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Tumori, molti nuovi farmaci costano troppo per il beneficio che danno

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Secondo i risultati di uno studio appena pubblicato sul British Medical Journal, molti farmaci oncologici approvati dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) presentano benefici aggiuntivi relativamente bassi rispetto a quelli approvati in precedenza con indicazioni d’uso simili. Il che. però, non significa che in assoluto non siano utili, come spiega a Salute Francesco Perrone, presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM). La questione riguarda soprattutto i costi: “Se quel piccolo beneficio aggiuntivo costa in misura proporzionale, può valere la pena. Tanto progresso terapeutico si fa con i piccoli passi. Il punto critico è che un farmaco che aggiunge poco dovrebbe costare poco di più rispetto a quelli già esistenti. E invece al momento questo non accade”.

Che cos’è il valore aggiunto

Che si stia parlando di un farmaco o di una qualsiasi tecnologia sanitaria, per valore aggiunto si intende il valore terapeutico rispetto ai trattamenti già esistenti, che costituiscono lo standard di cura nel contesto all’interno del quale il nuovo farmaco o la nuova tecnologia si vanno a inserire. Le valutazioni dei benefici aggiunti, spiegano gli autori dello studio, servono a diversi scopi, fra cui quello di informare il processo decisionale relativo all’approvazione dei farmaci. 

Naturalmente, spiega Perrone, non tutti i nuovi farmaci possono avere un elevato valore aggiunto: “Quel che è certo, è che se sono arrivati a essere disponibili e rimborsabili in Italia, dopo essere stati approvati dall’EMA, significa che apportano benefici che sono stati valutati come sufficienti”. Paradossalmente, spiega, un farmaco potrebbe portare un beneficio anche se non ha alcun valore terapeutico aggiuntivo rispetto a quelli già esistenti, semplicemente perché introduce una competizione e consente così di abbassare i prezzi: “È solo un esempio. Naturalmente l’obiettivo è quello di curare sempre meglio i pazienti, ma serve per capire di che cosa stiamo parlando”, prosegue.

Lo studio

Gli autori dello studio hanno analizzato 458 valutazioni di beneficio aggiuntivo relative a 131 farmaci oncologici, pubblicate da sette organizzazioni, fra cui l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), la European Society for Medical Oncology (ESMO), l’American Society of Clinical Oncology (ASCO), la Haute Autorité de Santé francese, la Gemeinsamer Bundesausschuss tedesca. Ebbene, nel 41% dei casi il beneficio aggiunto del farmaco preso in analisi è risultato inesistente o non quantificabile. Allo stesso tempo, i ricercatori hanno condotto un’analisi dei costi necessari per la fase di ricerca e sviluppo relativa ai vari farmaci presi in considerazione. Da questa è emerso che in alcuni casi le aziende farmaceutiche riescono a recuperare questi costi entro tre o quattro anni dall’immissione in mercato del relativo prodotto, anche quando questo presenta un valore terapeutico aggiuntivo scarso. “Questo risultato è stato ottenuto applicando dei modelli e delle assunzioni che le aziende farmaceutiche potrebbero anche contestare, ma che io penso siano più o meno affidabili – prosegue Perrone – Allora questo pone un altro quesito, perché significa che il costo molto elevato che caratterizza specialmente i farmaci oncologici non è ragionevolmente giustificato dal relativo investimento in ricerca e sviluppo”.

La buona notizia, sempre emersa dai risultati dello studio, è che i farmaci con un valore aggiunto più elevato sono anche risultati essere associati a ricavi maggiori per le aziende. Ovvero, i farmaci con valore terapeutico sensibilmente più elevato rispetto a quello dei farmaci già esistenti in quell’ambito di cura sono anche collegati a un valore di mercato più elevato (da cui consegue che i farmaci con scarso valore aggiunto producono ricavi minori per le aziende). “Potrebbe sembrare scontato, ma non lo è – prosegue l’esperto – Anzi, è uno dei primi casi in cui vedo che sono i numeri a dimostrare questo andamento, che è giustissimo, è etico e quindi ben venga”.

Gli iter di approvazione accelerata

Ma perché un numero relativamente elevato di farmaci oncologici con beneficio aggiuntivo basso riceve l’approvazione dell’EMA? Secondo i risultati dello studio, il fenomeno riguarda in particolare i farmaci approvati attraverso regolamenti speciali, chiamati expedited pathways (percorsi accelerati). Si tratta di un sistema che facilita un più rapido accesso al mercato per quei farmaci di cui c’è urgente bisogno. Per renderli disponibili ai pazienti nel modo più celere possibile, la loro approvazione richiede un numero inferiore di prove rispetto ai farmaci “meno urgenti”, a condizione che vengano eseguiti ulteriori studi a seguito della loro approvazione. Il fatto di richiedere un numero limitato di prove può essere una delle ragioni per cui non è possibile quantificare l’effettivo beneficio aggiuntivo al momento della loro approvazione.

Questi iter, sottolineano comunque gli autori, non sono sbagliati di per sé: “Spesso c’è un grande bisogno di nuovi farmaci – scrive Lourens Bloem, uno degli autori dello studio – Questo è particolarmente vero in oncologia, dove il bisogno medico è elevato. L’approvazione accelerata può essere un modo per far sì che i pazienti beneficino di un nuovo farmaco, ma ci chiediamo se i benefici aggiunti possano essere infine dimostrati, una volta che sono disponibili ulteriori dati”. In sostanza, gli autori suggeriscono di rivalutare questo parametro in un secondo momento, specialmente per quei farmaci che vengono approvati con iter accelerato: “È essenziale continuare a monitorare l’effettivo beneficio aggiunto di questo tipo di farmaci – conclude Bloem – e valutare i costi che ne derivano”.



www.repubblica.it 2024-03-01 14:15:21

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