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Se il feto soffre di una malattia congenita, gli organoidi potranno salvarlo

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Si stima che ogni anno il 6% dei nuovi nati nel mondo, all’incirca 8 milioni di bambini, soffrano di un difetto congenito. Quando un feto mostra segni di difficoltà durante la gravidanza, i medici si trovano di fronte a un compito arduo: scoprire cosa c’è che non va e come intervenire senza mettere a rischio la gravidanza. Nonostante i test genetici e di imaging, è difficile intervenire. Ora, però, una ricerca rivoluzionaria sembra essere riuscita a superare queste limitazioni: un team di scienziati è stato in grado di ricreare, al di fuori del grembo materno, alcuni organoidi, vale a dire gruppi di cellule che imitano i tessuti e gli organi, in tutto e per tutto, e che permettono di studiare come questi reagiscono a trattamenti e terapie.

I risultati, pubblicati su Nature Medicine, aprono la strada a una serie di scoperte senza precedenti sulla causa e sulla progressione delle malformazioni e alla possibilità, per la prima volta, di “accedere al feto senza toccarlo”, ha sottolineato Mattia Gerli, biologo dell’University College di Londra, esperto in cellule staminali e co-autore dello studio.

 

Un approccio senza precedenti

 

Per la prima volta, gli scienziati, tra cui anche alcuni ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, dell’Istituto Telethon di Genetica e Medicina di Pozzuoli, del Politecnico di Milano, dell’Università di Napoli Federico II e della Scuola Superiore Meridionale di Napoli, hanno ricavato gli organoidi sfruttando le cellule progenitrici presenti nel liquido amniotico, note anche come cellule staminali multipotenti: sono cellule che hanno già compiuto i primi passi verso una specializzazione e sono state “coltivate” per ottenere repliche di reni, intestino tenue e polmoni del feto.

Le cellule sono state prelevate da 12 gravidanze in corso, tra la 16ma e la 34ma settimana di gestazione. E’ un passo fondamentale, perché, fino ad oggi, la creazione di un organoide non era mai avvenuta con feti in vita, dal momento che era necessaria una biopsia.

 

Nessun rischio per il feto

 

Ad oggi il liquido amniotico viene già estratto per controlli di routine allo scopo di verificare la presenza di possibili anomalie e, poiché gli organoidi impiegano solo dalle quattro alle sei settimane per crescere, la nuova tecnica dovrebbe permettere di avere il tempo necessario per effettuare test e trattamenti prima del parto. Gli organoidi possono essere utilizzati per valutare varie possibilità terapeutiche e per monitorare il decorso dei trattamenti senza disturbare il feto. Il team, in particolare, ha seguito l’andamento delle cure in feti affetti da ernia diaframmatica congenita, un difetto alla nascita che comprime i polmoni e impedisce loro di svilupparsi correttamente. Confrontando gli organoidi ottenuti da cellule del liquido amniotico, prelevate prima e dopo il trattamento, gonfiando un palloncino nella trachea del feto, si è osservato un miglioramento nella condizione degli organoidi stessi, deducendo che il trattamento stava funzionando.

 

Le limitazioni da superare

 

Ora la speranza è che gli organoidi possano, un giorno, fornire informazioni sul modo in cui le condizioni congenite progrediscono ed essere utilizzati per personalizzare il trattamento dei singoli feti. Promettenti, poi, le applicazioni per valutare le terapie attuali e sviluppare nuovi farmaci e anche la prospettiva di poter intervenire in presenza di gravidanze pretermine così da garantire la sopravvivenza del nascituro. Ad oggi non tutti gli organi possono essere replicati con questa tecnica: solo il tessuto epiteliale di reni, intestino tenue e polmoni è stato coltivato con successo. Inoltre, potrebbe non essere possibile utilizzare questo nuovo metodo per modellare organi che non rilasciano cellule nel liquido amniotico, come il cervello o il cuore. Nonostante ciò, una volta che questo approccio raggiungerà l’applicazione clinica, gli organoidi ottenuti tramite amniocentesi potranno essere uno strumento fondamentale negli screening previsti per le donne in gravidanza.
 



www.repubblica.it 2024-03-06 14:28:21

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