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Long Covid, scoperti i veri danni al cervello: ecco quanti punti QI brucia il virus

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Quanto incide il Lond Covid sul nostro cervello? In sostanza, è possibile misurarne l’impatto in termini quantitativi? La domanda che si pongono i molti esperti alle prese da tre anni con la nebbia cognitiva provocata dal virus SARS-CoV-2 sui pazienti con infezione che dura mesi, o anni, ora ha trovato una risposta concreta. Sì, è possibile misurare il danno che l’infezione Covid produce sulle nostre attività cognitive: il virus può “bruciare” 6 punti QI (quoziente d’intelligenza o quoziente intellettivo), e nei pazienti ricoverati in Terapia intensiva, anche 9. Se si possono recuperare? La risposta arriva da uno studio inglese pubblicato sul New England Journal of Medicine: test cognitivi condotti su quasi 113.000 persone in Gran Bretagna hanno evidenziato che i pazienti con sintomi post-Covid persistenti avevano un QI equivalente a 6 punti inferiore rispetto a chi non era mai stato infettato dal coronavirus.

La nebbia cognitiva

Da subito l’hanno chiamata nebbia cognitiva, un senso di stanchezza mentale persistente che colpisce chi è stato infettato dal virus Sars-CoV-2, e può appunto durare anche a lungo dopo la guarigione dalla malattia. Le vittime della brain fog fanno più fatica a svolgere le attività di tutti i giorni, anche le più semplici. I sintomi principali sono difficoltà di concentrazione, confusione mentale e deficit di attenzione, a cui si possono associare ansia, insonnia e depressione. Lo studio Neuro-Covid Italy, promosso dalla Società Italiana di Neurologia (Sin) e pubblicato alla fine dello scorso anno sulla rivista Neurology, mostra che, dopo essere stati assalite dal Covid, circa il 30% delle persone riferisce di avere disturbi di memoria e il 20% problemi d’attenzione.

L’infiammazione che attacca il cervello

Che il virus Sars-CoV-2 attacchi il cervello, sia durante l’infezione che dopo, lo ha confermato anche uno studio condotto dall’Università di Barcellona e pubblicato sulla rivista Disease Models & Mechanism. Gli autori hanno dimostrato che nell’infezione acuta da Sars-CoV2 la maggior parte delle strutture del sistema nervoso centrale, cervello, tronco encefalico e cervelletto, sono interessate da fenomeni di neuroinfiammazione, degenerazione assonale e gliosi delle cellule nervose, cioè la formazione di aree cicatriziali. “La neuroinfiammazione inoltre produce degli elementi infiammatori che si possono trovare nel liquido cefalorachidiano, in cui galleggiano sia il cervello che il midollo spinale”, ha spiegato Arianna Di Stadio, docente del Dipartimento GF Ingrassia dell’Università di Catania e full member Sigma Xi, la Honor Society di ricerca scientifica fondata alla Cornell University.

Il nuovo studio inglese

È su questo percorso che si è mosso il nuovo studio inglese, con l’obiettivo di misurare il danno del Long Covid in termini quantitativi. Per farlo, i ricercatori dell’Imperial College di Londra, hanno coinvolto 112.964 adulti i quali hanno completato una valutazione cognitiva online durante gli ultimi cinque mesi del 2022. Circa 46.000 di loro, ovvero il 41%, hanno affermato di non aver mai avuto l’infezione Covid. Altre 46.000 persone colpite da coronavirus hanno riferito che la loro malattia è durata meno di quattro settimane. Inoltre, circa 3.200 pazienti hanno manifestato sintomi post-Covid che si sono protratti da quattro a 12 settimane dopo l’infezione, mentre per circa 3.900 i sintomi sono durati oltre le 12 settimane, e in alcuni casi anche un anno o più. Di queste, 2.580 persone presentavano ancora sintomi post-Covid al momento in cui hanno effettuato il test cognitivo.
Altri due dati: la stragrande maggioranza dei partecipanti era bianca e più della metà erano donne. Inoltre più persone provenivano da aree ricche piuttosto che da zone economicamente in difficoltà. Il test che i ricercatori hanno sviluppato e utilizzato in precedenti studi su pazienti con lesioni cerebrali, per Covid o altre condizioni, consisteva in otto compiti progettati per valutare abilità come la pianificazione spaziale, il ragionamento verbale e la definizione delle parole, insieme a diversi aspetti della memoria.

La scoperta

I test cognitivi hanno portato a galla la scoperta: i pazienti con sintomi post-Covid persistenti avevano un QI equivalente a 6 punti inferiore rispetto a chi non era stato infettato. E anche le persone contagiate, ma che non presentavano più sintomi, hanno ottenuto punteggi leggermente inferiori rispetto a chi non era stato infettato: l’equivalente di 3 punti QI, anche se si erano ammalate solo per un breve periodo.
Le differenze nei punteggi cognitivi sono risultate relativamente piccole, e gli esperti neurologici hanno avvertito che l’esito della ricerca non implicava che l’infezione dal coronavirus o lo sviluppo di una Covid prolungata causassero profondi deficit nel pensiero e nelle funzioni.

Tuttavia, hanno sottolineato, “i risultati sono importanti perché forniscono prove numeriche dei problemi di confusione mentale, concentrazione e memoria che affliggono molte persone con Covid da lungo tempo”. “Questi risultati emergenti e convergenti evidenziano generalmente che sì, esiste un deterioramento cognitivo nei sopravvissuti a lungo al Covid: è un fenomeno reale”, ha affermato James C. Jackson, neuropsicologo del Vanderbilt Medical Center, non coinvolto nello studio.

Una nota di ottimismo

Ma il nuovo lavoro apre la strada anche a una nota di  ottimismo: suggerisce che se i sintomi Long Covid nei pazienti si attenuassero, anche il relativo deterioramento cognitivo potrebbe seguire quella tendenza. A supporto di questa tesi c’è il fatto che le persone sottoposte a test, che avevano sperimentato sintomi Long Covid per mesi, alla fine si erano riprese mostrando punteggi cognitivi simili ai pazienti che invece avevano recuperato rapidamente.
La ricerca ha rilevato pure che, in una tipica scala del QI, le persone che ottengono un punteggio compreso tra 85 e 115 sono considerate di intelligenza media. La variazione standard è di circa 15 punti, quindi uno spostamento di 3 punti non è solitamente considerato significativo e uno di 6 punti, secondo gli esperti, potrebbe non essere consequenziale.

Pregliasco: “Ora va approfondita l’origine del danno”

Per gli esperti, la scoperta dei ricercatori inglesi ha un’importanza precisa: “Questo studio rappresenta una quantificazione triste degli effetti di una patologia, Covid appunto, che non è solo febbre e problemi respiratori, ma attacca anche l’area cerebrale – sottolinea Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’Ospedale Galeazzi di Milano – . Tuttavia, il risultato raggiunto in termini di conoscenza rappresenta solo il dato oggettivo, manca l’approfondimento su cosa avvenga e cosa lo determini, materia che sarà ogetto di studi successivi, come pure i termini terapeutici”.

 

 

 



www.repubblica.it 2024-03-05 16:36:54

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