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Asperger, quanta fatica per togliersi la maschera

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Tutti indossiamo una maschera per adeguarci ai nostri diversi ruoli. Ma chi si sente costretto a farlo costantemente, come le persone Asperger, paga questo sforzo con eccessi di stress e disturbi anche gravi. È il tema affrontato dalla ricercatrice inglese Hannah Belcher in “Togliersi la maschera. Esercizi pratici per imparare a comprendere e limitare gli effetti negativi del camuffamento autistico” (Edizioni LSWR).

Un manuale di autoaiuto

“È un libro pensato per aiutare le persone a mettersi in contatto con se stesse”, spiega Davide Moscone, psicologo e psicoterapeuta, direttore clinico del centro CuoreMenteLab di Roma che ne ha curato l’edizione italiana insieme a Marco Cadavero e David Vagni. Il risultato è un manuale di autoaiuto in cui l’autrice, che ha ricevuto da adulta la diagnosi di autismo, propone un percorso di esercizi per conciliare spontaneità e interazioni sociali. Un tema di particolare attualità in vista della Giornata Mondiale della Sindrome di Asperger, il 18 Febbraio.

Differenza tra autismo e Asperger

“Il termine Asperger – dal nome del neurologo Hans Asperger – fa riferimento ai soggetti autistici senza compromissione delle capacità intellettive e di linguaggio ed è ancora usato soprattutto dai diretti interessati, anche se il DSM parla solo di disturbi dello spettro autistico distinguendo poi vari livelli di supporto necessari”, prosegue Moscone. E l’autrice stessa spiega che il libro è pensato per persone che non hanno difficoltà cognitive, soggetti per cui è più difficile fare diagnosi proprio per la loro capacità di fare masking, così si definisce una tipologia specifica di camuffamento.

Che cosa si intende per masking

Entro certi limiti tutti ci mascheriamo, assumiamo ruoli diversi, nella professione in famiglia o con gli amici: “Pensiamo alla poetica di Pirandello – non a caso sposato con una donna con problemi psichici- basata sul concetto di identità e di maschera”, ricorda Moscone, “la differenza è che le persone autistiche cerano costantemente e spesso inconsapevolmente di adeguarsi – per esempio sforzandosi di guardare negli occhi le persone, o controllando i gesti ripetitivi che li aiutano a contenere l’ansia – fino a rendersi invisibili, e per farlo consumano moltissima energia”.

Lo psicologo Tony Attwood, uno dei massimi esperti di autismo, definisce “emicrania sociale” il malessere di chi reagisce somatizzando alla difficoltà di conformarsi. “Vivere permanentemente su un palcoscenico è estenuante”, prosegue Moscone, “ci sono persone autistiche che sviluppano disturbi di salute mentale legati allo sforzo di mimetizzare la propria vera natura”.

La fatica di mimetizzarsi

Un sovraccarico sociale cui si aggiungono il sovraccarico sensoriale e quello emotivo. “Spesso si pensa che le persone autistiche non siano empatiche”, osserva Cadavero, educatore professionale e coordinatore pedagogico presso CuoreMenteLab, ” in realtà molti lo sono a tal punto che finiscono con lo sfuggire le emozioni altrui per non sentirsi travolti”.

Una capacità di sintonizzarsi “di pancia” con gli altri, l’empatia affettiva, che è diversa dall’empatia cognitiva, “legata alla capacità di comprendere le emozioni altrui ma anche le proprie, alla teoria della mente che spesso può essere carente nelle persone autistiche”, prosegue l’educatore. “Studi di neuroimaging mostrano che nel cervello di questi soggetti l’amigdala, il centro delle emozioni, è iperattivata mentre la corteccia prefrontale che consente di elaborarle cognitivamente è ipoattivata”.

Più sofferenza per le ragazze

Il problema riguarda in particolare le ragazze e in molti casi – come è successo a Hannah Belcher – può contribuire a ritarare la diagnosi, che invece aiuta a capire da dove nasce il disagio, e magari a evitare impieghi poco adatti che possono generare vera sofferenza. “Il masking è un fenomeno positivo se è funzionale al raggiungimento dei propri obiettivi, ma deve essere fatto in modo consapevole e flessibile”, sottolinea Cadavero, “tutti hanno bisogno di un ‘dietro le quinte’ dove essere davvero sé stessi”. Il rischio altrimenti è quello di rinnegare completamente il proprio sè, o al contrario di esplodere facendo cadere la maschera di colpo.

“Spesso le persone autistiche sono molto rigide con sé stesse”, prosegue l’educatore. “Nel suo libro la Belcher spiega l’importanza di essere compassionevoli, di accettare di calare un po’ la maschera scoprendo a volte – attraverso appositi esperimenti comportamentali – che le reazioni della gente possono essere meno preoccupanti del previsto “.

“Questo libro serve a dare consapevolezza, a spiegare come utilizzare il masking imparando a capire cosa dà energia e cosa la toglie”, aggiunge Moscone. L’ideale sarebbe vivere in una società inclusiva in cui tutti possano essere se stessi: dopo tutto, le persone neuro divergenti, autistiche o con ADHD, dislessia, disturbi dell’apprendimento, anche se costituiscono una minoranza, possono arrivare al 20% circa della popolazione.

“Sarebbe importante capire che la differenza può essere anche una risorsa di valorizzare”, osserva Moscone. Ma non viviamo in un mondo ideale, “e noi cerchiamo di insegnare strategie per vivere nel mondo com’è”, conclude Cadavero, “in effetti, la maggioranza delle terapie e degli interventi psicoeducativi per persone autistiche insegna proprio ad adattarsi. L’importante è farlo consapevolmente: il rischio altrimenti è quello di rinunciare a chi si è realmente, e di conseguenza a quello che fa stare bene”.



www.repubblica.it 2024-02-18 00:31:23

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