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Test del sangue ed algoritmo online, così scopriremo chi rischia l’infarto

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Il rischio d’infarto arriva a raddoppiare nel mese che segue il divorzio. E addirittura cresce di cinque volte nella settimana successiva alla diagnosi di tumore. Sono solo esempi tratti dalla letteratura scientifica di quanto e come la prevenzione su misura, caso per caso, sia fondamentale. Ma come si fa a scoprire chi, a prescindere da queste condizioni specifiche, corre i maggiori pericoli di andare incontro ad ischemia cardiaca nel breve periodo? E cosa succede, sul fronte biologico e delle reazioni dell’organismo agli stress, prima che si verifichi un’ischemia, per giocare d’anticipo concentrando l’attenzione sui diversi fattori di rischio?

La risposta a questa domanda potrebbe venire dai risultati di uno studio originale, condotto dagli esperti dell’Università di Uppsala guidati da Johan Sundström, apparso su Nature Cardiovascular Research. Gli studiosi hanno identificato 90 potenziali marcatori, molti registrabili con un semplice esame del sangue, in grado di definire chi corre i maggiori rischi di andare incontro a infarto nei sei mesi successivi al test. Ed è emerso che un particolare parametro, chiamato peptide natriuretico cerebrale, potrebbe rivelare chi è più esposto all’ischemia cardiaca nei mesi successivi al test.

Non solo: gli studiosi stanno mettendo a punto un test, disponibile online, per la popolazione. L’obiettivo è fare in modo che le persone a più elevato rischio possano concentrare i loro sforzi sulla prevenzione, evitando di “dimenticare” di tenere sotto controllo fattori che amplificano i pericoli come colesterolo LDL elevato, ipertensione, sovrappeso, diabete e altro.

Verso la prevenzione su misura

La ricerca, sia chiaro, non mette in luce un chiaro rapporto causa-effetto. Ma rappresenta un passo avanti importante per piani di prevenzione mirati sulla persona. Gli studiosi hanno preso in analisi 817 proteine ??e 1.025 metaboliti nel sangue di sei banche dati biologici di altrettanti Paesi, oltre a 16 variabili cliniche. Quali i parametri evidenziati come potenziali “segnalatori” del rischio di un primo infarto? Dalla scrematura delle informazioni sono emerse 48 proteine, 43 metaboliti oltre a parametri generali come età, genere e pressione arteriosa sistolica.

Questi indicatori, associati tra loro, sono risultati associati al rischio di un primo infarto miocardico nel periodo immediatamente successivo alla registrazione. Insomma: semplicemente impiegando dati facilmente ottenibili, si può disporre di un modello di previsione per un imminente primo infarto miocardico per uso clinico nella popolazione generale.

L’obiettivo, sia chiaro, non è l’autodiagnosi ma piuttosto il potenziamento della prevenzione primaria nei soggetti a rischio particolarmente elevato. Per arrivare a questa conclusione sono stati analizzati campioni di sangue di 169.053 individui senza precedenti malattie cardiovascolari in sei coorti europee. Nel giro di sei mesi, 420 di queste persone hanno subito il primo attacco di cuore. Il loro sangue è stato poi confrontato con quello di 1.598 membri sani delle popolazioni in esame.

Un algoritmo per disegnare il rischio

L’obiettivo dello studio, come detto, non è anticipare la diagnosi. Ma favorire l’aderenza a stili di vita sani e alle terapie eventualmente indicate per controllare i fattori di rischio. Chi sa di essere esposto ad una potenziale ischemia a breve termine, infatti, potrebbe naturalmente sentirsi più attento alla prevenzione. “Ci auguriamo che ciò aumenti la motivazione delle persone a prendere la medicina preventiva o a smettere di fumare, per esempio – commenta Sundström, in una nota dell’ateneo”. Grazie allo strumento di calcolo del rischio online, in futuro, si spera di ottenere proprio questo risultato.

“Lo studio è molto importante perché l’infarto rappresenta la prima causa di morte nel mondo occidentale e in Italia ogni anno colpisce circa 100.000 persone – spiega Giuseppe Musumeci, direttore della Cardiologia dell’Ospedale Mauriziano di Torino. È fondamentale fare prevenzione riducendo i fattori di rischio che sono il fumo, l’ipertensione arteriosa, il diabete e soprattutto il colesterolo LDL. Avere a disposizione un algoritmo che ci segnala chi corre un rischio più alto ci può portare a stimolare un o stili di vita ancora più sano è una correzione di questi fattori di rischio ancora più incisiva in queste persone. Ad esempio se sappiamo che il rischio di base è più alto invece di tenere il colesterolo LDL in prevenzione primaria al di sotto dei tradizionali 100 milligrammi per decilitro possiamo pensare di tenerlo ancora più basso come in chi ha già avuto un infarto (55 milligrammi per decilitro). La stessa cosa, con obiettivi stringenti, va fatta per i valori pressori o glicemici”.



www.repubblica.it 2024-02-14 07:48:15

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