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Cancro alla cervice uterina, col vaccino anti-Hpv zero casi in Scozia

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Il cancro al collo dell’utero potrebbe davvero diventare il primo tumore “debellato” grazie a una vaccinazione. A sostegno di quest’idea arrivano i risultati di uno studio scozzese, pubblicato su Journal of the National Cancer Institute: a oggi nessuna delle ragazze immunizzate a 12-13 anni con il vaccino bivalente contro i principali ceppi oncogeni dell’Hpv (papilloma virus umano) ha sviluppato una neoplasia invasiva. Al di là del dato simbolico (ma che alcuni esperti non hanno esitato a definire storico) degli “zero casi” in una particolare fascia di popolazione, la ricerca ha comunque evidenziato l’estrema efficacia della vaccinazione nell’abbattere l’incidenza delle neoplasie cervicali anche nei contesti più disagiati, dove, soprattutto in passato, l’accesso allo screening era limitato.

Eradicare un tumore: si può?

Il tumore al collo dell’utero (o cervice uterina) è il quarto tumore più comune nelle donne a livello globale. Benché nei Paesi ad alto reddito, grazie a esami di screening come il Pap test, il numero di casi conclamati e la mortalità siano contenuti, nei Paesi a basso reddito queste neoplasie hanno un forte impatto a livello sociale ed economico, tanto che l’Organizzazione mondiale della sanità ne auspica l’eliminazione. Il vaccino contro l’Hpv – a oggi abbiamo a disposizione prodotti che conferiscono protezione contro 9 tra i principali ceppi oncogeni – è lo strumento con cui potremmo realizzare questo proposito.

Zero casi

Una nuova storica conferma sono i risultati dello studio condotto da Tim Palmer e dal suo team che ha preso in analisi i dati clinici di circa 448 mila persone scozzesi nate tra il 1988 e il 1996. Di queste circa 40mila sono state vaccinate a 12-13 anni (ossia l’età migliore per massimizzare l’efficacia del vaccino), 124 mila immunizzate dopo i 14 anni e 300 mila non vaccinate. Accedendo agli esiti degli esami di screening per il tumore della cervice, i ricercatori hanno individuato poco più di 250 casi di tumori invasivi correlati all’infezione da Hpv, mettendo in evidenza che in generale la vaccinazione aveva prodotto una significativa riduzione dell’incidenza annuale nelle persone completamente immunizzate di qualsiasi età (2,3 casi ogni 100mila persone) rispetto alle persone non vaccinate (8,4 casi ogni 100mila persone). Il dato più eclatante è stato quello degli “zero casi” tra le persone vaccinate in target, tra i 12 e i 13 anni, anche solo con una dose di vaccino bivalente (Cervarix, utilizzato fino al 2012).

Un altro dato degno di nota riguarda l’incidenza (non aggiustata per età) di forme tumorali invasive nelle persone più indigenti: con la vaccinazione i casi annuali passano da 13,1/100.000 a 2,29/100.000. Questo risultato è molto significativo e sottolinea ulteriormente il valore della vaccinazione anti-Hpv proprio in quei contesti in cui l’accesso ad altre forme di prevenzione, come il Pap Test, è più difficile.

Non rinunciare allo screening

Sebbene i risultati di questo studio (e di altri studi nazionali effettuati per esempio in Danimarca e in Svezia) confermino il successo della vaccinazione anti-Hpv, va comunque considerato il tempo relativamente breve di follow-up dall’inizio dei programmi di vaccinazione. Lo sviluppo di tumori al collo dell’utero è ancora possibile anche nelle persone vaccinate, dato che anche i vaccini più aggiornati non conferiscono protezione contro tutti i ceppi oncogeni di Hpv.

Dunque, i programmi di screening – sottolineano gli stessi autori del documento – rimangono imprescindibili sia per intercettare lesioni precoci sia per aggiornare i dati di efficacia del vaccino anti-Hpv, valutare la durata della protezione ed eventualmente proporre cambiamenti nei protocolli vaccinali.



www.repubblica.it 2024-02-19 12:18:09

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