d’età, specialmente per i soggetti giovani con storia famigliare e a maggiore rischio. E bisogna pensare a potenziare le strutture, migliorare l’organizzazione, i percorsi per i controlli, allungare i tempi di incontro medico-paziente, il sostegno psicologico e rivolgere maggiore attenzione alla quotidianità dei pazienti, con uno sguardo alla riabilitazione e ai postumi dell’intervento chirurgico. Ancora una volta – conclude – il nostro Gruppo si impegna, attraverso un costante dialogo, a far arrivare ai decisori politici nazionali e locali proposte per soluzioni fattibili che tengano conto in primis dei bisogni dei malati”. 



www.repubblica.it 2024-02-09 12:20:40

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