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Riabilitazione, in palestra arrivano i robot

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Il robot osserva il paziente con la sua telecamera. Poi, dopo qualche istante di riflessione, parla. E spiega al paziente in riabilitazione il tipo di esercizio che deve fare. Se poi il paziente ha qualche difficoltà o non esegue bene il movimento, il robot interviene guidando il braccio o la gamba così che l’esercizio sia fatto bene, ma anche motivandolo a proseguire nonostante il dolore o la fatica. “E’ la prima volta – spiega Loredana Zollo, preside della Facoltà di Ingegneria dell’Università Campus Bio-Medico di Roma – che mettiamo insieme la capacità di dialogare con quella di movimentare l’arto. In questo modo, alla riabilitazione fisica si aggiunge quella cognitiva, proprio come farebbe un fisioterapista durante un tipico trattamento riabilitativo, e si crea un ambiente più accogliente e coinvolgente per i pazienti durante le sessioni”. 

Una “guida” per i robot-fisioterapisti

Il robot-fisioterapista è solo uno degli esempi di quanto le macchine complesse, in grado di eseguire compiti elaborati per gestire diverse categorie di pazienti, si stiano diffondendo rapidamente nel settore della salute. Ma il panorama è frammentato: i progetti portati avanti in Italia sono spesso disomogenei, le condizioni sperimentali nelle quali verificare l’utilità dei robot sono molto differenti tra loro, i protocolli non sono standardizzati, che si tratti di robot per la riabilitazione, di esoscheletri per l’assistenza o di sensori indossabili. Invece – continua Zollo – abbiamo bisogno di raccogliere una massa critica di pazienti sufficiente a definire come dosare il trattamento, quando cominciarlo, quando intensificarlo e quando interromperlo, ma anche a capire quale sia il robot più adeguato a seconda della patologia e delle necessità riabilitative, che si tratti di esercizi per il polso, la spalla, il gomito o per l’arto inferiore. Insomma, c’è bisogno di razionalizzazione per dare le giuste indicazioni e usare la macchina corretta nella fase acuta o nel post-acuzie. 

Il progetto Fit For Medical Robotics

Per trovare le risposte a queste domande e capire quale tecnologia robotica sia la più adatta a curare una patologia in un certo tipo di paziente, è stato ideato “Fit For Medical Robotics”, un progetto nato grazie a un finanziamento di 126 milioni di euro provenienti dal Piano Complementare al PNRR, e che vede insieme il Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Università Campus Bio-Medico di Roma, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, la Fondazione Don Gnocchi e un’altra ventina di partner tra Università, Centri clinici e di ricerca, e realtà industriali. 

 

A un anno dall’avvio del progetto, i numeri sono confortanti e consentono di raggiungere la massa critica di informazioni necessarie: clinici e ingegneri lavoreranno su 59 studi clinici distribuiti su tutto il territorio nazionale, per oltre 2000 pazienti coinvolti. “Ottenere dati di efficacia su grandi numeri significa dare un fondamento scientifico sostanziale all’efficacia delle tecnologie robotiche nella riabilitazione”, commenta ancora Zollo. L’ambizione è quella di avviare un percorso di interlocuzione con le istituzioni per facilitare l’introduzione di questi robot in tutti i centri clinici, dal Nord al Sud.

Robot e fisioterapisti a fianco dei pazienti

Si tranquillizzino i fisioterapisti: l’idea non è certo quella di sostituirli nella gestione quotidiana dei pazienti in riabilitazione. L’obiettivo, piuttosto, è quello di progettare palestre robotizzate dove questo professionista sia sempre presente a supervisionare il lavoro dei pazienti, mantenendo con loro il contatto umano, ma delegando ai robot la gestione degli esercizi. I vantaggi sono evidenti: la riabilitazione con le macchine potrebbe coinvolgere più pazienti contemporaneamente, e si supererebbe il rapporto di uno a uno (un fisioterapista per ogni singolo paziente), non più sostenibile dal punto di vista economico e a rischio di generare liste di attesa. “Ma l’elemento che ci preme di più è quello della personalizzazione, concetto che in medicina assume sempre più importanza”, spiega Zollo. Dotando il robot di una serie di sensori in grado di misurare i dati del paziente (i movimenti, i parametri vitali, la sua fatica, l’attenzione o l’impegno) la macchina è in grado di modificare il suo comportamento e quindi alleggerire il trattamento riabilitativo, o di intensificarlo, comunque di variarlo sulla base delle concrete esigenze del paziente in quel preciso momento.

Un altro elemento importante riguarda la standardizzazione dei trattamenti riabilitativo, che oggi sono “operatore-dipendente”. Se ho un fisioterapista esperto, con molti anni di formazione alle spalle, il trattamento sarà forse più efficace rispetto a quello svolto da un giovane con poca esperienza. Con il robot, conclude Zollo, si ottiene un’uniformità di trattamento livellata verso l’alto, e omogenea in tutti i centri. In questo senso, dichiara la presidente del CNR Maria Chiara Carrozza, “Fit for Medical Robotics è un progetto rivoluzionario in quanto pone al centro la persona: con esso, le tecnologie robotiche diventano il mezzo attraverso il quale sviluppare soluzioni innovative per superare vulnerabilità e fragilità, migliorare la qualità della vita di pazienti e caregiver, favorire una maggiore inclusione sociale”.



www.repubblica.it 2024-02-09 09:38:23

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